Francesco D’Agostino commenta la
sentenza della Corte di Cassazione sul caso di Eluana Englaro («
Se i soldi sono garantiti più della vita»,
Avvenire, 18 ottobre 2007, p. 1):
Eluana è in coma persistente da anni e anni. Non è morta; è malata. La sua vita ha la stessa dignità di ogni altra vita, malata o sana, perché nessuna malattia, per quanto terribile, può togliere dignità a una persona (anzi, in realtà l’accresce).
Per il professor D’Agostino, dunque, la malattia accresce la nostra dignità. Potreste osservargli che, in una data circostanza, avete sentito o sentireste la vostra dignità avvilita e annullata; ma lui vi risponderà che vi sbagliate. Inutile replicare che nessuno meglio di voi può giudicare ciò che sentite e preferite; la dignità non è, per lui, qualcosa che ha a che fare con percezioni e preferenze: è qualcosa di impersonale, un fluido sottile, un
mana sacro che permea il vostro corpo. Rassegnatevi, dunque.
Non esistono criteri scientifici per accertare se il coma di cui essa è preda sia o no irreversibile. In linea di principio Eluana potrebbe riacquistare la coscienza; è improbabile, ma è possibile; è quanto basta per affermare che essa ha il pieno diritto (oltre tutto di rango costituzionale) di essere curata ed accudita.
Se Eluana si risvegliasse dopo 15 anni di stato vegetativo persistente (non di coma), sarebbe il primo caso al mondo. Sappiamo anche perché versa in quello stato: perché un danno cerebrale gravissimo ha colpito i centri deputati alla coscienza. Se questi non sono criteri scientifici, il professor D’Agostino si faccia promotore di una legge che obblighi all’accanimento terapeutico: come fa, infatti, a essere sicuro che un malato terminale non guarisca all’ultimissimo minuto, traendo beneficio da una terapia che in tutti gli altri casi si era rivelata inutile? È improbabile, ma è possibile. Prema anche per abolire l’intero ordinamento penale (come essere sicuri che non si verifichino errori giudiziari a cui non si giungerà mai a porre riparo?), e per mettere fuori legge tutti gli autoveicoli (le probabilità di ammazzare qualcuno o di ammazzarsi sono infinitamente superiori a quelle di qualsiasi risveglio dallo stato vegetativo).
Il padre chiede da tempo che non venga più alimentata e dissetata; poiché essa è viva (non è – ripetiamolo – in stato di morte cerebrale) ciò che il signor Englaro domanda è, né più né meno, che la si lasci morire per inedia (una inedia che potrebbe prolungarsi per giorni e giorni).
Più avanti D’Agostino ammette però che in casi come questo il malato privo di coscienza non soffre: perché allora evocare lo spettro della morte per fame? Tanto più che è ormai noto che persino in malati terminali coscienti la sospensione dell’alimentazione e dell’idratazione non è il più delle volte affatto penosa (Ira R. Byock, «
Patient Refusal of Nutrition and Hydration: Walking the Ever-Finer Line»,
American Journal Hospice & Palliative Care, March-April 1995, pp. 8-13).
Si dice: è vero, ma è pur vero che non si devono porre in essere terapie che realizzino un «accanimento» e quello che si chiede per Eluana è che non ci si accanisca più contro di lei. Non c’è dubbio che l’accanimento terapeutico sia sempre condannabile; ma non c’è nemmeno alcun dubbio che Eluana non sia per nulla vittima di un accanimento: nel suo caso non è in questione la sospensione di terapie estreme, tecnologiche, costosissime, tragicamente invasive, del tutto futili, sperimentali […]
Infatti nel caso di Eluana Englaro è in questione il rispetto della volontà del malato e il principio del consenso informato, costituzionalmente garantiti. Possiamo benissimo non chiamare «accanimento terapeutico» la continuazione di terapie ritenute
dal malato invasive e futili, ma la realtà non cambia minimamente.
La Cassazione – indebitamente perché la questione non è giuridica, ma scientifica e bioetica – qualifica alimentazione e idratazione come «atti medici», ma ha torto, perché anche quando questi «atti» fossero posti in essere da medici, e sotto il loro diretto controllo, non muterebbe la loro natura di pratiche di assistenza, finalizzate non ad una specifica terapia (questo e solo questo è propriamente un «atto medico»), ma a garantire quella sopravvivenza del malato, che è il presupposto di ogni terapia e di ogni atto medico propriamente detto.
Sia quale sia la definizione di «atto medico», rimane la ferma proibizione, espressa dall’art. 53 del Codice di deontologia medica (e deducibile dall’art. 13 della Costituzione), di praticare l’alimentazione e l’idratazione forzate contro la volontà della persona. Cosa cambia se quella persona è inerme e incapace di far valere la propria volontà?
Secondo la Cassazione, il tutore di Eluana può legittimamente richiedere la sospensione dell’alimentazione e dell’idratazione, quando si realizzino due condizioni: l’irreversibilità del coma e la prova che in tal senso si fosse espressa in passato Eluana, anche semplicemente in modo orale. […] La seconda condizione lascia a bocca aperta il giurista, anche alle prime armi: sappiamo tutti con quanto rigore la legge esige che una disposizione testamentaria di tipo patrimoniale sia garantita da un notaio o almeno da un inequivocabile atto scritto e come sia di principio escluso un «testamento orale»: come è possibile che la Cassazione non si sia resa conto che con la sua sentenza le successioni patrimoniali vengono garantite giuridicamente più della vita?
Quello che lascia a bocca aperta è che a scrivere queste parole sia un personaggio che si batte da mesi in prima fila per impedire l’introduzione in Italia del testamento biologico, che appunto garantirebbe la validità di un «atto scritto» contenente le disposizioni relative alle terapie a cui essere sottoposti in caso di futura incapacità. In assenza di prescrizioni legali sulla forma che tali disposizioni dovrebbero assumere, mi sembra poi del tutto naturale che si tenti comunque di garantire la volontà espressa dalla persona; come del resto, anche per i rapporti patrimoniali, fanno quelle giurisdizioni (Germania, Austria, alcuni Stati americani, etc.) che ancor oggi riconoscono in determinate circostanze il testamento nuncupativo, cioè orale.
Allora, riassumendo. Non si può staccare la spina ad Eluana perchè non ci sono le sue volontà scritte nere su bianco. Però, non si vuole nemmeno l'istituzione del Testamento Terapeutico , che dovrebbe servire a mettere nero su bianco le prorio volontà. No, non si può, dice, perchè del Testamento biologico non c'è n'è " bisogno". Inoltre, non si vuole introdurre l'eutanasia attiva, quella che permette di " uccidere " attivamente il paziente. Però, non si vuole nemmeno permettere di staccare il sondino ad Eluana , perchè in questo modo morirebbe di fame e sete e questo, va da sè, è crudele e orribile.
RispondiEliminaTutto molto logico.
Più banalmente- se si legge l'articolo di d'agostino senza 4 kg di speck sugli occhi e magari con un filo di intendacchio- intendeva dire che la dignità di una persona è più visibile quando necessita di aiuto: nel frangente della malattia, che sarebbe meglio evitare a chiunque, vediamo quanto la persona vale per noi.
RispondiEliminaE' del tutto evidente che una malattia umilia( o meglio: può umiliare ) chi la vive, ma "ferire o offendere o sminuire la dignità di qualcuno" non ha nulla a che fare con il "diminuire la dignità".
Se la dignità di una persona diminuisse con l'accrescersi della malattia, cioè se il bene leso sfumasse con l'aumento dell'invalidità che quella dignità dovrebbe umiliare, beh, non ci si dovrebbe sentire affatto umiliati...
Il che è una fesseria, ovviamente.
L'articolo di D'Agostino soffre di parecchie pecche, specie appunto nella critica al testamento biologico orale.
Ma informo l'autore del post che il "personaggio":
a) non mi risulta sostenere un'etica della sacralità della vita, come pare di capire da "...mana sacro che permea il vostro corpo...".
b) non "si batte" contro il testamento biologico: argomenta e sostiene.
Nessuna persona seria potrebbe pensare che in bioetica si ragiona a forza di invettive, pamphlet, isteriche chiamate alle armi degli intellettuali e "lotte civili in cui battersi".
saluti, Eno
Ps: Sempre sulla tenuta logica della "confutazione di D'Agostino".
Sul testamento biologico sono largamente favorevole, quindi ritengo la tesi di D'Agostino false nelle conclusioni e nelle premesse.
Tuttavia se una persona lo ritiene inaccettabile in forma scritta e poi sostiene che la Cassazione non può basarsi su una intenzione riportata oralmente, di contraddizione non c'è ombra( è chiara la differenza tra falsità e contraddizione, vero? ).
«La Cassazione non può decidere senza un documento scritto» è compatibilissimo con la prosecuzione «...e del resto un documento scritto su questa materia sarebbe inammissibile. Quindi la Cassazione non poteva decidere in ogni caso.»
E' lo schema logico d'argomentazione della "eliminazione della disgiunzione".
CORREGGO:
RispondiElimina"cioè se il bene leso- la dignità- sfumasse con l'aumento dell'invalidità che appunto umilia tale dignità, beh, non ci si dovrebbe sentire più umiliati di quando si era in salute..."
D'Agostino ha detto "nessuna malattia […] può togliere dignità a una persona (anzi, in realtà l’accresce)"; io ho commentato "Per il professor D’Agostino, dunque, la malattia accresce la nostra dignità".
RispondiEliminaMi pare che questo sia più vicino a quello che intendeva della tua elaborata (e alquanto sgarbata) esegesi...
Sulla dignità e la malattia: spiacente, non ho capito quello che intendi dire. Una forma meno involuta e senza ripensamenti successivi avrebbe aiutato.
Sulla sacralità della vita: a me, invece, risulta (qui e qui, per esempio).
Sul "battersi": è la prima volta che vedo qualcuno attribuire un senso derogatorio a quest'uso della parola...
Sulla contraddizione a proposito di testamento biologico: avresti ragione se D'Agostino avesse ripetuto nell'articolo i suoi argomenti contro le direttive scritte. Ma se qualcuno qualifica un atto scritto come "inequivocabile", e poi tu scopri che altrove ha argomentato proprio contro l'inequivocabilità di un atto scritto, non rimarresti un tantino sorpreso?
Se leggo l'articolo di un filosofo del diritto in cui afferma la necessarità d'un documento scritto per una decisione della cassazione, e NON SO che altrove si è opposto al testamento biologico, neppure mi stupisco.
RispondiEliminaSe so che il filosofo vi si è opposto, integro le due tesi secondo principle of charity ben sapendo che in filosofia di norma ciò che non dice NEMMENO LO SOTTINTENDE.
Parimenti ciò che è omesso, neppure è negato.
E di nuovo, non mi stupisco.
( Da sottolineare che il principio di benevolenza, nonostante il nome da buoni sentimenti, non è una cortese concessione. )
Se invece so che si è opposto al testamento biologico ma presuppongo incoerenza tra i due articoli, beh appunto, era un mio presupposto!
Si chiama malfidenza, non "sorpresa".
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Sull'etica della sacralità, hai ragione e chiedo scusa. Ricordavo bene un articolo in cui un bioeticista cattolico criticava l'etica della sacralità, ma ricordavo male nell'attribuirlo a D'Agostino.
Era invece Massimo Reichlin.
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Mai sentito usare "lotta intellettuale" o "intellettuali in lotta" in senso deteriore? NOOO??
Oh, allora da rimediare subito. Ti consiglio:
"L'abuso della ragione", Friedrich von Hayek
"Perché gli intellettuali si oppongono al capitalismo", Robert Nozick
"Sulla violenza", Hannah Arendt
Tre limpidi argomenti su come e perché nelle più svariate questioni l'intellettuale vessillifero e combattente è sempre un "personaggio", come diresti tu.
Soprattutto, è quasi ineluttabile che codesto lottante non solo stracapisca le questioni politiche che affronta, ma non abbia la minima idea di cosa sia "politica" e che cosa sia "pensare".
Ma se capisco bene, il sito è filo-radicale.
Temo quindi che ti troverai assai male con i primi due autori. Sai, sono liberali.
...
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RispondiEliminaL'argomento sulla dignità, lo ammetto, era esposto in troppa brachilogia.
Ripeto.
La dignità è una categoria di valutazione degli altri e di sé stessi, ed anche il corrispondente metro di valutazione.
C'è una dignità per un gatto, una per una persona, una per un bene inerte che riceve tutto il suo valore da chi lo possiede( insomma, non ha una dignità propria )...
Altra cosa invece è il particolare giudizio di dignità che diamo su noi stessi e sugli altri.
Se sono una persona, il mio metro di dignità sarà più o meno:
(a) non dover essere usato come mezzo o essere reificato, dover essere rispettato nella mia autonomia, potersi esprimere, poter avere vita relazionale etc.
(b) nonché riconoscere la medesima dignità negli altri.
Poi sulla base di questo metro, io posso ritenere la mia situazione di rispetto, di degrado personale, di umiliazione etc. a seconda che si avvicini o si allontani dal punto di riferimento.
Tu invece confondi il giudizio di dignità, maggiore o minore, positivo o negativo, con la dignità stessa.
In realtà, se la malattia sminuisse la dignità- checché possa significare- e rendesse il malato sempre più simile ad un cane o ad un oggetto inerte, vorrebbe solo dire: il suo metro di valutazione è stato intaccato, quantitativamente o qualitativamente, AL RIBASSO.
Se però il metro di valutazione è ritoccato al ribasso, lui non dovrebbe affatto sentirmi svilito.
Si può provare una senso di umiliazione solo se il metro della dignità, che dà la distanza dalla condizione normale, rimane del tutto intatto.
Ma di fatto io PROVO umiliazione nella malattia e quindi la dignità personale non viene mutata.
( Sentirsi umiliato come una cavia da laboratorio significa, appunto, sapere di non esserlo e di non meritare questo, eppure essere trattato come tale. )
La retriva, arrogante, incoerente e vaticana affermazione di D'Agostino ribadiva solo questo.
Dovrebbe essere un'ovvietà, ma ultimamente fa molto chic la tesi per cui la dignità della persona dipende dalla qualità del vivere, con tutte le conseguenze etiche del caso.
( Dignità della persona, NON la dignità della vita, che invece apre la questione: "Quando è il momento di una morte opportuna, cioè naturale?" )
Ricordarlo una volta in più, quindi, non guastava.
saluti, Eno
Nell'articolo per Avvenire D'Agostino sembra dire: "se le direttive anticipate sono in forma scritta, allora sono giuridicamente valide"; in altri interventi, afferma invece che il testamento biologico non ha alcuna validità giuridica. Visto che ti diletti di logica:
RispondiElimina1. S→V
2. ¬V
C'è una contraddizione, sì o no? Se avesse premesso "se le direttive anticipate fossero giuridicamente valide", allora il ragionamento sarebbe stato ineccepibile:
1'. V→(S→V)
2'. ¬V
Ma non l'ha fatto. Se glielo chiedessimo, direbbe che questo è quello che intendeva dire? Può essere, anzi è molto probabile; ma perché non l'ha scritto subito? Tu mi dici che devo integrare io la parte mancante; ma io non correggo i compiti a D'Agostino – e se lo faccio, non vedo perché non dovrei comunque segnalare che si contraddice.
Io ho usato il verbo "battersi" in senso figurato, secondo un uso che - per chi conosce l'italiano - non ha nessun connotato denigratorio (anzi, spesso il contrario). Alla tua fantasia sovreccitata questa modesta parola fa venire in mente "lotte civili", e mi citi casi di intellettuali militanti che ne hanno fatte di crude e di cotte. Scusami se mi astengo dal commentare... (e so bene, grazie, chi sono e cosa sono Friedrich von Hayek e Robert Nozick, e mi trovo benissimo con loro).
"Se capisco bene, il sito è filo-radicale". Mi dispiace, hai capito male. Leggi meglio, prima di sparare giudizi a casaccio. Ti risparmierai altre brutte figure.
Dunque, tu separi "il giudizio di dignità, maggiore o minore, positivo o negativo" dalla "dignità stessa". Potrei chiederti che rapporto c'è tra il predicato "è degno/indegno" di un "giudizio di dignità" e la "dignità stessa"; o se la "dignità stessa" indica qualche forma di dignità oggettiva, e così via. Ma lasciamo stare. Limitati a rileggere con attenzione quello che ho scritto: io ho detto che quello che contano sono i nostri giudizi soggettivi ("sentire la propria dignità avvilita e annullata"), e che questi hanno la precedenza sulla dignità oggettivata del professor D'Agostino. Ora, mi potresti cortesemente indicare il punto in cui "confond[o] il giudizio di dignità, maggiore o minore, positivo o negativo, con la dignità stessa"? E dov'è, esattamente, che avrei sostenuto "la tesi per cui la dignità della persona dipende dalla qualità del vivere"? Ma soprattutto: com'è che a me non si applica per niente, a quanto pare, il principle of charity, e ti affanni a trovare contraddizioni che non ci sono in tutto ciò che scrivo, coprendomi al tempo stesso di contumelie (e te stesso di ridicolo)?
Avrei anche voluto spiegarti che te la sei presa per nulla.
RispondiEliminaAvrei voluto dirti che 4 persone al bar hanno letto spontaneamente quell'articolo di D'Agostino nel modo spontaneo, onesto e per nulla "ermeneutico" esattamente come l'ho letto io, cioè come lo leggerebbe chiunque abbia un minimo d'equanimità.
Vorrei dirti che prima insulti gli avversari politici ogni giorno e poi te la prendi per del "prosciutto sugli occhi", GRANDE CONTUMELIA, davvero!
Vorrei dirti che il principio di benevolenza è linguistico, non METAlinguistico e si applica a chi parla, ma di norma non a chi sottopone ad analisi un discorso altrui( quindi né a te né a me... e infatti ti ho chiesto scusa dove ho sbagliato di citare, non mi sono appellato al contesto. )
Vorrei dirti che ho saltato
il problema dell'oggettività o meno della dignità perché palesemente è del tutto irrilevante.
Avrei preferito spiegarti che come la maggior parte di chi si appella ai "liberali"( non mi era sfuggito che verosimilmente conosci Nozick&co., e infatti sfottevo ) sei aggressivo, disinteressato di questioni teoriche anche quanto le menzioni e spesso contraddittorio.
Volevo spiegarti che se tu contrapponi la presunta dignità oggettiva di D'Agostino con la dignità soggettiva, presupponi che siano cose omogenee e comparabili e quindi GIUDIZI, PERCEZIONI o VALORI di dignità... e quindi pensi che ciò di cui stesse parlando D'Agostino fosse un preciso valore o giudizio di dignità, e non la categoria "dignità umana", a prescindere dalla questione ulteiore: è soggettiva? è oggettiva?
Avrei voluto dirti che la frase contenente "la tesi per cui la dignità della persona dipende dalla qualità del vivere", INFATTI, non era riferita a te.
Menzionavo l'obiettivo polemico di D'Agostino, che- non te la prendere a male e non t'avvilire- NON CE L'AVEVA CON TE.
Appunto, l'hai capito? D'AGOSTINO NON CE L'AVEVA CON NULLA DI QUELLO CHE HAI SCRITTO.
Vorrei dirti che se scrivi un post e ricevi un commento critico, non si vuol far polemica.
E avrei voluto spiegarti che nessuno ce l'ha con te, ma con quello che hai scritto e che se non sei abituato a analizzare quello che scrivi, mal per te.
Avrei avuto piacere di osservare che se scrivo "se non capisco male sei radicale", significa proprio quello che sembra: è un caveat. Se è falso il caveat, si salta la parte dopo.
Mi sarebbe piaciuto farti notare che se ti inciti alla rivolta morale contro l'ideologia cattolica- come avevi scritto in un vecchio post sui diritti degli animali, quello sì sovraeccitato - sei esattamente uno di quegli intellettuali cotti e crudi di cui sopra.
Mi sarebbe piaciuto osservare che non serve a nulla formalizzare "se", "non" e "allora": l'italiano dispone di queste belle paroline ben prima di Frege.
Avrei avuto sincera gioia a spiegarti che se tu ti ossessioni con i cattolici e i conservatori alla Ferrara, insistendo con argomenti capziosi, insulti, provocazioni, perché ti stupisci se qualcuno incalza, in modo ben più lieve, pure te?
Che c'è, dà fastidio?
Avrei voluto dire che le figuraccie, bah, tu le vedi anche in D'Agostino e poi ammetti che avevi capito benissimo quello che voleva dire...
Strana idea di figuraccia.
Avrei voluto.
Però preferisco le preterizioni.
Eno
E io ti dico - senza preterizioni - che sono disposto ad ascoltare ogni critica, purché sia fatta con educazione. Se io vado a casa di D'Agostino non esordisco dicendo "Se lei non avesse 4 kg di speck sugli occhi" - e del resto non l'ho insultato nemmeno in questo post. Un conto comunque sono le polemiche in un articolo destinato a tutti e un conto insultare faccia a faccia (anche se nello spazio dei commenti di un blog), a freddo e senza essere provocato. Se uno cerca con ogni mezzo la rissa personale non si deve poi lamentare se la ottiene.
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