mercoledì 27 dicembre 2006

Un appello e una riflessione

Riceviamo e volentieri pubblichiamo un appello del Comitato Cremonese per la Libertà di Cura e di Ricerca Scientifica a sostegno del Dott. Mario Riccio.
Rispondendo con generosità e coscienza alle insistenti richieste di Piergiorgio Welby di sospendere le terapie divenute per lui ormai insostenibili, il dottor Mario Riccio ha messo a disposizione le proprie competenze professionali affinché Welby potesse esercitare questo suo diritto.
Il gesto del dottor Riccio, pur approvato dalla maggioranza dei cittadini, ha suscitato reazioni scomposte da parte di sedicenti fautori della sacralità della vita che strumentalmente chiedono sanzioni severe nei suoi confronti.
Noi sottoscritti riteniamo che il dottor Riccio abbia agito sulla scorta di un alta coscienza morale, nel pieno della legalità e della deontologia professionale.
Siamo orgogliosi che in Italia ci siano cittadini attenti e medici coscienziosi come il dottor Riccio, al quale manifestiamo la nostra piena solidarietà.
Confidiamo che i procedimenti giuridici minacciati contro di lui vengano al più presto archiviati, ribadendo così il diritto individuale di rifiutare le terapie ritenute inappropriate, diritto garantito dalla Costituzione.
Ringraziamo Mario Riccio per aver mostrato come in medicina possa esserci spazio per la compassione e per il rispetto dei diritti civili fondamentali.
Unita all’appello si trova questa bella e utile riflessione del professor Maurizio Mori:
Ci sono almeno tre aspetti del caso Welby e della sua morte che lasciano stupefatti (e amareggiati). Il primo riguarda l’inatteso rigurgito del vitalismo medico, cosicché si dice che il medico dovrebbe sempre fare di tutto per prolungare la vita e procrastinare la morte. Il vitalismo sembra saldarsi con la sacralità della vita asserendo che è la “vita in sé” ad avere valore, portando così a procedere con gli interventi terapeutici indipendentemente dalla volontà degli interessati e dalla qualità della loro esistenza pur di prolungare la vita. C’è d’avere paura del vitalismo, che informa una medicina disumana e irrispettosa del consenso informato dei pazienti. Ciò che vale è la “vita buona”, ossia ricca di contenuti e di quel “sugo” che ciascuno vuole e sa porre nella propria esistenza, fin che può.
L’altro aspetto che stupisce è la continua evasione del problema posto da Welby. Dopo anni di malattia e di riflessione, Welby è giunto a formulare una precisa volontà: voleva rifiutare le terapie che ormai erano diventate insopportabili. Invece di rispettare questa decisione meditata, i vitalisti hanno detto che qualcosa era andato storto e che i suoi desideri non erano autentici, perché altrimenti avrebbe dovuto scegliere diversamente. Insomma, invece di stare sul problema in esame, svicolano su altro – sull’ambiente familiare, quasi insinuando che non fosse all’altezza; o sul contesto culturale edonista. Questo modo di ragionare mostra che il vitalismo non ha alcun rispetto per la persona e per le esigenze della persona: ai vitalisti interessa solo l’astratta salvaguardia della sacralità della vita. Dobbiamo ringraziare il dottor Riccio che, invece, ha preso sul serio e rispettato la richiesta di Welby, mostrando di trattarlo come persona matura e di esercitare una medicina umana che sa sospendere le terapie (come prescritto dal diritto).
L’ultimo aspetto che stupisce riguarda l’accusa di strumentalizzazione: ora che la vicenda Welby ha commosso l’opinione pubblica raccogliendo forti e diffuse simpatie, i cattolici accusano i laici di aver creato troppo clamore su un caso che avrebbe dovuto restare nel silenzio. Eppure, poco più di un anno fa l’agonia di papa Giovanni Paolo II è stata seguita in diretta per giorni con un’attenzione mediatica senza precedenti. Qui i cattolici usano due pesi e due misure: allora quel clamore era buono e benedetto perché il papa accettava la volontà di Dio, mentre ora il clamore sarebbe frutto di una congiura mediatica perché Welby chiedeva di potere sospendere le terapie per non continuare a soffrire e vedere rispettato il proprio piano di vita. Solo il vittimismo di chi si sente ormai accerchiato e non ha più argomenti può portare a simili lamentele.
La realtà è il caso Welby ha commosso l’Italia perché migliaia di persone si trovano in situazione analoga. Benvenuto è il caso Welby, che turba l’opinione pubblica e dà una poderosa picconata al vitalismo sottolineando la centralità della volontà delle persone nelle terapie. Più che di leggi nuove (quelle in vigore sono già abbastanza chiare!) abbiamo bisogno di un nuovo atteggiamento culturale che ci porti ad abbandonare le sopravvivenze culturali derivanti dalla sacralità della vita.

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