Some tipping points for climate change could be closer than previously thought. Scientists are predicting that the loss of the massive Greenland ice sheet may now be unstoppable and lead to catastrophic sea-level rises around the world.
In drawing together research on tipping points, where damage due to climate change occurs irreversibly and at an increasing rate, the researchers concluded that the risks were much greater than those predicted by the latest report by the Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC).
If the Greenland ice sheet melted completely, for example, it would raise global sea levels by seven metres. According to the IPCC report, the melting should take about 1,000 years. But the study, by Tim Lenton of the University of East Anglia, showed the break-up could happen more quickly, in 300 years. Professor Lenton said: “We know that ice sheets in the last ice age collapsed faster than any current models can capture, so our models are known to be too sluggish.”
His study identified eight tipping points that could be passed by the end of this century. They include the destruction of the Amazon rainforest, the melting of the west Antarctic ice sheet, and a collapse of the global ocean current known as the thermohaline circulation. If that circulation stopped, the Indian monsoons and the gulf stream could be shut down.
Prof Lenton said the IPCC way of working, including multiple reviews, caused it to issue more conservative reports than his team’s studies. He added that the inevitable collapse of the Greenland ice sheet was closer than thought because of the latency in the Earth’s climate system. “If you could stabilise the greenhouse gas levels to today’s level, you’ll still get some further warming [by 2100].”
A global average temperature rise of just 1C would be enough to slip the Greenland ice over the edge. The IPCC’s prediction for 2100 is a rise of 1.1C-6.4C.
Su se stesso, sul proprio corpo e sulla propria mente, l’individuo è sovrano
John Stuart Mill, La libertà
giovedì 16 agosto 2007
Punto di svolta
Alok Jha, «Scientists warn on climate tipping points», The Guardian, 16 agosto 2007:
Se davvero questi radicali cambiamenti climatici sono così prossimi e, come molti dicono, quasi inevitabili, piuttosto che insistere su politiche per ridurre il riscaldamento, non sarebbe più saggio dare il via a politiche per ridurre l'impatto socio-economico e politico dei mutamenti ambientali, ovvero per "convivere" con una Terra più calda, o senza la Corrente del Golfo e i Monsoni?
RispondiEliminaNon mi sembra, difatti, che neppure negli scenarii più foschi il surriscaldamento globale, o le paventate mutazioni climatiche, possano minacciare la sopravvivenza della specie umana.
Poi, su questa faccenda dei cambiamenti climatici, ho un altro dubbio che spesso ritorna.
Io non sono un fisico, un ecologo, uno studioso del clima, ecc.
Però so che spesso delle catastrofi annunciate si sono rivelate dei bluff. So che i meccanismi mediatici sono in grado di innescare credenze collettive a volte del tutto infondate. Conosco i meccanismi indagati dalla sociologia della conoscenza, su come credenze errate o dubbie possano essere sostenute come certe e indubitabili nelle accademie e anche dai migliori cervelli. So, poi, che sulle questioni climatiche, ci sono ENORMI interessi in gioco, economici e politici, sia da parte dei cosiddetti catastrofisti, sia da chi ci dice che tutto va bene.
Quindi, non avendo io gli strumenti e le conoscenze tecniche per ragionare sulla plausibilità degli allarmi sul cambiamento climatico, per quali motivi dovrei dar retta ai "apocalittici" piuttosto che agli "integrati", fossero pure i primi un'ampia maggioranza?...
Convivere con una Terra senza i monsoni non sarebbe per nulla agevole, soprattutto per chi abita nelle zone interessate. Non occorre arrivare a una minaccia per la sopravvivenza della specie umana per trovare una situazione intollerabile: carestie e migrazioni di massa non saranno la fine della specie, ma sarebbero comunque vere tragedie. E anche se è vero che occorre confrontare i costi delle varie alternative, rimane comunque che ridurre la dipendenza dai combustibili fossili è fattibile, ridurrebbe le conseguenze del riscaldamento globale, e avrebbe anche altri benefici (minore dipendenza da dittatori inaffidabili per l'approvvigionamento energetico, per esempio).
RispondiEliminaQuanto a chi dare retta: da una parte hai la parte maggiore della comunità scientifica competente (che non è comunque semplicisticamente "catastrofista": le incertezze sono ammesse senza problemi), dall'altra quasi solo autoproclamati "esperti" che risultano regolarmente al soldo delle compagnie petrolifere: di chi ti fidi? E chi ha i maggiori interessi in gioco? Io non ho dubbi...
Per yupa. Hai ragione, secondo molti i cambiamenti climatici sono inevitabili; quello che non si conosce è l'entità di questo cambiamento, e di quanto sia possibile fermarlo. Per questo ci sono due approcci al riscaldamento globale, che verranno tra l'altro presentati alla prossima conferenza a settembre, organizzata da Cnr, Enea, Ministero, Apat e altri enti. Il primo è la remediation, cioè il tentatifvo di rimettere le cose a posto, abbassando essenzialmente la dipendenza dai combustibili fossili e smettendola di abbattere le foreste e inquinare il mare. La seconda strategia è quella che dici tu, la mitigation, per combattere le conseguenze. Le strategie non sono mutualmente esclusive, e le strade possono essere percorse entrambe. Poi, coma hai detto anche tu, in pericolo non è la terra, o la specie umana (un angolino dove qualche sfigato sopravvivere lo si troverà sempre, magari in Norvegia). In pericolo è la civiltà come la conosciamo ora. La Terra non ha affatto problemi, come pianeta, anzi credo che le farà piacere...
RispondiEliminaLa risposta di Regalzi sulla distinzione tra apocalittici e scettici è giusta solo in parte. Come in tutte le dicotomie, ci sono verità e imprecisioni (non falsità). Uno studio fatto da un paio di ricercatori nel 1996 e nel 2003 ha stabilito che ci sono ancora climatologi che non sono affatto d'accordo sulla origine umana del riscaldamento globale. E, per quel che ho capito, non sono proprio tutti pagati dalle grandi imprese. Magari hanno altre motivazioni, anche psicologicamente interessanti, ma credo che alcuni climatologi non si fanno convincere dalle argomentazioni dell'IPCC. Quello che è vero, è che gli interessi politici stanno dalla parte dei negazionisti, non di coloro che affermano la realtà del riscaldamento globale antropogeno. Secondo me sbagliano, ma secondo loro sono in buona fede.
Ah, ma io avevo scritto che dall'altra parte ci sono "quasi solo autoproclamati 'esperti'", quindi sono a posto... ;-)
RispondiEliminaComunque, il sondaggio di cui parli non è privo di problemi: come ammettono gli stessi autori, la domanda posta poteva prestarsi a qualche equivoco, e il campione non è rappresentativo, anzi c'è il sospetto (vedi i commenti al post) che i negazionisti fossero sovrarappresentati. Nel 2004 Naomi Oreskes ha eseguito un altro sondaggio («The Scientific Consensus on Climate Change», Science 306, 2004, p. 1686), in cui si esaminavano 928 articoli sul cambiamento climatico usciti su riviste scientifiche tra il 1993 e il 2003: ebbene, nemmeno uno negava che il riscaldamento globale in corso fosse di origine antropogenica...
E' vero, ma io sul blog di Tim Lambert (Deltoid, sui blog di Seed) ho letto che lui (non certo un negazionista) non era d'accordo sulle modalità di raccolta dati. Comunque, non volevo smentirti - ci mancherebbe - ma solo dire che la situazione è molto più complicata di quanto la facciano i miei colleghi (purtroppo sono anch'io giornalista). La ricerca della Oreskes è esemplare, da questo punto di vista. E infatti su un blog di Nature che citi tu c'è chi si chiede: "Ma questi negazionisti, che non sono zero, pubblicano mai su riviste peer reviewed?"
RispondiElimina"ma io sul blog di Tim Lambert (Deltoid, sui blog di Seed) ho letto che lui (non certo un negazionista) non era d'accordo sulle modalità di raccolta dati"
RispondiEliminaDirei che qui c'è una congiunzione avversativa di troppo... ;-)
Lambert (il cui blog consiglio a tutti: è veramente prezioso) solleva appunto il problema della rappresentatività del sondaggio di Storch e Bray, di cui parlavo anch'io (il sondaggio era online, sia pure protetto da password; ma la password era stata rivelata in un forum di negazionisti, con il risultato che ci si può immaginare...). Insomma, non dà nessun valore al sondaggio: tutt'altro.
Per il resto non voglio dire che tutto sia chiaro e stabilito: se esiste un forte consenso sulla realtà del riscaldamento globale e sulla sua origine antropogenica, c'è d'altra parte ancora incertezza sull'evoluzione futura della situazione e su quali siano le migliori strategie per farvi fronte. Penso anch'io che un catastrofismo di maniera sia controproducente; allo stesso tempo, mi pare di vedere degli accenni nei media di un maggior peso conferito ai negazionisti (l'altro giorno sul Foglio si diceva che questa era stata un'estate fresca, e che quindi il riscaldamento globale è una balla...), e questo mi sembra ancora più preoccupante...
Forse è il caso che smettiamo... Stiamo dicendo quasi esattamente la stessa cosa. E sono d'accordo anche sull'ultimo periodo. Ma qui si solleverebbe una questione enorme, quella della divulgazione e preparazione dei "facitori di notizie". Che, a mio parere, in argomenti scientifici è quasi nulla o addirittura negativa (se può esistere una preparazione negativa). Voglio dire che su questa storia, come su altri argomenti scientifici (vedi l'evoluzione, vedi quel che è successo sui giornali dopo la messa in onda di "Evoluti per caso"), stiamo scontando da parte della stampa italiana una impostazione che verrebbe da definire preottocentesca; insomma, sono idealisti crociani. Non hanno la più pallida idea di cosa siano i meccanismi di creazione della notizia scientifica, né di come si arrivi al consenso per una scoperta, ma pontificano e concionano come se fossero i più grossi esperti del mondo. In più alcuni (vedi il ciccione del Foglio) sono così pregiudizialmente contro la scienza e la cultura scientifica, che non perdono occasione per far vedere quanto sono ignoranti. E se ne vantano (quante gente hai sentito dire gongolando "Io non capisco la matematica")?
RispondiEliminaBasta, se no mi arrabbio ancora di più