Addio a Jack Palance il cattivo di Hollywood, Il Corriere della Sera, 11 novembre 2006.
Mancherà anche alla bioetica.
Il bambino affamato e Jack Palance
Jack Palance, il cattivo di tanti film, è chiamato a condurci nel terreno di scontro tra intuizioni comuni e argomenti razionali.
Una intuizione comune e resistente consiste nel credere peggiore uccidere piuttosto che lasciar morire qualcuno. Questa credenza implica che la crudeltà dell’uccidere sia sopravvaluta e, al contrario, la crudeltà del lasciar morire sia sottovalutata.
(1) L’intuizione morale sostiene: uccidere X è peggiore di lasciar morire di fame persone in Paesi lontani.
(2) L’argomento razionale sostiene: uccidere X è grave quanto lasciar morire di fame persone in Paesi lontani.
Primo scenario.
In una stanza c’è un bambino gravemente denutrito e che sta morendo di fame. E poi ci siamo noi, in buona salute e con un panino. Se gli diamo il nostro panino (e portiamo in ospedale il bambino) non ci riteniamo meritevoli di lodi speciali, piuttosto ci riterremmo biasimevoli se ignorassimo il bambino e addentassimo con gusto il nostro panino. Immaginiamo che nella stanza con il bambino ci sia Jack Palance, con un panino simile al nostro. Jack Palance ignora il bambino, e si tiene il panino senza degnarlo della minima attenzione. Che cosa penseremmo di Jack Palance? Che è moralmente riprovevole.
Secondo scenario.
Ci siamo noi con tutto il necessario per sopravvivere e tutte le persone che muoiono di fame in Paesi lontani. Se non facciamo niente, le lasciamo morire proprio come Jack Palance fa con il bambino. Eppure non ci consideriamo moralmente dei mostri come invece giudichiamo Jack.
“Lui potrebbe facilmente salvare il bambino, non lo fa e il bambino muore. Noi potremmo facilmente salvare alcune di quelle persone che muoiono di fame; non lo facciamo ed esse muoiono. Se lui è un mostro morale, e noi no, allora ci dev’essere qualche importante differenza tra lui e noi. Ma qual è?” (James Rachels, 1986, The End of Life. Euthanasia and Morality, Oxford University Press; trad. it. La fine della vita, Sonzogno, 1989, p. 143 il corsivo è mio).
La prima possibile risposta è che il bambino è nella nostra stessa stanza e che gli altri siano lontani.
Ma la collocazione spaziale non è assolutamente rilevante dal punto di vista morale; a meno che tale distanza non renda impossibile fornire quell’aiuto che, stando nella stessa stanza, è facile da offrire. E per questo esistono le associazioni umanitarie. In assenza di un ostacolo insuperabile nell’aiutare qualcuno, è assurdo pensare che trovarsi in un certo luogo diminuisca o annienti l’impegno morale nei confronti di chi è bisognoso. La differenza tra il (non) aiutare un bambino che ci troviamo davanti ai nostri occhi e il (non) aiutare persone lontane è soltanto psicologica; ma non morale.
Ci sono altre differenze psicologiche: il fatto che le persone che muoiono di fame siano disperse su una vasta superficie (mentre il bambino è lì davanti a noi); il fatto che siano milioni le persone bisognose di cibo e che non potremmo aiutarle tutte (mentre il bambino è uno e possiamo aiutarlo) e che per ogni persona bisognosa che potremmo aiutare ci sono tante altre persone ricche che potrebbero aiutarla come noi.
Ancora una volta le differenze non sono moralmente rilevanti. Anche se non possiamo aiutare tutti, e anche se come noi molti altri potrebbero offrire aiuto, la nostra responsabilità di fare quanto più possibile per aiutare le persone bisognose rimane intatta. Se non lo facciamo dovremmo sentirci colpevoli per l’aver lasciato morire le persone.
“Ma di nuovo, questo non significa che non ci dovremmo sentire colpevoli o vergognare più di quanto facciamo adesso. Una spiegazione psicologica dei nostri sentimenti non costituisce una giustificazione morale della nostra condotta” (Rachels 1986, p. 145).
È più evidente la non dipendenza della moralità del nostro comportamento da quello degli altri se pensiamo a Jack Palance. L’abbiamo giudicato un mostro qualora se ne rimanesse indifferente davanti al bambino affamato. Se nella stanza vi fossero altre persone altrettanto indifferenti, giudicheremo forse Palance meno immorale rispetto allo scenario in cui era da solo? Assolutamente no. L’idea che la colpa si divida tra i corresponsabili è sbagliata: non esiste una quantità fissa di colpa che viene suddivisa tra i colpevoli. Il comportamento di Jack Palance è moralmente riprovevole tanto nel caso in cui sia da solo quanto che sia in compagnia. Se egli è consapevole di quanto sta accadendo intorno a lui, potrebbe anche moltiplicare le persone presenti nella stanza, ma non servirebbe ad alleggerire la sua colpa. È ancora più ovvio se pensiamo, come suggerisce James Rachels, che se Jack Palance è un mostro morale se guarda morire il bambino, se “chiama un gruppo di amici per guardare con lui, non diminuisce la colpa dividendola con loro. Al contrario, sono tutti mostri morali” (Rachels 1986, p. 145).
L’indifferenza altrui costituisce anzi un motivo in più per agire. Se nella stanza ci sono due bambini e Palance insieme a un amico, ognuno dovrebbe prendersi cura di un bambino. Se l’amico non fa niente, Palance potrebbe forse nutrire il suo bambino e sentirsi moralmente irresponsabile per la sorte dell’altro?
Molte delle differenze che abbiamo esaminato non reggono al vaglio dell’analisi razionale. È evidente quanto siano fragili le intuizioni morali. La strada migliore per arrivare alla verità consiste nel cercare argomenti a sostegno dei nostri giudizi morali.
Dobbiamo, tuttavia, ammettere di affidarci all’intuizione: a qualche punto del nostro ragionamento morale dobbiamo accogliere per buona un’assunzione senza la possibilità di offrire argomenti a sostegno. Questo succede anche per le scienze esatte: i dati di partenza, le assunzioni e gli assiomi. I ragionamenti partono da lì, non possono rimandare indietro all’infinito. In morale il dato di partenza è costituito dall’assunzione di cosa sia moralmente importante.
Una simile concessione all’intuizione è inevitabile. L’importanza attribuita agli argomenti, però, fa sì che venga sempre mantenuto un atteggiamento di sospetto, e che vi si faccia ricorso solo quando non è più possibile evitarlo. È una concessione iniziale, che non diminuisce la sfiducia nei confronti delle intuizioni come fondamento della morale.
Salve, è molto utile il vostro post, proprio fedele al testo e allo spirito del libro di Rachels; da parte mia ho voluto scrivere della tesi dell'equivalenza per wikipedia http://psicologiaeinterazioni.blogspot.it/2013/01/james-rachels-filosofo-delleutanasia-la.html
RispondiEliminaForza con le idee! (anche se forse per me il tempo per beneficiarne ormai è andato) Saluti!