venerdì 22 dicembre 2006

Già che ci siamo, proibiamo anche i trapianti

L’Agenzia cattolica Zenit ha riportato qualche giorno fa alcune dichiarazioni di scienziati e filosofi di area cattolica, partecipanti a un convegno, che sembrano indicare l’intenzione di riaprire il dossier della concezione legale di morte («Scienziati riuniti a Roma: la morte cerebrale non può essere decisiva per l’espianto degli organi», 14 dicembre 2006). Com’è noto, la Chiesa aveva a suo tempo accettato abbastanza pacificamente la ridefinizione del concetto, da cessazione definitiva delle funzioni cardio-respiratorie a cessazione definitiva delle funzioni del tronco e della corteccia cerebrali; ridefinizione che permette tra l’altro l’espianto di organi per i trapianti. Ma il progresso delle tecniche di sostegno vitale sembra porre in dubbio la nozione che alla perdita delle funzioni cerebrali segua immediatamente anche la fine delle restanti funzioni biologiche; da qui le perplessità raccolte da Zenit:
[Il] professor Roberto De Mattei, Vicepresidente del Consiglio Nazionale delle Ricerche, ha chiesto che “venga messa in discussione questa nozione di morte celebrale” che “risponde più ad un approccio utilitarista determinato dalla pressione di coloro che praticano trapianti piuttosto che un atteggiamento precauzionistico”.
“Nessuno può dimostrare che la morte cerebrale determini la separazione dell’anima dal corpo e dunque la morte reale dell’individuo – ha continuato de Mattei –. C’è un alta probabilità che quel corpo cerebralmente leso conservi ancora un’anima, così come quasi certamente ha un anima l’embrione nella prima fase dello sviluppo”.
“In entrambi i casi – ha concluso il Vicepresidente del CNR – si deve affermare in ‘dubio pro vita’ e cioè nel dubbio bisogna presumere di trovarsi di fronte ad un individuo vivo ed astenersi dal compiere un omicidio. È questo l’insegnamento della Chiesa, che anche il non credente ha sempre condiviso, nel corso dei secoli, come il più idoneo a tutelare e garantire i diritti della persona umana”.
Suscita un certo sgomento (ma purtroppo non molta sorpresa) che un vicepresidente del CNR possa parlare di «separazione dell’anima dal corpo»; la vera preoccupazione, però, è che ci si ritrovi da qui a pochi anni a dover sostenere una lotta estenuante per difendere i trapianti d’organo. Ma forse c’è un limite anche alla hybris della Chiesa...

Aggiornamento: Massimo Adinolfi porta alle logiche conseguenze il ‘ragionamento’ di De Mattei, di cui fornisce en passant un ricordo – o meglio, un non-ricordo – personale («In dubio pro vita», Azioneparallela, 22 dicembre 2006).

2 commenti:

  1. L'impressione invece è che i soloni del pensiero cattolico, non potendo verosimilmente rimangiarsi tutte le amenità sulla sacralità della vita che ci hanno propinato in chiave pro legge 40, si riterranno costretti, alla fine, proprio a rivedere le loro posizioni sui trapianti, perchè da un punto di vista concettuale si trovano attualmente immersi nel guano fino ai capelli.
    Dinanzi allo stesso criterio, l'assenza di funzioni neurologiche, hanno infatti imposto da un lato l'intoccabilità degli aggregati paucicellulari pre-embrionari ed acconsentito dall'altro alle pratiche di espianto. Una posizione schizofrenica che appare francamente insostenibile.
    A meno che qualcuno fra loro non ci stupisca con qualche strabiliante gioco di prestigio filosofico in grado di superare questa evidente contraddizione...

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  2. Mi associo a quanto detto da Filippo.
    Quello che mi chiedo io è quando si supererà la linea di demarcazione che consentirà anche ai bradipi nelle cariche alte di accorgersi che non possiamo lasciare il compito di proibire o concedere a chi quest'autorità se l'è presa senza alcun diritto.

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