Un articolo su New Scientist («Many human genes evolved recently») e uno su Anthropology.net («Mapping out recent evolution on the human genome») commentavano ieri i risultati di un’importante ricerca pubblicata su PloS Biology («A Map of Recent Positive Selection in the Human Genome»). Gli autori dell’articolo originale hanno identificato le mutazioni recenti nel genoma di alcune popolazioni umane (sul metodo impiegato consiglio la lettura di Dennis Drayna, «La mutazione di Adamo», Le Scienze, dicembre 2005, pp. 66-73); tra queste, hanno poi messo in evidenza quelle a diffusione elevata. Si ottiene così un elenco di mutazioni favorite da una pressione selettiva attiva durante gli ultimi 14000 anni, anzi di fatto tuttora operante. I geni interessati regolano il colore della pelle, la capacità di variare alcuni parametri fisiologici in risposta alle variazioni del clima, funzioni come la capacità di metabolizzare il lattosio in età adulta, di assimilare i carboidrati e di resistere ad alcune malattie infettive, e sembrano risposte selettive ai cambiamenti dell’ambiente naturale e sociale verificatisi dopo la fine dell’ultima glaciazione e in seguito alla rivoluzione agricola. Alcune mutazioni riguardano poi le funzioni cerebrali (di mutazioni dello stesso tipo si era già parlato la scorsa estate: vedi John Hawks, «Recent human brain evolution and population differences», 9 agosto 2005).
Qual è il significato della scoperta? Offro qui alcune riflessioni personali. Per prima cosa essa contribuirà al tramonto di una visione sostanzialmente pre-darwiniana della natura umana, che ci eravamo abituati a considerare definitivamente fissata 100000 anni or sono. Anche un campo di studio come la psicologia evoluzionistica, che spiega tratti del comportamento umano in base all’ambiente sociale che li avrebbe visti iscrivere nel genoma – la banda di cacciatori-raccoglitori, in sostanza – dovrà almeno in parte modificare le proprie conclusioni. Ma forse l’aspetto più inquietante è quello delle differenze nell’adattamento all’ambiente fra le varie popolazioni (e al loro interno) che queste scoperte hanno portato alla luce. Occorrerà molta accortezza per evitare una lettura errata di questi risultati, fondata sull’equivoco evoluzione=progresso ancora così diffuso nel pubblico; e forse dall’altro lato bisognerà anche combattere una negazione politically correct di cui già si sono avute alcune avvisaglie.
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