Come rivoteremo alle politiche? Il dibattito già infuria perché sulla riforma del sistema elettorale pende un referendum, il che irrita i partiti. Questa partita, ritengono, ci spetta, è cosa nostra. Il dibattito sarebbe noioso se non fosse innovato e vivacizzato dalle nuove stupidate che ne emergono. Fino a poco fa, toccare il maggioritario era sacrilegio perché era attentare al bipolarismo, perché chi voleva la proporzionale era un subdolo «centrista» atteso a silurare la democrazia dell’alternanza. Poi Berlusconi e Lega ci hanno imposto il Porcellum, che è un sistema proporzionale (sia pure di tipo «porcata»). Dopodiché i più sono diventati proporzionalisti. Ma come? Non vogliamo più il bipolarismo e l’alternanza? No, anzi, li vogliamo sempre più. Ma, se così, cosa è successo? Dicevamo cretinate prima (da maggioritari), oppure le diciamo ora (da proporzionalisti)? Secondo me, sia prima che ora.
Intanto il fatto è che il nostro ministro per le Riforme on. Chiti ha doverosamente fatto il giro delle sette chiese ricavandone che esiste un nuovo consenso. Che non è – figurarsi – su modelli collaudati, ma invece su «un nuovo modello italiano» che deve per forza essere nuovo (visto che i precedenti hanno fatto fiasco), ma che poi tanto nuovo non è. Difatti si ispira al cosiddetto Tatarellum, e cioè al sistema vigente per le elezioni regionali. Ne riassumo gli estremi: 1) rappresentanza proporzionale con elezione diretta del presidente della Regione; 2) divieto di ribaltone: se il presidente cade si deve rivotare; 3) premio di maggioranza alla coalizione vincente. E tanto basta per dichiarare il Tatarellum l’impasto di tutte le assurdità elettorali inventate dal genio italico negli ultimi anni. È un impasto che abbiamo digerito perché si divide per venti (tante quante sono le nostre regioni), e quindi perché funziona, maluccio, su piccola scala. Ma venti «malucci» sommati assieme ci darebbero un inaccettabile «malissimo» a livello nazionale. Prescindiamo dal fatto che per un sistema parlamentare sia l’elezione diretta (sub 1) quanto il divieto di ribaltone (sub 2) appaiono norme incostituzionali che violano il principio della sovranità del Parlamento. Resta che anche la terza proposta proprio non va.
Finché vigeva il Mattarellum le alleanze elettorali non erano tenute a includere cani e gatti. Infatti l’uninominale consentiva accordi reciproci di desistenza: io mi ritiro in questo collegio e tu ti ritiri, in compenso, in quest’altro collegio. Il primo governo Prodi vinse l’elezione con le desistenze concordate con Rifondazione comunista. Poi cadde perché Prodi è un «duro» incapace di flessibilità. Ma allora il centrosinistra continuò a governare proprio perché Bertinotti era sostituibile. Il secondo governo Prodi è caratterizzato, invece, dalla inclusione di tutte le estreme (di sinistra) nel suo governo. Risultato: in passato Prodi avrebbe potuto accettare, volendo, voti esterni alla stessa stregua con la quale accettava il voto esterno di Bertinotti. Ora non più. Ora si è incastrato: gli estremisti li ha in casa. E questo imbottigliamento verrebbe sanzionato dal Tatarellum nazionalizzato. Perché una coalizione con premio di maggioranza obbliga a mettersi in casa tutti coloro che ne dovrebbero essere lasciati fuori. Il problema italiano non è il bipolarismo a livello elettorale ma a livello di governo. È che noi stiamo fabbricando «poli» sempre più eterogenei al loro interno e blindati al loro esterno. L’esatto contrario di quel che dovrebbe essere. E le coalizioni «maggiorate» sono, appunto, il coronamento di questa distorsione.
Su se stesso, sul proprio corpo e sulla propria mente, l’individuo è sovrano
John Stuart Mill, La libertà
domenica 11 febbraio 2007
Con il Tatarellum di male in peggio
Giovanni Sartori, Il Corriere della Sera, 9 febbraio 2007:
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