sabato 17 febbraio 2007

La smentita di un miracolo annunciato


Francesco Agnoli in I Dico non si fanno per rispetto della libertà, èFamiglia online (Avvenire), 16 febbraio 2007:
In questi giorni, quando si discute dei Dico, ritorna di continuo un vecchio ritornello: «Io, personalmente, non farei nessun Dico. Credo nel matrimonio, nell’amore responsabile, stabile, fedele, fatto di diritti e di doveri. Ma perché impedire i Dico ad altri, che la pensano diversamente, che non hanno la mia stessa visione del matrimonio? Perché imporre ad altri la mia opinione?».
Queste prime righe sono state una promessa di un miracolo (fatta eccezione per l’identificazione tra matrimonio e amore responsabile e così via; ma insomma non si può chiedere ad una zanzara di suonare il pianoforte). Che puntualmente ha mostrato la sua fallacia. Ho pensato: “Francesco Agnoli ha capito uno dei concetti fondamentali della civiltà, uno dei fondamenti dello Stato liberale, conquista politica e culturale rivoluzionaria quasi quanto l’evoluzionismo”. (Chissà che non sia un caso che mi sia venuto in mente tale paragone. Il nostro sembra in difficoltà su entrambi i versanti.)
Dicevo, la smentita di un miracolo annunciato. Alla sesta riga ecco giungere un “In realtà”. Francesco Agnoli ci spiega come stanno davvero le cose, ci racconta cosa si nasconde dietro all’apparente ragionamento (che poi un ragionamento dovrebbe dirsi errato o corretto, coerente o contraddittorio, ma apparente che cosa significa? Che non è un ragionamento, bensì un sofisma – ecco svelato l’arcano. Tuttavia il sofisma non è che un ragionamento capzioso, magari falso, ma è un ragionamento (e quanto i sofisti ragionassero meglio di Agnoli è superfluo dire).
In realtà, dietro questo apparente ragionamento, si nasconde un sofisma: mentre si discute di un argomento, i cosiddetti Dico, mentre si vota per creare o meno un nuovo istituto giuridico, mentre insomma ognuno dice la sua, a favore o contro, per cambiare la società e le sue consuetudini, gli unici che rischiano di tagliarsi fuori sarebbero coloro che si oppongono, coloro che non approvano.
Che cosa ciarla Agnoli? Tagliarsi fuori? Forse non ha capito il ragionamento dal quale è partito. Chi dice: “Non farei x, ma non imporrei agli altri di non fare x” è un buon esempio di essere umano civile e in grado di sottrarsi alla violenza di “Ti obbligo per il tuo bene”. Ma per Agnoli questo è un atto di autocensura.
Bella democrazia, quella in cui qualcuno deve decidere di stare sostanzialmente zitto, omettere di esprimere la propria opinione, auto-censurare il proprio punto di vista! Non è un caso che a ripetere per primi il ritornello, affinché tanti lo imparino a memoria, sono solitamente i radicali. Gli stessi che si scandalizzano quando qualcuno parla di verità, quando qualcuno afferma di credere nella verità, e poi costituiscono un partito per portare avanti, a suon di leggi, referendum e propaganda, le proprie “verità”! Dovrebbe allora anzitutto essere chiara una cosa: chi crede nel matrimonio, come istituto fondamentale su cui si basa la società umana, può e deve sostenere la sua convinzione, allo stesso modo di chi fa il contrario, senza essere accusato, da quest’ultimo, di conculcare la libertà altrui.
È diverso sostenere la propria opinione dall’imporla per legge (o per assenza di legge). Chi crede nel matrimonio si sposa; questo dovrebbe significare che chi crede nel matrimonio deve trascinare fino all’abside tutti i recalcitranti amanti? E poi, caro Agnoli, non hai fatto caso che sei passato da verità (singolare) a verità (plurale)? Slittamento per te casuale, ma involontariamente segnale di quanto sto per ricordarti: chi si batte per la possibilità di scegliere (verità al plurale) non impone a nessuno una visione della vita che è necessariamente personale, soggettiva e non universalizzabile. Chi si batte per la libertà (di divorziare, di abortire, di morire, e così via) riconsegna il destino nelle mani di ciascun individuo, ma non costringe nessuno a una scelta predefinita. Chi vuole divorzia, chi non vuole si ama per tutta la vita o vive da separato in casa. Insomma, ognuno fa come vuole (con i limiti segnati dal principio del danno su cui ora non ho voglia di soffermarmi).
Ma Agnoli non sa di cosa sta parlando. Non sceglie il silenzio dinnanzi a faccende che gli si negano, ma la presunzione di essere portatore di Verità (quella al singolare).
Detto questo, è bene ricordare alcuni concetti innati nell’uomo, anche in quello pagano dell’antica Grecia.
Se sono innati (ovvero legati alla natura umana, alla natura dell’homo sapiens) certo che ce l’hanno pure i greci (pure tanti altri che Agnoli escluderebbe). Ma non è ancora arrivato il meglio.
l’uomo, come scriveva Aristotele, è un animale sociale, politico, che vive in relazione con gli altri, e che non può fare altrimenti. Agli altri si interessa, con gli altri vive, gioisce, soffre, costruisce e distrugge... Il poeta latino Terenzio scriveva: «Sono uomo, e nulla di ciò che è umano considero a me estraneo». Il pensiero liberale individualista, invece, sostiene che ognuno fa quello che vuole, perché ognuno è padrone di se stesso, della sua vita, e può disporne a piacimento; e sostiene che qui starebbe la vera libertà, la vera realizzazione dell’uomo. Afferma che ognuno deve perseguire il proprio interesse, ripiegarsi sul proprio io, escludere gli altri dal proprio orizzonte. Ma questo ragionare, oltre che profondamente egoistico, non è neppure umano. Non siamo monadi, esseri assoluti svincolati da tutto e dal prossimo, «atomi nello spazio e attimi nel tempo», bensì creature con dei legami, con un passato, una storia, un’origine, e in qualche modo già artefici del futuro. Come alberi piantati a terra, con le radici, e con i rami tesi verso il cielo, e verso il futuro. Nasciamo da una relazione, ci sviluppiamo nell’utero materno, in relazione con nostra madre, cresciamo in un tessuto di relazioni, che non ci limitano, nella nostra libertà, ma ci realizzano e ci completano. Poi diveniamo adulti, indipendenti, si fa per dire, magari pure benestanti, e qualcuno si illude di poter fare da solo, decidere da solo, realizzare da solo la propria felicità. Così, divenuti cinici, riduciamo il lavoro a competizione, la vita a una giungla in cui vige la legge del più forte, e la vita affettiva a esperienza solamente individuale e privata, come un oggetto di nostra appartenenza. Così riduciamo spesso il sesso a qualcosa di svincolato dall’altro, non come relazione, ma come auto-realizzazione, in cui il prossimo diviene mezzo, e non più fine (il famoso “amore sicuro”).
Difficile governare i pensieri eh? Inutile rispondere a chi non si è preso nemmeno la briga di conoscere la storia del pensiero umano, e farfuglia parole la cui eco scolastica ammanta di ridicolo. La legge del più forte? Io rinuncio, l’unica risposta che mi viene in mente è quanto diceva Woddy Allen a proposito di masturbazione: è fare del sesso con qualcuno che stimate veramente!

Anche ad Agnoli sorge un dubbio (non sulla masturbazione, né sulla sua inconsistenza cerebrale):
Tutto questo per dire cosa? Che la relazione matrimoniale è alla base di una società umana: «dal dì che nozze e tribunali ed are/ dieder alle umane belve essere pietose/ di sé stesse e d’altrui...». Così scriveva Ugo Foscolo, non certo un cattolico bigotto: la civiltà è nata intorno all’istituto del matrimonio e al diritto, inteso come sforzo di regolare e raggiungere il bene comune, non quello individuale, particolare, personale... Il matrimonio, che è nato dalla pietas per noi stessi e per gli altri, come scrive Foscolo, che è per l’uomo, è allora il luogo della vita affettiva, quello in cui cresciamo come figli, in cui impariamo a relazionarci col nostro prossimo, il più prossimo possibile, per crescere con un equilibrio interiore, sapendo di essere amati, veramente, e cioè stabilmente.
Ulteriore rimembranza liceale, Foscolo è vissuto un paio di secoli fa. Senza scivolare in una ingenua visione di perfettibilità del genere umano e della società, è lecito tuttavia domandarsi se il giudizio di Foscolo sul matrimonio sia non pertinente. Poetico, per carità, ma non pertinente. (E di citazione che smentirebbero Foscolo ce ne sarebbero molte, ma avrebbe un senso procedere a colpi di “X ha detto” “Y ha detto”?).
E infine la conclusione.
Dire no ai Dico significa allora continuare a credere nel matrimonio, nelle nozze civilizzatrici, nel diritto come tutela del bene comune, nell’uomo come animale sociale... Abbiamo una visione del mondo, un’idea di uomo, perché tutto ciò che è umano ci interessa, ci sta a cuore: e abbiamo il dovere, sacrosanto, di dirlo, di crederci, di batterci per questo... contro la società disgregata, in cui ognuno fa e disfa, senza neppure trattative, assume diritti e rifiuta doveri, in nome del suo io, più o meno gonfio, più o meno smarrito, più o meno disorientato. Se chi propone i Dico dice di farlo per gli altri, è bene dire che gli altri non hanno bisogno di questo, ma di altro: del matrimonio, dell’assunzione di responsabilità, di fronte a chi amano e alla società! Diciamolo ad alta voce, senza paura: diciamo no ai Dico, né carne né pesce, né pasta né minestra, costruzione giuridica artificiosa, incomprensibile, nata attraverso cavilli e mediazioni continue, a metà tra qualcosa e qualcos’altro, tra la convivenza e il matrimonio, inafferrabile e disorientante.
Non sono per l’uomo, ma contro di lui. Se ne accorgerebbero soprattutto le generazioni future: generazioni che partirebbero già col piede sbagliato, se gli spiegassimo, noi, oggi, che l’amore non è una dedizione totale, ma un patto momentaneo, un momento, un attimo, per quanto “ben” regolamentato. Lo scriveva anche Verga: abbiamo bisogno di uno scoglio, di una certezza, quella della famiglia, e coloro che vogliono abbandonare lo scoglio, la realtà umana e naturale che ci è propria e che ci corrisponde, per brama di ignoto, di meglio, o per puro egoismo, sono destinati a naufragare. Mancano forse i naufragi, nella odierna disgregazione delle famiglie, perché qualcuno possa dire che ciò che si è detto non è sperimentabile?
Strano che tra la citazione non siano comparsi I Promessi Sposi, incredibilmente inerenti per argomento e soprattutto sopravvissuti eterni nelle nostre memorie dopo esserceli sorbiti 6 volte nel corso degli anni scolastici.
Ma io ho un dubbio: l’amore è dedizione totale o istupidimento animale? Diciamolo ad alta voce (anche noi), senza paura: diciamo no all’idiozia, all’approssimazione, al vuoto cerebrale. E non mi riferisco ai DiCo.

(In onore di Francesco Agnoli ho creato una nuova etichetta. Spero apprezzi.)

Nessun commento:

Posta un commento