Il dibattito sull’eutanasia è difficile e troppo spesso caratterizzato da irrazionalità e confusione. Leggere può essere utile, a patto che ci si imbatta in letture chiarificatrici.
Come il nuovo libro di Derek Humphry, “Liberi di morire. Le ragioni dell’eutanasia” (Elèuthera, 2007), che si apre con una ricostruzione delle normative nel mondo e che poi affronta la maggior parte delle questioni legate all’eutanasia e alle decisioni di fine vita. Humphry è uno dei fondatori della Hemlock Society (1980) e da anni è impegnato in una battaglia che sarebbe ingeneroso definire per la morte. Piuttosto una battaglia per la libertà di scelta. Questo è forse il cuore del suo pensiero: in presenza di una grave malattia le persone dovrebbero poter scegliere se e quando morire, ovvero di interrompere una sofferenza divenuta intollerabile. L’importanza attribuita da Humphry alla libertà emerge con prepotenza nel racconto di come ha aiutato a morire la sua prima moglie, colpita da un tumore mortale a soli quarantadue anni. «Vorrei non aver dovuto aiutare Jean a morire»: poche parole per sintetizzare il doveroso rispetto per una richiesta terribile. Jean era lucida, condannata ad atroci sofferenze e aveva chiesto al marito di anticipare una morte imminente e ineluttabile.
Come ignorare la sua richiesta? Come risponderle di continuare a soffrire?
Domande che nessuno vorrebbe sentirsi fare, ma voltarsi dall’altra parte non rientra tra le soluzioni. Ignorare la morte non la elimina. Ma relega in una solitudine ancora più dolorosa chi è già tormentato dalla paura e dalla malattia.
(Oggi su E Polis con il titolo La vera libertà è decidere la propria fine)
ah, la mia cara eleuthera:)
RispondiEliminaquei fetentoni di anarchici, sempre a fare i nichilisti! :)