La terapia di conversione provoca disistima e disagio psichico. Alcuni terapeuti tuttavia difendono la loro terapia di conversione come una libera scelta da parte del cliente che è un gay infelice e scontento della propria condizione; invero in una società che discrimina e in cui mancano modelli identificativi, non sorprende che un gay, con omofobia internalizzata, voglia diventare come gli altri, per farsi accettare o semplicemente per avere una vita più facile. Haldeman (1994, p. 226) infatti auspica che «l’attenzione dei professionisti riguardi cosa cambia il pregiudizio e non cosa cambia l’orientamento omosessuale».
In realtà non c’è nessun dato empirico che mostri la validità della terapia di conversione, viziata spesso da errori metodologici. […] In aggiunta, i programmi di conversione si rilevano fallimentari sul lungo periodo.
L’etica impone due considerazioni: primo, è insensato curare una condizione che non è considerata essere una malattia; secondo, proporre una cura significa giustificare e rinforzare il pregiudizio. […]
La psicoterapia affermativa non si configura come sistema di terapia indipendente, ma «afferma» l’orientamento omosessuale come disposizione erotica e affettiva, sottolineando l’impatto dello stigma nel produrre il disagio emotivo dei gay e delle lesbiche.
Maylon (1982, p. 69) ben sintetizza il significato della psicoterapia affermativa:
«La terapia affermativa per i gay usa i metodi terapici tradizionali, ma procede da una prospettiva non tradizionale. Questo approccio riguarda l’omofobia, opposta all’omosessualità, come la maggiore variabile patologica nello sviluppo di certe condizioni sintomatiche nei gay».
L’omofobia viene a far parte dell’Io, influenzando l’autostima e le relazioni oggettuali, e del Super Io, contribuendo alla formazione del senso di colpa e del comportamento autopunitivo. Poiché questo processo precede la formazione dell’identità sessuale, il processo di autoconsapevolezza nell’adolescente gay/lesbica è particolarmente problematico. I pari, così importanti nell’adolescenza per consolidare l’autostima, in questa situazione si schierano dalla parte delle aspettative sociali, così al/lla ragazzo/a gay non resta che assumere un falso sé, fino a che l’accettazione dei propri desideri si esprimerà in seguito nel coming out.
L’approccio affermativo considera l’oppressione che influenza lo sviluppo e l’adattamento della personalità.
L’omofobia interiorizzata ha quindi principalmente due effetti negativi: l’arresto del processo evolutivo e la contaminazione del concetto di sé. La risoluzione dei conflitti omofobici può essere facilitata nel setting clinico con l’accompagnamento di un/una cliente nell’acquisizione di un’identità gay/lesbica positiva, nel fornire abilità di coping per fronteggiare l’indesiderabilità sociale e nell’assecondare l’esplorazione di sé.
Su se stesso, sul proprio corpo e sulla propria mente, l’individuo è sovrano
John Stuart Mill, La libertà
lunedì 19 marzo 2007
Non tutti gli analisti sono come Risé
Margherita Graglia, «L’omofobia istituzionalizzata: il caso della psicoterapia» (Psychomedia, 2000):
Mah, a me sembrano degli omofobi gli stessi medici che vorrebbero guarire gli omosessuali dalla loro presunta patologia.
RispondiEliminaSembrano più guidati dal pregiudizio ideologico che dalla scienza, spetterebbe a loro, infatti, portare dei dati obiettivi (ricerche e studi ripetibili, pubblicazioni su riviste, ecc) a sostegno delle loro convinzioni e non limitarsi ad accusare i loro colleghi di essere vittime e complici della moda.
Giuseppe, forse ti potrebbe interessare questo articolo, attinente al post.
RispondiEliminaAlcuni ricercatori hanno osservato dei montoni per cercare di scoprire le loro inclinazioni sessuali. Pare che le loro osservazioni supportino la teoria che ci sia un fattore genetico all'origine di questa inclinazione o che " may at least contribute to sexual orientation."
Alla luce di questo studio, l'autore dell'articolo da me linkato ( cattolico) si domanda se allora un domani sarebbe possibile anche arrivare alla scoperta di una " cura" per " riorientare" questo gene. E dopo questa osservazione si lancia in voli arditi su che cosa farebbero in quel caso i genitori. Sceglierebbero di intervenire su quel gene, rendendo il loro figlio eterosessuale?
http://www.albertmohler.com/blog_read.php?id=891
Ciao
Angela( MJ)