domenica 25 febbraio 2007

Il padre dei DiCo si redime

Siamo stati severi, qualche giorno fa qui su Bioetica – e credo a ragione – con Stefano Ceccanti, consigliere giuridico del ministro Pollastrini ed estensore materiale (assieme ad altri) del disegno di legge sui DiCo. Ma ciò non toglie che Ceccanti dica anche cose intelligenti, quando non si trova a dover difendere l’indifendibile. In particolare, un suo articolo sul Foglio di ieri fa giustizia di alcuni luoghi comuni che girano sulle convivenze («Il cattodem Ceccanti si cimenta con la bozza della nota dei vescovi. Un duello in punta di diritto», 24 febbraio 2007, p. 3). Parlando della bozza (trapelata sulla stampa) della futura Nota Cei, che dovrebbe impegnare i politici cattolici a contrastare ogni proposta di legge sui Pacs, Ceccanti afferma:
L’autonomia privata potrà garantire qualcosa come dice il documento del 2003, ma purtroppo non può garantire nessuno dei diritti previsti dai Dico.
La bozza parte dal documento della Congregazione per la Dottrina della fede del 2003 che parla di “autonomia privata […] per tutelare situazioni giuridiche di reciproco interesse”: questa apertura si riferisce a un’area molto ristretta. La bozza, in spirito di ulteriore apertura, vorrebbe ricomprendere in quell’apertura “molti dei diritti di cui parla il presente progetto di legge”. Un’operazione che però, purtroppo, non si può proprio fare. Con tutta evidenza i contratti non possono regolare né una quota di legittima nelle successioni, né diritti previdenziali e pensionistici, né permessi di soggiorno, né far insorgere obblighi alimentari. Neppure possono determinare una giurisprudenza univoca in materia di impresa o di trattamenti sanitari (che infatti ad oggi non è univoca), consentire in caso di conflitto con familiari un effettivo diritto all’assistenza per malattia o ricovero, costituire titolo per trasferimenti e assegnazioni di sede o imporre standard essenziali alla legislazione regionale per alloggi di edilizia pubblica. Né possono espandere al di là delle tipologie di conviventi già tutelati il subentro nel contratto di affitto o l’opposizione alla donazione degli organi. Alla fine, pertanto, se ci si basa solo sul Documento del 2003, bisogna affermare che nessuno di quei diritti è meritevole di tutela da parte del Parlamento, cosa che comunque finirebbe per provocare interventi del potere giudiziario per sanare le più evidenti discriminazioni. Ma è proprio inevitabile restare nei limiti del 2003? La prolusione del cardinale Ruini al Consiglio permanente del settembre 2005 poneva anch’essa la via del diritto comune come strada maestra, ma ricomprendeva poi come subordinata la possibilità di varare “qualora emergessero alcune ulteriori esigenze, specifiche e realmente fondate, eventuali norme a loro tutela” che dovrebbero “rimanere nell’ambito dei diritti e dei doveri delle persone”. Perché non riconfermare anche tale apertura che nella bozza non c’è più?
Da leggere anche il resto (che si può integrare utilmente con «Chi si oppone è contrario anche al Trattato costituzionale europeo?», Il Riformista, 14 febbraio 2007, p. 5, dello stesso Ceccanti).

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