La Associated Press dà oggi un primo resoconto dei lavori del convegno indetto dalla FDA ad Atlanta sulle infezioni causate dai batteri del genere Clostridium (Mike Stobbe, «Scientists Disagree on Abortion Pill Role»). Benché il convegno sia focalizzato soprattutto sul Clostridium difficile, che appare in forte espansione e che tra il 2003 e il 2004 ha causato in Canada quasi un centinaio di morti, uno spazio è stato dedicato anche all’infezione da C. sordellii, a cui si imputano fra l’altro cinque decessi avvenuti negli ultimi cinque anni in seguito ad aborti effettuati con la RU486 (uno in Canada, a Vancouver, e quattro in California); abbastanza comprensibilmente, è su questi casi che si è concentrata l’attenzione dei media.
Dalle prime notizie sembra che i ricercatori siano ancora lontani dal raggiungere un consenso sul ruolo eventuale dei farmaci impiegati nell’aborto medico (cioè non chirurgico) nelle morti denunciate. Ralph Miech insiste nell’accusare il mifepristone, lo steroide di cui è composta la pillola abortiva, che a suo dire abbasserebbe le difese immunitarie; ma è facile obiettare che in questo caso vedremmo svilupparsi anche infezioni più comuni in seguito all’uso della RU486, e non solo quella rarissima da C. sordellii (spero di proporre altre considerazioni sulle teorie di Miech in un prossimo post).
Ironicamente, mentre gli antiabortisti si affannano a instillare il dubbio (abbastanza infondato, per quello che ne sappiamo) che le morti da aborto farmacologico siano molto più numerose di quanto riportato, il Dr Dennis Stevens del Veteran Affairs Medical Center di Boise, Idaho, sostiene che forse ad essere sottostimati potrebbero essere i casi di infezione da C. sordellii non associati alla RU486: negli Usa il sistema che allerta sui casi di infezione seguiti alla somministrazione di farmaci è più affidabile di quello che segnala le infezioni in generale. Stevens cita tra l’altro nove casi di infezione da C. sordellii in donne che avevano appena partorito; altri se ne conoscono associati ad aborti spontanei. Proviamo a tirare le conclusioni al posto di Stevens: se è il passaggio del prodotto del concepimento attraverso il collo dell’utero a creare da solo la condizione adatta per l’inizio dell’infezione, non è possibile allora che i cinque casi colllegati alla RU486 rivelino in realtà la punta di iceberg di un ceppo virulento di batteri diffuso sulla costa nordorientale del Pacifico, e che la pillola abortiva sia sostanzialmente estranea ai decessi?
Sempre oggi, il New York Times riporta che al convegno sarebbe stato dato l’annuncio di un decesso per infezione da C. perfringens (analogo al C. sordellii), nel quale però, a differenza degli altri casi, non sarebbe stata somministrata la pillola abortiva, ma solo il misoprostolo (Gardiner Harris, «7th Death in Medical Abortion»). Questo farmaco è il necessario complemento della RU486, in quanto serve ad espellere il prodotto del concepimento, che la RU ha provveduto a staccare dalla parete dell’utero; ma è utilizzato appunto anche da solo, come coadiuvante nell’aborto chirurgico. (Il C. perfringens sarebbe anche alla base del «sesto decesso», ma non è chiaro a quale caso ci si riferisca: forse a quello segnalato a marzo dalla FDA, la cui eziologia era finora rimasta oscura?) Se la notizia venisse confermata, potrebbe dunque scagionare il mifepristone, e confermare gli indizi a carico del misoprostolo: una teoria vuole infatti che sia la somministrazione vaginale di questo farmaco all’origine della maggior parte delle morti per aborto farmacologico (vedi questo post precedente).
Questa teoria viene sostenuta anche da Etienne-Emile Baulieu, il creatore della pillola abortiva, che in una lettera al New England Journal of Medicine (354, 2006, pp. 1645-47) ripete gli argomenti a suo favore: primo fra tutti il fatto, spesso ignorato (od occultato) in queste discussioni, che in Francia dal 1988 ad oggi, su ben 1,2 milioni di interventi, è stato accertato solamente un decesso in seguito ad aborto medico, e per cause che sono state subito rimosse: un tasso di mortalità paragonabile a quello dell’aborto chirurgico precoce. Ora per l’appunto in Francia il misoprostolo è somministrato nella grande maggioranza dei casi per via orale. È vero che in Svezia e Gran Bretagna la modalità di somministrazione preferita è di nuovo quella vaginale, e che in questi due paesi non si sono registrati casi di infezione da Clostridium su circa 350000 interventi (anche se ci sono state comunque quattro morti accertate); Baulieu ci informa tuttavia che la prassi lì in uso prevede la somministrazione profilattica di antibiotici (ma nella risposta alla sua lettera viene fatta notare l’efficacia non dimostrata di questa pratica, e il rischio connesso ad essa).
È difficile dire quale teoria si rivelerà alla fine corretta: se quella ‘geografica’ abbozzata più sopra, o questa sulla modalità di somministrazione del misoprostolo, o una combinazione delle due, o una terza completamente diversa. Al momento sembrerebbe in ogni caso che la mortalità da aborto medico sia spiegabile in base a fattori in qualche modo locali. I problemi della RU486 sono altri: una procedura complessa e talvolta spiacevole, in particolare. Ma essa garantisce comunque una privacy che sottrae le donne che lo vogliano alla pressione sociale e culturale del loro ambiente, particolarmente acuta in questo periodo; ed è per questo, in realtà, non per la tanto sbandierata mortalità, che la pillola abortiva incontra ancora tanti nemici accaniti.
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