venerdì 19 ottobre 2007

A proposito della sentenza sul caso Englaro

La lettura diretta delle sentenze sui casi di bioetica sta diventando ormai obbligatoria, viste le deformazioni spesso grottesche che osservatori più o meno interessati infliggono ai pronunciamenti delle corti. Dopo aver letto dunque per intero la sentenza n. 21748 del 16/10/2007, con cui la Corte di Cassazione (Sezione Prima Civile, presidente M. G. Luccioli, relatore A. Giusti) ha deciso di consentire un nuovo processo per il caso di Eluana Englaro (la giovane da 15 anni in stato vegetativo persistente per la quale il padre richiede la sospensione della nutrizione artificiale), si possono fare alcune considerazioni.

La Corte argomenta in tre passi successivi: dapprima (punto 6) ribadisce che ogni cittadino ha il pieno diritto di rifiutare qualsiasi terapia, anche se necessaria a mantenerlo in vita. Le norme e le interpretazioni della giurisprudenza sono al proposito chiarissime e univoche – anche se molti fanno finta che non esistano, o antepongono loro principi estranei al nostro ordinamento giuridico. In secondo luogo (7-7.4), si stabilisce che in caso di incapacità del paziente sia il tutore ad assumere le decisioni in merito alle terapie da somministrare o meno, ricostruendo la presunta volontà del paziente incosciente in base agli orientamenti e allo stile di vita a suo tempo manifestati da quello. Qui, come si vede, la Corte elude la diatriba sulla natura vincolante o meno delle volontà espresse dalla paziente, preferendo dare risalto alla responsabilità del tutore. Infine (7.6) si stabilisce che l’uso del sondino nasogastrico per l’alimentazione artificiale costituisce una terapia:
Non v’è dubbio che l’idratazione e l’alimentazione artificiali con sondino nasogastrico costituiscono un trattamento sanitario. Esse, infatti, integrano un trattamento che sottende un sapere scientifico, che è posto in essere da medici, anche se poi proseguito da non medici, e consiste nella somministrazione di preparati come composto chimico implicanti procedure tecnologiche. Siffatta qualificazione è, del resto, convalidata dalla comunità scientifica internazionale; trova il sostegno della giurisprudenza nel caso Cruzan e nel caso Bland; si allinea, infine, agli orientamenti della giurisprudenza costituzionale, la quale ricomprende il prelievo ematico – anch’esso “pratica medica di ordinaria amministrazione” – tra le misure di “restrizione della libertà personale quando se ne renda necessaria la esecuzione coattiva perché la persona sottoposta all’esame peritale non acconsente spontaneamente al prelievo” (sentenza n. 238 del 1996).
(Qui, per la verità, la Corte avrebbe potuto essere più incisiva, visto che anche se l’alimentazione artificiale non costituisse un trattamento sanitario, è assolutamente pacifico che essa rimarrebbe comunque soggetta in pieno alla libera adesione del paziente e, per estensione, alle decisioni del suo tutore.)

La parte meno soddisfacente della sentenza, dopo queste premesse largamente condivisibili, è la conclusione, anticipata al punto 7.5:
la funzionalizzazione del potere di rappresentanza, dovendo esso essere orientato alla tutela del diritto alla vita del rappresentato, consente di giungere ad una interruzione delle cure soltanto in casi estremi: quando la condizione di stato vegetativo sia, in base ad un rigoroso apprezzamento clinico, irreversibile e non vi sia alcun fondamento medico, secondo gli standard scientifici riconosciuti a livello internazionale, che lasci supporre che la persona abbia la benché minima possibilità di un qualche, sia pure flebile, recupero della coscienza e di ritorno ad una vita fatta anche di percezione del mondo esterno; e sempre che tale condizione – tenendo conto della volontà espressa dall’interessato prima di cadere in tale stato ovvero dei valori di riferimento e delle convinzioni dello stesso – sia incompatibile con la rappresentazione di sé sulla quale egli aveva costruito la sua vita fino a quel momento e sia contraria al di lui modo di intendere la dignità della persona.
Da un punto di vista logico, le premesse avrebbero dovuto condurre la Corte a sancire come condizione necessaria per l’interruzione delle cure soltanto la seconda (incompatibilità con la rappresentazione di sé che il paziente intratteneva quando era conscio). Invece viene introdotto al punto 7.3, abbastanza apoditticamente, un nuovo principio, che apparentemente ha condotto alla conclusione citata:
Non v’è dubbio che la scelta del tutore deve essere a garanzia del soggetto incapace, e quindi rivolta, oggettivamente, a preservarne e a tutelarne la vita.
(Un ennesimo esempio del fatto che quando qualcuno proclama che «non c’è dubbio», bisogna stare particolarmente all’erta...)

La sentenza non è comunque, di per sé, ingiusta. Eluana Englaro aveva manifestato una preferenza relativa a una ben precisa circostanza: lo stato vegetativo permanente. È dunque del tutto corretto che ci si accerti della sussistenza di questa condizione medica. Per il resto, speriamo che la legge sul testamento biologico – se e quando arriverà – possa dare piena e incondizionata attuazione ai principi costituzionali.

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