mercoledì 2 agosto 2006

Interrotta la sperimentazione della RU486

Dalla Stampa di oggi (Maurizio Tropeano, «Valpreda blocca la pillola abortiva», 2 agosto 2006, p. 32):
«La sperimentazione della pillola abortiva non ha comportato nessun rischio per le donne che hanno utilizzato questo metodo per l’interruzione della gravidanza». Mario Valpreda, assessore regionale alla Sanità, fa questa premessa prima di annunciare al decisione della Regione di sospendere la somministrazione della RU 486. Certo, il Sant’Anna fornirà la nuova documentazione richiesta dallo stesso assessore e, con tutta probabilità, bisognerà aspettare settembre per lo stop definitivo: ma l’orientamento di Valpreda e del comitato etico è che in presenza di violazioni, seppur di carattere formale, al protocollo, non si può che sospendere la sperimentazione.
Del resto i risultati del monitoraggio periodico svolto dal Comitato etico e il 27 giugno e il 3 luglio hanno portato due componenti dell’organismo a segnalare la presenza di violazioni del protocollo. Spiega Valpreda: «Il monitoraggio ha dimostrato che le pazienti non hanno corso rischi. Dunque le violazioni accertate sono state solo di carattere formale, cioè non sono stati rispettati i nuovi protocolli nati dopo l’ispezione ordinata dall’ex ministro Storace». L’ispezione portò ad un nuovo protocollo entrato in vigore il 21 settembre del 2005 che prevedeva il trattamento delle pazienti in regime di ricovero ordinario. Il monitoraggio avrebbe accertato che non sarebbe stata esercitata nessuna azione di dissuasione nei confronti delle pazienti così come previsto dalla legge 194.
(In realtà, per la legge 194/1978 i medici hanno il compito di esaminare con la donna «le possibili soluzioni dei problemi proposti, di aiutarla a rimuovere le cause che la porterebbero alla interruzione della gravidanza, di metterla in grado di far valere i suoi diritti di lavoratrice e di madre, di promuovere ogni opportuno intervento atto a sostenere la donna, offrendole tutti gli aiuti necessari sia durante la gravidanza sia dopo il parto» [art. 5]. «Azione di dissuasione» è linguaggio da Movimento per la Vita.)

In attesa di conoscere qualche altro dettaglio, in particolare quali sarebbero state le violazioni al protocollo, consoliamoci con un bell’articolo di Inyqua: «RU486: quando si usa la disinformazione coatta», 2 agosto.

Aggiornamento: da un’intervista a Mario Valpreda sulla StampaValpreda: la situazione è un po’ sfuggita di mano», 3 agosto, p. 38) si apprende che la sperimentazione non è stata ancora sospesa, e che una decisione verrà presa solo a settembre. Si capisce inoltre un poco meglio lo strano riferimento alla «azione di dissuasione» dell’articolo di Tropeano di cui parlavo nel post. Dichiara infatti Valpreda: «abbiamo appreso che 269 pazienti avevano ottenuto il permesso di uscita [dall’ospedale] senza essere state dissuase». Com’è noto, il protocollo scientifico prevede che le pazienti rimangano in ospedale per tre giorni, in modo da evitare che abortiscano a casa contravvenendo alla lettera della legge 194 (ma nel protocollo non si trovano, mi pare, accenni ad opere di «dissuasione» che i medici sarebbero tenuti a compiere, né del resto si vede quale potrebbe essere il loro contenuto). Silvio Viale, il promotore della sperimentazione, ha tuttavia concesso a molte donne di uscire dalla casa di cura il primo giorno, dopo la somministrazione della prima delle due pillole previste; il medico ha sempre difeso questa scelta adducendo l’impossibilità legale di costringere le donne a rimanere in ospedale. Da un articolo pubblicato sulla stessa pagina della Stampa (Alberto Gaino, «Le pressioni dei giudici dietro lo stop alla pillola»), si apprende però che alcune delle pazienti avrebbero dichiarato
di non aver sollecitato il permesso per lasciare l’ospedale dopo l’avvio della sperimentazione, ma di averlo ricevuto e basta. La bassissima percentuale delle donne che sono rimaste in reparto per i tre giorni richiesti fa pensare che mandarle a casa fosse una prassi instaurata dallo stesso Viale (forniva il numero del suo cellulare per ogni evenienza).
A supporto di questa ipotesi ci sono le dichiarazioni di alcune donne, che raccontano che era proprio il medico a escludere il ricovero e a sostenere che in ogni caso non fosse necessario.
È probabile che siano state queste dichiarazioni ad aver fatto precipitare la situazione.

Aggiornamento 2: dalla risposta del sottosegretario per la salute, Serafino Zucchelli, a un’interpellanza urgente di Luca Volontè («Dati relativi all’utilizzo della pillola abortiva» – n. 2-00099), si apprende che il problema consisterebbe nel fatto
che 269 pazienti avevano ottenuto il permesso di uscita senza che il medico sperimentatore le avesse messe in guardia sul fatto che la dimissione temporanea avrebbe comportato la violazione formale del protocollo … l’uscita dall’ospedale e il conseguente mancato controllo diretto, potrebbero compromettere la validità scientifica dello studio.
Bisognerebbe capire come questo mancato controllo potrebbe aver compromesso gli scopi della sperimentazione, che secondo il protocollo consistono nel «Confronto della sicurezza, dell’efficacia e dell’accettabilità di due regimi terapeutici nell’indurre l’aborto medico completo, evitando l’intervento chirurgico».

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