domenica 29 ottobre 2006

Portogallo: imminente il referendum sull’interruzione volontaria di gravidanza

EUROPA/PORTOGALLO – “Se lottiamo per una legge dello stato che difenda la vita umana fin dal suo inizio è perché si tratta di un valore universale, di etica naturale e non solo di un precetto della morale religiosa”: i Vescovi portoghesi e il prossimo referendum sull’aborto, agenzia Fides, 25 ottobre 2006.

Il 19 ottobre scorso il Parlamento del Portogallo ha approvato un referendum per ammorbidire la legge sull’interruzione volontaria di gravidanza. Fortemente restrittiva, la legge del 1984 prevede fino a 3 anni di reclusione per la donna che compie un aborto e da 2 a 8 anni per il medico che lo pratica. In difesa dell’embrione. Tuttavia, la legge suddetta considera legale l’aborto entro le prime 12 settimane in caso di violenza o in caso di rischio di morte per la madre. Verrebbe da chiedere per quali ragioni la protezione della vita dell’embrione dovrebbe risentire di una violenza carnale ai danni della madre (mi spiego meglio: se l’aborto è illegale perché l’embrione è una persona da tutelare, allora il consumarsi di una violenza sessuale da parte di X ai danni di Y non dovrebbe avere il potere di influire sul destino e sullo statuto di un terzo, che non è né X né Y). Tanto per amore di cronaca, si stima che ogni anno si pratichino 30.000 aborti clandestini. L’Unione Europea e l’ONU hanno più volte sollecitato il Portogallo ad intervenire sulla normativa.
Il primo ministro, José Sócrates, si è espresso a favore di una liberalizzazione e ha dichiarato che l’approvazione di una nuova legislazione sarebbe fondamentale per combattere la piaga degli aborti clandestini e permettere alle donne di interrompere una gravidanza fino alla decima settimana, senza essere perseguite penalmente e trattate come carnefici.

Fin qui tutto bene, o almeno non troppo male.
Ma si leva la voce dei vescovi.
Il Consiglio permanente della Conferenza Episcopale Portoghese (CEP) ha pubblicato una Nota pastorale in cui lancia un appello ai fedeli perché respingano la liberalizzazione dell’aborto nel referendum che si svolgerà prossimamente.
Ci auguriamo che i fedeli siano anche cittadini, e che prevalga questa appartenenza piuttosto che una adesione all’invito osceno della Conferenza Episcopale, che prosegue con la presunta spiegazione dell’appello.
Davanti a questa situazione, i Vescovi del Portogallo ricordano nella loro Nota che “per i fedeli cattolici, l’aborto indotto è un peccato grave, perché è una violazione del 5º comandamento: non uccidere, anche quando sia legalmente permesso”. Affermano inoltre che l’aborto non “è esclusivamente una questione di morale religiosa, perché questo attacca i valori universali di rispetto della vita”.
“La legalizzazione non è la strada adeguata per risolvere il dramma dell’aborto clandestino” sottolineano i Vescovi, in quanto crea più traumi nel cuore della donna.
Naturalmente l’identificazione embrione-persona non richiede da parte dei vescovi alcuna dimostrazione. È così, è un dogma, che vogliamo dimostrare? Se è una questione morale, poi, dovrebbe essere lasciata ai singoli: chi accetta tale morale può sempre scegliere di non abortire anche in presenza di una legalizzazione.
Ma questo non basta i vescovi, che si attaccano ai valori universali (?). E non ancora contenti sostengono, ancora senza alcun dato, che non si risolverebbe il dramma dell’aborto clandestino. Perché? Perché il cuore della donna sarebbe straziato dall’aborto. Dunque, che sia straziato anche il loro corpo, affidato ad interventi rischiosi e senza alcuna garanzia sanitaria.
Inoltre “l’aborto non è un diritto della donna, perché nessuno ha il diritto di decidere se un essere umano deve vivere o no”. La Nota si conclude con un appello a tutti i fedeli ed a quanti condividono questa visione della vita, affinché si sforzino di illuminare le coscienze della gente e continuino a lavorare nella difesa della vita.
Il Patriarca di Lisbona, Card. José da Cruz Policarpo, ha emesso un comunicato in cui puntualizza le dichiarazioni contenute nella Nota, chiarendo che non ha fatto nessun appello all’astensione, desiderando invece la partecipazione al referendum di tutti i membri della Chiesa e di tutti quelli che desiderano difendere la vita. Il Cardinale ricorda che “la condanna dell’aborto non è una questione religiosa ma di etica fondamentale. Si tratta di un valore universale, il diritto alla vita, una esigenza della morale naturale”. “Se la condanna dell’aborto – continua il Porporato – fosse solo esigenza della morale religiosa, i difensori dell’aborto potrebbero argomentare, e lo fanno già, che le leggi di un Stato laico non devono proteggere i precetti religiosi; per loro basta rispettare la libertà di coscienza... Se noi lottiamo per una legge dello Stato che difenda la vita umana dal suo inizio è perché si tratta di un valore universale, di etica naturale e non solo di un precetto della morale religiosa”.
Il Patriarca ricorda ancora che “la questione della dignità della vita umana dal suo inizio, è oggi tanto chiara, perfino dal punto di vista scientifico, che uno degli obiettivi da ottenere, durante il periodo di dibattito e chiarimento è, per lo meno, di suscitare un dubbio in molti che, forse senza avere approfondito questa questione, sarebbero propensi a dire ‘sì’ alla proposta di legge al referendum. Penso soprattutto all’elettorato più giovane”.
Che la dignità della vita umana dal suo inizio sia una questione chiara dal punto di vista scientifico è un argomento tanto insensato da essere grottesco: lo statuto dell’embrione (persona oppure no) è una questione morale e non scientifica. Ma si sa, i vescovi non ci sentono da questo orecchio.
Sempre più, per me, Cristo è soltanto una imprecazione.

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