Manifestazione a Roma scelta discutibile.
Riflettiamo sulla famiglia e ne riconosceremo la necessità storica, sociale e antropologica, Avvenire, 4 marzo 2007.
Il prossimo 10 marzo Roma ospiterà una manifestazione promossa dall’Arcigay, cui è già stato concesso il patrocinio del Comune. È ancora poco chiaro se la manifestazione sarà polemica con Prodi («Siamo stati mollati dal presidente del Consiglio», sembra che abbia dichiarato Aurelio Mancuso, segretario nazionale di Arcigay, aggiungendo di essere «molto amareggiato» per le parole pronunciate dal capo del Governo durante la replica al Senato) o se si limiterà a una pressione di piazza perché il Parlamento proceda rapidamente all’approvazione dei Di.co. Quello che è certo è che la manifestazione avrà sicuramente una valenza che andrà al di là del dibattito politico contingente. Se lo slogan dominante, come è stato annunciato, sarà: diritti ora, la manifestazione si concretizzerà nella rivendicazione del riconoscimento pubblico e legale di un modo altro non solo di vivere la sessualità, ma di pensare la famiglia, le relazioni interpersonali, l’identità individuale e di conseguenza né più né meno che la stessa vita collettiva. Si moltiplicheranno certamente gli inviti a liberare la legislazione da ogni subordinazione alla natura, nella pretesa illusoria che l’uomo possa liberamente plasmarsi a suo completo piacimento e a suo insindacabile arbitrio.Il modo altro di vivere la sessualità, di pensare la famiglia, le relazioni interpersonali, l’identità individuale e di conseguenza né più né meno che la stessa vita collettiva (addirittura!): altro rispetto alle preferenze di Francesco D’Agostino? Perché è davvero difficile accettare che esista Una Verità in materia di sessualità, rapporti familiari, relazioni interpersonali, identità individuale e vita collettiva in opposizione alla quale i facinorosi manifestanti vogliono proporre una Verità Sbagliata. Intestardendosi a suggerire che non di Una Verità si deve parlare, ma di una preferenza (legittima) che non deve offendere e escludere le altre preferenze (legittime) in nome di un falso dio. Quali assurdità! Essere tracotanti, opporsi alla Natura (se qualche volenteroso volesse spiegarmi di cosa si tratta, gliene sarò eternamente grata, non per qualche giorno, ma per l’eternità), pensare di godere di uno spazio di libertà, opporsi all’idea di essere eterodeterminati e creati da dio.
Non esiste una famiglia naturale da imporre a tutti; esiste (dovrebbe esistere) la possibilità di scegliere in che modo vivere (tenendo fermo il limite del danno a terzi: ma chi sarebbe danneggiato dalle garanzie alle unioni civili? Chi sarebbe danneggiato da un modello familiare diverso dall’ingenuo modello d’agostiniano di madre + padre + figli?).
E in chiusura D’Agostino sembra abbracciare una idea bizzarra quanto diffusa: che la libertà significhi arbitrio e assenza di regole. Anarchia e disordine. La libertà non può essere ridotta a questa caricatura. La libertà individuale è un bene prezioso e che accetta limiti e argini. Ma questi limiti devono essere ragionevolmente sostenuti, non costruiti su pregiudizi e idee personali (legittime, ma non universalizzabili. E soprattutto, da non imporre con una legge o con una mancata legge).
Questa linea, del resto, non è futuribile: è già stata tracciata dalla Spagna di Zapatero, che, approvando la normativa sul cambiamento anagrafico di sesso su mera richiesta del soggetto, ha aggiunto un’ulteriore e decisiva pennellata alla rimozione di ogni rilievo giuridico dell’identità sessuale naturale. Ebbene, ad una manifestazione che abbia come fine ultimo quello di negare quella stabilità, che all’uomo è dato esperire radicandosi nella natura, bisogna dire di no. Questo no si badi bene non è rivolto agli omosessuali in quanto tali, che abbiamo tutti il dovere di considerare amici, fratelli, concittadini, persone, ma ad una visione del mondo (che peraltro non tutti i gay condividono) assieme errata e ingenua, quella per la quale la differenza sessuale debba essere ritenuta irrilevante, perché la nostra identità non dipenderebbe dal nostro volto, ma dalla maschera che decidiamo, occasionalmente, di indossare per nasconderlo.Irresistibile il richiamo a Zapatero, metà diavolo metà sciroccato, che avrebbe compiuto un passo ulteriore nella disgregazione dei Valori e della Verità. L’identità sessuale naturale è molto più incerta di quanto D’Agostino vorrebbe. E non è certamente riducibile a un calcolo di geni e DNA, ma emerge da scelte, da preferenze, dalla vita che ognuno di noi vive e costruisce. Inquietante che D’Agostino senta la necessità di mettere le mani avanti: “il no non è rivolto agli omosessuali in quanto tali” (c’è bisogno di dirlo? Forse sì, purtroppo). E avrei la tentazione di rispedire al mittente l’amicizia e la fratellanza, perché condizionate da una visione del mondo ristretta e offensiva. La questione non è quella di considerare la differenza sessuale irrilevante, ma di non ridurla a qualcosa di prestabilito e di fisso, a un gioco di volti e maschere.
E allora come valutare la giornata del 10 marzo? Se ne può fare un buon uso? Il Comune di Roma evidentemente pensa di sì, dato che alla giornata ha discutibilmente concesso il suo patrocinio. Una scelta che non peggiorerà solo a condizione che ricordi al movimento gay che è giusto essere fieri solamente di ciò che si fa, non di ciò che si è. Costruire insieme (senza discriminarsi mai a vicenda) una società più giusta: se questo fosse l’appello che provenisse dalla manifestazione del 10 marzo, come rifiutarsi di ascoltarlo? Ma per operare a favore di una società più giusta bisogna togliersi le maschere (o rifiutarsi di indossarle, se non a carnevale) e aprire una riflessione seria, argomentata, non ideologica sull’identità umana e sui suoi bisogni. Riflettiamo sulla famiglia e ne riconosceremo la necessarietà storica, sociale e antropologica; riflettiamo sui diritti e capiremo che non ci è lecito confonderli con le pretese soggettive e arbitrarie dei singoli; riflettiamo sulla sessualità e arriveremo a concludere che esiste una sola grande dicotomia, quella maschio/femmina, che è semplicemente illusorio negare. Alcuni vogliono manifestare? Lo facciano; è un loro diritto, che tutti riconosciamo. Ma che tutti e non solo alcuni siano chiamati a ragionare su valori umani fondamentali è qualcosa di più di un diritto: è un dovere e una necessità.Perché non si potrebbe essere anche fieri di ciò che si è? Perché se la si pensa come D’Agostino, che “quello che si è” è determinato da qualcun altro è chiaro che noi non c’entriamo nulla. Ma in quello che siamo entra anche la nostra volontà, e di questo possiamo essere fieri o vergognosi. Prima di invitare gli altri a togliersi le maschere, D’Agostino dovrebbe deporre la sua da censore e da inguaribile semplificatore. Tra i diritti fondamentali, caro D’Agostino, c’è quello di essere rispettati. E chiedere che unioni diverse da quella tradizionale del matrimonio siano protette è chiedere rispetto. È chiedere che si possa essere considerati compagni di vita di qualcuno senza scambiarsi vane parole in un abside di una chiesa; è chiedere di essere considerati validi interpreti della volontà di un altro anche senza fedi benedette (dobbiamo forse ricordare gli innumerevoli casi di persone escluse da ospedali o da funerali perché non consorti consacrati del proprio compagno malato o morto?); è chiedere di non essere estromessi dalla casa in cui si è vissuti o di avere una qualche voce sui figli cresciuti insieme.
Ciò che mi spaventa è che persone come questa occupano cattedre universitarie e rivestono incarichi di alto livello nel panorama dell'intellighenzia italiana ed internazionale.
RispondiEliminaSono questi i più pericolosi: coloro i quali ammantano di scientificità le proprie tesi balorde ed ottuse, degne dell'ultimo bifolco di provincia.
Bisogna temere i D'Agostino ben più dei fascistelli di quartiere.
"riflettiamo sulla sessualità e arriveremo a concludere che esiste una sola grande dicotomia, quella maschio/femmina, che è semplicemente illusorio negare"
RispondiEliminaIo sarò anche una giovane ragazzina ignorante, debosciata e psicopatica, almeno nella testa di questo signore, ma a me pare che si neghi molto di più l'essere maschio o femmina pretendendo che esso sia valido solo in funzione di un rapporto col sesso opposto e che perda di significato in tutti gli altri. Se essere maschi o femmine ha un valore intrinseco allora questo valore non dovrebbe essere minimamente scalfito dalle condizioni di vita del soggetto: una suora è meno donna? Un prete è meno uomo? Nessuno si è mai azzardato a dirlo ed è palese a tutti l'assurdità di questa affermazione.
Allora perchè una lesbica dovrebbe essere meno donna o un gay meno uomo? E io che sono bisessuale cosa sono, ermafrodita?
Se si fa una distinzione tra orientamento sessuale ed identità di genere ci sarà pure un motivo...
"Una scelta che non peggiorerà solo a condizione che ricordi al movimento gay che è giusto essere fieri solamente di ciò che si fa, non di ciò che si è."
RispondiEliminaChiediamo a D'Agostino se è fiero di essere cattolico?