Un libro non pubblicato somiglia ad una dichiarazione d’amore non pronunciata. Una passione taciuta ma possente, che una volta conosciuta cambia le storie raccontate nella sua ignoranza.
I Principes de Politique di Benjamin Constant sono stati pubblicati per la prima volta nel 1980, a quasi 2 secoli dalla loro composizione, e hanno provocato la reinterpretazione del pensiero di Constant, nonché di tutto il pensiero liberale e di quello politico in generale: l’anello mancante tra Lo Spirito delle Leggi e la Democrazia in America, come Stefano De Luca intitola una paragrafo dell’introduzione alla traduzione italiana (Benjamin Constant, Principi di politica applicabili a tutte le forme di governo, a cura di Stefano De Luca, 2007, Rubbettino).
Compiuti nel 1806 i Principes hanno avuto una gestazione decennale. Anni che seguono la Rivoluzione francese e il Terrore e che si dipanano tra il Direttorio, il colpo di Stato di brumaio e la definitiva ascesa di Napoleone, ovvero la frustrazione di qualsiasi anelito liberale. Frustrazione anche personale, dal momento che nel 1802 Constant è estromesso dal Tribunato.
In questo clima politico e personale asfittico nasce in Constant l’idea di un grande trattato come strumento di rinnovamento per la teoria politica settecentesca travolta dagli eventi storici. Ed è in questo clima che Constant da strenuo difensore della repubblica come unica forma di governo matura una indifferenza per i “mezzi” per insistere sui “principi”. La natura di uno Stato dipende dai principi adottati, e non dalla forma di governo.
Troppo complessa l’opera di Constant per offrirne un resoconto. Tuttavia è possibile individuare il cuore della sua filosofia politica nella trattazione della sovranità popolare e nella difesa appassionata delle libertà individuali. In opposizione netta con Jean Jacques Rousseau, secondo Constant non è sufficiente indicare la fonte del potere per essere al riparo da eventuali abusi. Anche in presenza di una sovranità fondata sul consenso (condizione necessaria ma non sufficiente) ci si può trovare di fronte ad uno Stato dispotico, avverte Constant. E se è innegabile che “nessun gruppo o nessuna associazione parziale può arrogarsi la sovranità a meno che non gli sia stata delegata” è necessario affermare che “da ciò non segue che la totalità dei cittadini, o coloro che da questa sono investiti dell’esercizio della sovranità, possa disporre in maniera sovrana dell’esistenza degli individui”.
Il potere illimitato è tirannico chiunque ne sia il detentore: un monarca, un capo di Stato, il popolo intero. Bisogna tracciare un confine che il potere non può varcare: i diritti individuali inviolabili. È questo a trasformare un sentimento per la libertà in una vera e propria teoria liberale.
La tirannia della maggioranza non è meno orribile della tirannia di uno o di pochi: gli esempi del ventesimo secolo e la riflessione tocquevilliana ci hanno abituato a stare in guardia. Una strada che Constant ha precocemente intrapreso.
(Pubblicato oggi su E Polis con il titolo L’anello mancante dei diritti.)
Altro bellissimo post. Su un autore che amo.
RispondiEliminaNon deve averlo amato troppo Zapatero, quando disse: "I accept that when an overwhelming majority of citizens says something, they are right".