venerdì 10 marzo 2006

Sul caso di Natallie Evans

La Corte Europea dei Diritti Umani ha emesso il 7 marzo il verdetto sul caso di Natallie Evans (sic; non «Natalie» o «Nathalie»), una donna del Regno Unito cui i tribunali britannici avevano impedito di usare degli embrioni congelati per avere un figlio, a causa dell’opposizione dell’ex partner della donna, che aveva fornito il proprio seme per crearli. La donna, che non aveva più la possibilità di concepire, a causa di un cancro alle ovaie, chiedeva alla Corte di stabilire se le autorità del suo paese avessero violato la Convenzione Europea sui Diritti Umani, negandole il diritto ad avere un figlio geneticamente affine; la Corte ha sentenziato a suo sfavore (fonte: BioNews, 7 marzo).

Al di là degli aspetti giuridici del caso, vorrei azzardare qualche considerazione su quelli etici. È interessante notare come due dei giudici, dissociandosi in parte dalla sentenza, abbiano affermato che il diritto della donna ad avere un figlio debba essere considerato superiore a quello del partner a ritirare il proprio consenso. Mi pare tuttavia che esista un diritto uguale e opposto a non avere un figlio; e che l’uso dei propri geni rientri in una sfera di autodeterminazione privata che non può essere violata, neppure per impedire che un altro subisca un danno. Immaginiamo che l’embrione non fosse stato ancora concepito, e che i gameti delle due persone coinvolte si trovassero congelati separatamente: penso che in questo caso avremmo qualche difficoltà ad ammettere che il seme dell’uomo potesse venire usato contro il suo consenso. Non riesco a vedere differenze fondamentali tra quest’ultimo caso e quello in esame; direi pertanto che il verdetto della Corte sia giusto, tenendo conto del fatto che l’embrione non è una persona e non può pertanto vantare diritti sui propri geni, che l’uomo non sembra avere assunto impegni giuridicamente validi riguardo all’uso del proprio seme, e che l’embrione si trova ancora in provetta e non nell’utero materno (in caso contrario prevarrebbe naturalmente il diritto ancora più fondamentale della donna all’inviolabilità corporea, che è tanto forte da valere persino nel caso in cui una donna rimanga incinta contro la volontà del partner: questi non avrebbe comunque il diritto di farla abortire).

Aggiornamento: sugli aspetti giuridici del caso commenta Hazel Biggs su BioNews del 13 marzo («Last Chances, Lost Opportunities and Legal Contortions»).

Aggiornamento 2: sono disponibili in rete il testo completo della sentenza e un comunicato stampa ufficiale che la riassume.

2 commenti:

  1. E la prima volta che vedo un BLOG sulle questione che riguardano la BIOETICA. BRAVO, veramente BRAVO e GRAZIE.

    RispondiElimina
  2. Grazie a te, da parte mia e di Chiara. Tu fai parte della Sociedad Brasileira de Bioética, giusto?

    RispondiElimina