domenica 21 maggio 2006

Rosy Bindi: non credo alle mie orecchie

Neo Ministro per la Famiglia, Rosy Bindi ha rilasciato una intervista sbalorditiva (d’accordo, l’eccesso di entusiasmo è dovuto a una situazione di fatto disastrosa; ma ringraziamo lo stesso).

Dichiara Rosy Bindi («Diritti alle coppie di fatto, anche pubblici», Il Corriere della Sera, 21 maggio 2006):
Il mio obiettivo è aiutare i tre milioni di anziani non autosufficienti, e far sì che tutte le coppie possano avere tutti i figli che desiderano. (Davvero? Davvero???)
E prosegue.
D.: Anche facilitando le adozioni e la fecondazione assistita?
R.: «È fondamentale che nessuna coppia sia costretta a rinunciare a un figlio perché non ha i mezzi per crescerlo. Detto questo, le adozioni sono uno dei campi in cui l’Italia deve diventare un po’ più europea. La legge sulla fecondazione va affidata al Parlamento. Sbaglia sia chi dice che non va toccata, sia chi dice che va stravolta. Un anno fa prevalse l’astensione; ma gli astensionisti sostennero tra l’altro che non poteva essere un referendum a sciogliere il nodo. Mancarono allora una riflessione e una discussione che adesso sono necessarie».
D.: E sui Pacs, contro cui è tornato a esprimersi Benedetto XVI?
R.: «Nel programma dell’Unione questa parola non c’è. Si parla di unioni civili, e di diritti da garantire».
D.: Diritti delle persone, da regolare nella sfera del diritto privato, come sostiene ad esempio Rutelli? O le unioni civili potranno avere un riconoscimento pubblico?
R.: «A me pare che non sia possibile né giusto separare rigidamente le due sfere, quando si parla di diritti delle persone. Dov’è il confine tra privato e pubblico? Se c’è una norma che si applica a due persone, anche i terzi sono tenuti a rispettarla. Vedremo. Ne discuteremo. Dovremo evitare uno scontro ideologico».
[…]
D.: Esiste un’ingerenza eccessiva della Chiesa nella politica?
R.: «La Chiesa non può non dire quello che pensa. Ma la politica non può non assumersi la responsabilità delle mediazioni e delle scelte. Non dovremmo preoccuparci per le parole dei vescovi, ma eventualmente per il nostro silenzio».

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