martedì 8 agosto 2006

Proibire la RU486 oggi per negare domani il diritto all’aborto

Quando un farmaco viene demonizzato prima perché troppo ‘facile’ e ‘banalizzante’, e poco dopo perché al contrario troppo pericoloso e doloroso, dovrebbe essere evidente che queste sono razionalizzazioni che fanno da paravento a una ragione vera segreta e inconfessabile. Di quando in quando, però, gli avversari della pillola abortiva – perché di questa, naturalmente, stiamo parlando – abbassano la guardia, consentendoci di cogliere in tutto o in parte le loro autentiche motivazioni. Qualche tempo fa ci era successo con Giuseppe Benagiano, autore di una rivelatrice lettera ad AvvenirePillola abortiva: la vera posta in gioco», Bioetica, 16 maggio 2006); oggi ci succede di nuovo, sempre su Avvenire, in un’intervista ad Eugenia Roccella («Parla un’ex radicale: con la pillola Ru486 è impossibile la prevenzione dell’aborto», 3 agosto 2006, p. 14).
Ovunque, nel mondo, la Ru486 è sinonimo di aborto a domicilio. Questo è il vero nodo politico della questione. Introdurre la pillola abortiva vuol dire far saltare la legge 194/1978 sull’interruzione di gravidanza: l’aborto non deve avvenire più negli ospedali, sotto controllo medico, ma torna fra le mura domestiche. Il ginecologo si limita a dare le compresse abortive, gli antidolorifici, il foglietto con le istruzioni, e il numero di telefono del pronto soccorso più vicino. Bisogna fare almeno tre visite di controllo, ma tutto il resto, compresa l’espulsione vera e propria, avviene fuori dalle strutture sanitarie. In Francia, dove la vecchia legge Veil sull’interruzione di gravidanza era molto simile alla nostra, dopo l’avvento della RU486 è stata cambiata: ora l’aborto si può fare da un qualunque ginecologo privato.

È chiaro che questo renderebbe impossibile ogni forma di prevenzione: non ci sarebbe più un luogo dove incontrare le donne, non ci sarebbe modo di parlare con loro. I Centri di aiuto alla vita non avrebbero più alcuna funzione.

Infatti. Se fino ad oggi la prima parte della 194 (quella sulla prevenzione e il sostegno alla maternità), è in gran parte inattuata, con la diffusione della pillola abortiva diventerebbe inattuabile. Questo è il vero obiettivo politico di chi sostiene l’aborto chimico: far saltare i limiti imposti dalla legge 194.
È facile ribaltare l’accusa della Roccella: chi vuole svuotare la legge 194 è proprio chi è contrario alla RU486. Gli antiabortisti si sono da tempo resi conto che cambiare radicalmente la legge, criminalizzando nuovamente l’aborto, non avrebbe mai incontrato il necessario sostegno popolare; da qui la nuova strategia, che mira piuttosto a rendere ineffettivo il diritto all’aborto. Così, mentre da un lato si sfrutta l’obiezione di coscienza per impedirne l’esercizio concreto, dall’altro si vuole alterare lo spirito della legge con la scusa di attuarne tutte le parti: la prevenzione dell’aborto diventa però dissuasione, affidata ai volontari del Movimento per la Vita, armati di fotografie di feti di otto mesi e di opuscoli propagandistici, e dell’obolo di qualche aiuto «in natura, in danaro» e del «servizio di baby-sitting» (Segreteria Nazionale di Collegamento dei Centri di Aiuto alla Vita, “VITA CAV 2005”. Dossier sull’attività dei Centri di Aiuto alla Vita nel 2005, Padova 2006, p. 4).
La pillola abortiva intralcia però questa strategia, diminuendo il numero dei medici necessari all’interruzione di gravidanza e sottraendo potenzialmente le donne alla propaganda del MPV, come si preoccupano la Roccella e la sua anonima intervistatrice. Da qui la necessità di seminare paure infondate sul farmaco, e di demonizzare chi si batte per la sua diffusione. La lotta tra chi difende il diritto delle donne a decidere del proprio corpo e della propria vita, e chi – come Eugenia Roccella – difende l’ideale reazionario dell’«identità femminile … fondata sul materno», continua.

Aggiornamento: la lingua batte dove il dente duole; e così adesso tocca a Francesco D’Agostino dire qualcosa in proposito.

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