Dopo mesi che me la prendo con quelli che condannano i Pacs ho avuto una illuminazione. Ho capito all’improvviso le ragioni per cui i Pacs non vanno bene.
Provate a immaginarvi in una cena con persone che in parte non conoscete.
Prima scena (interno, notte): ci si avvicina scrutandosi.
Seconda scena (interno, notte): ci si scambiano sguardi sempre più ravvicinati timidi o curiosi.
Terza scena (interno, notte): (gli invitati si tendono le mani)
“Ti presento mia moglie Caterina”.
“Molto piacere, Federica. Lui è mio marito Mario”.
“Molto lieto. E loro sono i coniugi Arnone”.
Provate a ripetere le medesime scene in assenza del sacro vincolo del matrimonio.
Prima scena (interno, notte): ci si avvicina scrutandosi.
Seconda scena (interno, notte): ci si scambiano sguardi sempre più ravvicinati timidi o curiosi.
Terza scena (interno, notte): (gli invitati si tendono le mani)
“Ti presento la mia donna, cioè convivente – con tanto di Pacs, eh! – insomma questa è Caterina”.
“Molto piacere, Federica. Lui è il mio... compagno, il mio equivalente di marito, Mario”.
“Molto lieto. E loro sono i pacsati Arnone”.
Non va bene. È peggio di quando bisogna definire il proprio fidanzato perché non puoi o non vuoi limitarti a usare il suo nome proprio e devi scegliere tra alternative insoddisfacenti: moroso, partner, ragazzo, uomo, promesso sposo (ci risiamo), amante (è ambiguo), amico (strizzando l’occhio), ganzo, innamorato.
Il matrimonio dissolve questo imbarazzo. Marito e moglie. Semplice. Efficace. Esteticamente appagante. Aggraziato.
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