L’esigenza del tener conto della volontà e del parere del paziente, esigenza sentita nella dottrina tradizionale della morale cattolica, è collegata al concetto di ordinarietà-straordinarietà che assumono le terapie in relazione alle condizioni fisiche, psicologiche, sociali ed economiche del paziente considerato nella sua situazione concreta. In questo ambito va certamente ascoltato il parere del paziente e va tenuta in conto la sua volontà. Ciò risulta dall’insegnamento valido dai tempi di Pio XII (cfr. Discorso del 24-11-1957) ad oggi. Ci può essere una terapia che in sé stessa risulta proporzionata dal punto di vista medico, ma che il singolo paziente giudica come straordinaria e non appropriata alle sue condizioni. E, si badi bene, ciò che è straordinario, non è moralmente proibito, bensì soltanto non obbligatorio. Si può dare il caso di un intervento costoso oppure rischioso per un determinato soggetto, che pur essendo medicalmente proporzionato, non è sopportabile da quel soggetto, o non lo è più ad un certo momento, per situazioni di carattere personale. Tali condizioni, peraltro, pur nascendo in relazione ad un soggetto, hanno un’oggettività e una rilevanza in base alle quali il soggetto stesso può dare il consenso oppure può chiedere legittimamente di rinunciarvi. In sintesi sono due i criteri che vanno coniugati: quando si tratta di terapie proporzionate (dal punto di vista medico) e ordinarie (dal punto di vista del paziente), c’è l’obbligo morale di offrirle e di accettarle (a parte la possibilità giuridica di rifiutarle); circa le terapie sproporzionate (ordinarie o straordinarie che siano), sussiste il dovere etico di rifiutarle, ordinariamente; per quanto riguarda poi le terapie medicalmente proporzionate, ma che risultassero straordinarie per il paziente, egli non sarà moralmente obbligato a sottoporvisi, ma potrà lecitamente farlo se lo decide: l’offerta e l’accettazione dipendono dalla matura e prudente scelta del paziente.«Una terapia che in sé stessa risulta proporzionata dal punto di vista medico, ma che il singolo paziente giudica come straordinaria e non appropriata alle sue condizioni»: non è una descrizione quasi perfetta della terapia a cui era sottoposto Piergiorgio Welby? Sembra chiaro, dal resto dell’articolo, che Sgreccia non ha nessuna intenzione di condonare il gesto di Welby, ma in questo modo, mi sembra, introduce una contraddizione nel suo discorso.
Su se stesso, sul proprio corpo e sulla propria mente, l’individuo è sovrano
John Stuart Mill, La libertà
mercoledì 24 gennaio 2007
Monsignor Sgreccia concede troppo?
Sul Corriere della Sera di ieri Monsignor Elio Sgreccia, pur partendo con la chiara intenzione di correggere le concessioni del Cardinal Martini di tre giorni fa, sembra curiosamente fare a sua volta concessioni importanti (Elio Sgreccia, «Si dà la morte anche omettendo le cure», 23 gennaio 2007):
Il Cardinal Martini ha espresso idee che possono essere condivise anche da chi, come me, non è credente. Con questo scarto rispetto alle posizioni più dogmatiche ha sicuramente "costretto" le gerarchie cattoliche ad accantonare lo scontro per più gesuitici distinguo. Credo che il fronte laico debba accettare la discussione con modi meno ideologici del passato. Magari così si potrà giungere a qualche risultato legislativo in tempi rapidi. I pazienti interessati lo aspettano e non solo loro.
RispondiEliminawelby era un caso di accanimento terapeutico. Lui scelse di farne un caso di Eutanasia. Scelta sua, anche per attaccare la chiesa, un suo diritto.
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