“Un neonato vitale, in estrema prematurità, va trattato come qualsiasi persona in condizioni di rischio, e assistito adeguatamente”. Così si legge in un documento congiunto, firmato dai direttori delle cliniche di Ostetricia e Ginecologia di tutte e quattro le facoltà di Medicina delle università romane: La Sapienza, Tor Vergata, la Cattolica e il Campus Biomedico. Secondo i cattedratici, infatti, “con il momento della nascita la legge attribuisce la pienezza del diritto alla vita e, quindi, all’assistenza sanitaria”. Di fatto, nel caso in cui un feto nasca vivo dopo un’interruzione di gravidanza, il neonatologo deve intervenire per rianimarlo, “anche se la madre è contraria, perché prevale l’interesse del neonato”.Di dubbi, reazioni e perplessità ce ne sono molti. Ne faccio un breve elenco.
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“L’attività rianimatoria esercitata alla nascita – si legge nel testo – dà il tempo necessario per una migliore valutazione delle condizioni cliniche, della risposta alla terapia intensiva e delle possibilità di sopravvivenza, e permette di discutere il caso con il personale dell’Unità ed i genitori”. Tuttavia, concludono i firmatari, “se ci si rendesse conto dell’inutilità degli sforzi terapeutici, bisogna evitare a ogni costo che le cure intensive possano trasformarsi in accanimento terapeutico”.
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Il medico, quindi, come precisa Caporale, deve rianimare sempre. Nell’ipotesi in cui il feto sopravviva all’aborto “non ritengo necessario chiedere il consenso della madre – sottolinea il membro del Comitato nazionale di bioetica – in questo caso infatti si esercita un’opzione di garanzia con cui si tutela un individuo vulnerabile e fragile, qual è il neonato, in una fase in cui non si hanno certezze cliniche. Secondo me – aggiunge la biologa – si può presumere lo stato di abbandono giuridico del neonato da parte della madre, che ovviamente può tornare indietro sulla sua decisione”.
1. Il diritto alla vita non è così intelligibile come sembrerebbe di primo acchito (in generale; se ho il diritto alla vita non è implicitamente chiaro su cosa e su chi posso rivendicare un diritto o una priorità); in agguato, poi, c’è il fantasma del diritto alla vita attribuito a partire dal concepimento (controverso e molto rischioso).
2. L’interesse del neonato – soprattutto se parliamo di aborti tardivi, quindi spesso “terapeutici” e decisi per evitare una esistenza peggiore di una esistenza – è difficile da individuare (o almeno non è solo e necessariamente quello di sopravvivere) e nel caso di una malformazione o patologia è bene sottolineare che a volte il suo migliore interesse sarebbe la non esistenza (vedi per esempio qui o qui).
3. L’invocazione dell’accanimento terapeutico come argine all’intervento è snervante e poco sensata (almeno come soluzione del problema): perché è impossibile da definire oggettivamente e rimanda all’interesse del soggetto (vedi sopra).
4. Sugli aborti terapeutici, spesso causa di aborti tardivi: si decide di abortire in seguito a gravi patologie (certo, c’è il margine di errore diagnostico); però è verosimile che le conseguenze di una nascita tanto prematura siano devastanti sulla qualità della esistenza. Nascita per aborto procurato.
5. Quello che dicono i vescovi non dovrebbe essere pertinente né rilevante (ho omesso di riportare il loro commento ma è, ovviamente, immancabile).
6. Se è vero che hai tempo per decidere, è anche vero che spesso entri in una storia senza fine (vedi Eluana Englaro o i casi in cui non è “più possibile” interrompere trattamenti vitali se li hai avviati): si mantiene in vita un vegetale o poco più.
7. Infine, sembra l’ennesima strada contorta per arrivare alla affermazione che si è persone dal concepimento (ma forse sono pessimista).
Aspettiamo di leggere il documento nella sua interezza.
Direi che è bene, come dici nella conclusione, attendere di leggere il contenuto. Credo che sia lecito porsi un problema di deontologia medica, se il feto ha una qualche possibilità di sopravvivenza (questione che può riguardare il giuramento di Ippocrate). Il problema casomai è il dopo, che varrebbe per questi feti come per qualunque bambino o adulto, e cioè che da noi il principio di accanimento terapeutico non è controbilanciato da un'adeguata attenzione alla dingità della vita, intesa come diritto ad una vita degna. In questo caso il problema nemmeno sarebbe risolto nel caso, finalmente, si parlasse di testamento biologico.
RispondiEliminaTuttavia il fatto che, appunto, la nostra società non abbia ancora saputo affrontare in modo degno il probelma delle consegeunze che la tecnica medica ha reso possibile riguardo alla sopravvivenza coatta di qualunque brandello di vita non implica che non si debba affrontare il problema opposto, e cioè se intervenire o meno quando magari il risultato può risultare favorevole per quell'individuo (un feto rianimato che ottiene una vita soddisfacente).
Se poi posso commentare, magari affrontare seriamente e laicamente queste questioni può "sistemare" alcune obiezioni capziose che, appunto sotto la veste di "oggi la medicina può tutto" tentano di introdurre dalla porta del retro il principio di vita dal concepimento uguale a vita dalla nascita.
conosci i firmatari del documento? che persone sono?
RispondiEliminaAnch'io ho parecchi sospetti su questo fatto, ma non essendo competente meglio se me ne sto zitto.
Leggo da un blog che comunque già la 194 prevede la rianimazione dei feti vivi nell'aborto terapeutico (oltre la dodicesima settimana). E quindi, questo intervento?
L'orrore! Un feto che riesce a sopravvivere è frutto (secondo la legge) di un aborto terapeutico effettuato per gravi malformazioni oltre i tre mesi di gestazione. Non oso pensare alla donna che subisce questa crudeltà.
RispondiEliminaPer fornire un dato di conoscenza (e non certo per convincere Chiara Lalli), vi confermo che l'articolo 7 della legge 194 prevede che, quando vi è possibilità di vita autonoma del feto, l'aborto volontario sia lecito solo in caso di grave pericolo per la vita della donna e il medico che esegue l'intervento deve adottare ogni misura idoena a salvaguardare la vita del feto: quindi deve eseguire un aborto che non uccida il feto (in sostanza deve indurre un parto anticipato) e deve rianimare il feto stesso (ovviamente deve cessare le pratiche rianimatorie se risultano inutili a salvare la vita del neonato (anche se Chiara Lalli potrebbe obiettare in ordine al concetto di "salvare la vita": forse è meglio scrivere "mantenere in vita").
RispondiEliminaVi segnalo ancora che la Cassazione (non i vescovi) ha già applicato la norma, confermando la condanna per omicidio volontario a 18 anni di carcere per Ilio e Marcello Spallone (caso di Villa Gina): in quel caso era stato accertato che erano stati eseguiti aborti alla 24a settimana e che i feti non erano stati rianimati. La Cassazione, tra l'altro, ha affermato che era irrilevante che i feti fossero vitali e ha aggiunto: "ne consegue la irrilevanza di anomalie anatomiche o di patologie funzionali potenzialmente idonee a causare la morte del feto in tempi brevi", perché "costituisce omicidio anticipare, anche di una frazione minima di tempo, l'evento letale".
Il fatto che la madre non sia interpellata è perfettamente conforme alla legge: grava sul medico l'obbligo di curare i pazienti e la legge lo indica chiaramente.
Giacomo Rocchi
Giacomo, il problema qui è rappresentato dall'età del prematuro, in particolare tra la 22ª e la 24ª settimana. I medici promotori del documento di cui si parla nel post, a quanto pare, optano per la soluzione "assistere sempre"; altri hanno opinioni diverse. Il Ministro della Salute del governo dimissionario ha chiesto un parere a una commissione di neonatologi, segno che anche dal punto di vista penale le cose non sono così chiare. E direi che quello che vale per i neonati prematuri debba valere anche per quelli sopravvissuti a un aborto tardivo, no?
RispondiEliminaIl problema è determinare un'età gestazionale prima della quale è assolutamente impossibile che le cure rianimatorie riescano a far sì che il bambino (ex-feto o neonato che sia) possa sopravvivere. Il problema, da quello che ho capito, riguarda lo sviluppo del sistema respiratorio, anche se i progressi della medicina di rianimazione hanno permesso di "salvare" (le virgolette sono per Chiara Lalli) neonati che una volta sarebbero sicuramente morti.
RispondiEliminaNon c'è dubbio, quindi, che vi siano problematiche sottostanti di carattere medico: ma è altrettanto certo che: a) se vi è una pur minima possibilità di sopravvivenza le cure devono essere prestate; b) tale obbligo sussiste anche se alla sopravvivenza si accompagnerà una presumibile disabilità, anche grave; c) l'obbligo grava sul medico e non (anche) sulla madre (fra l'altro: perché dovrebbe essere solo la decisione della madre? Al limite ad essere interpellati dovrebbero essere entrambi i genitori: dopo il parto o aborto il bambino è separato dalla madre e, quindi, anche nell'ottica dell'assoluta autodeterminazione durante la gravidanza, il potere della donna dovrebbe essere cessato). Al contrario la Commissione ministeriale pretende di fissare un limite minimo (escludendo ogni pratica rianimatoria per i bambini alla 22a settimana, salvo casi eccezionali, non tenendo conto che, talvolta, vi è incertezza anche sulla data esatta di inizio della gravidanza e quindi sull'età gestazionale), prevede una capacità decisionale anche dei genitori e sostiene (senza specificare di più) che occorre tenere conto anche delle presumibili disabilità.
Per lei è certo che "se vi è una pur minima possibilità di sopravvivenza le cure devono essere prestate", che "tale obbligo sussiste anche se alla sopravvivenza si accompagnerà una presumibile disabilità, anche grave", etc. Per chi ha chiesto un parere alla Commissione (e per chi ha affrontato lo stesso problema in altri paesi europei), evidentemente no. Stiamo parlando di disabilità che avranno conseguenze spesso gravissime sulla vita futura dei bambini e delle loro famiglie, in neonati di cui è persino difficile stabilire il grado di coscienza o di sofferenza. Non voglio suggerire con questo delle soluzioni, ma solo segnalare una difficoltà. Forse dovremmo prendere tutti atto che si tratta di un problema etico difficile, in cui è bene per un attimo mettere da parte le proprie "certezze".
RispondiEliminaNon voglio affatto provare a convincerla, avendo assistito ad altri dibattiti su questo blog.
RispondiEliminaVolevo solo segnalarvi che quello che hanno detto i medici il cui documento ha dato origine al blog corrisponde integralmente alle regole che attualmente vigono in Italia. Le certezze non sono solo dei vescovi o mie: per infliggere 18 anni di reclusione anche i giudici della Cassazione qualche certezza l'avranno avuta ...
Ciò, a mio parere, dimostra che, spesso, nel vostro blog si sostengono tesi che, in relazione all'ordinamento vigente, sono assolutamente eversive, tanto che, se applicate, possono portare a condanne del genere che ho detto: questo non mi turba perché in Italia la libertà di manifestazione del pensiero è garantita; forse dovrebbe far riflettere un po' chi le sostiene.
La sentenza di cui parlava si riferiva a bambini di 24 settimane, un'età al di là della gamma di cui parliamo qui. Grazie comunque per il cortese avvertimento, ma come - nota anche lei - la libertà di espressione è in questo paese ancora un diritto, e le assicuro che siamo fermamente intenzionati a esercitarla fino in fondo, senza lasciarci intimidire da nessuno.
RispondiEliminaIl caso è di parecchi anni fa (fine anni 90) e la medicina ha fatto ulteriori progressi:
RispondiEliminahttp://growingyourbaby.com/?p=2051
Mi intrometto e mi permetto di far notare al signor Rocchi che eversivo sarebbe, secondo la sua definizione, il seguente comportamento: supponiamo che un ragazzo faccia giurare al proprio padre "promettimi solennemente che se mai sarò condannando per sempre ad una vita vegetativa tu troverai il modo di porre fine alla mia vita, una vita che non voglio". Supponiamo che questo ragazzo venga in seguito a trovarsi in questa situazione e che il padre un giorno trovi in un qualche modo il sistema di tenere fede al giuramento solenne fatto al proprio figlio. In tal caso un giudice sarrebbe costretto ad infliggere una severissima condanna a quel padre. Indi per cui, secondo il suo ragionamento signor Rocchi, chi in seguito sostenesse che quel padre abbia agito nell'interesse del figlio sarebbe da accusare di sostenere delle tesi "eversive". Visto allora che lei invita gli altri a riflettere, provi a farlo anche lei quando accusa altre persone pensanti e libere di essere degli eversivi, e abbia più attenzione per la sostanza dei valori etici dell'Uomo e della dignità della vita (che non sempre può essere scissa dalla qualità della stessa, soprattutto quando gli ordinamenti impongono norme su situazioni umanamente complesse e per niente ovvie a assodate, mettendosi potenzialmente contro le volontà stesse dell'individuo e la carità di un genitore verso i desideri di tale individuo).
RispondiEliminaCome dicevo poco sopra il problema in Italia secondo me non è che si discuta, giustamente, di come far fronte agli avanzamenti della tecnica in favore della sopravvivenza, ma che nessuno mai si preoccupi di affrontare concretamente il problema opposto che viene sempre rimandato, ovvero il diritto ad una vita dignitosa che non può essere soppresso dalla volontà di onnipotenza di una intera società, talune volte dedita all'esaltazione della tortura degli altri come espiazione dei propri "peccati". Se chiedere che queste questioni vengano affronntate con la stessa solerzia delle altre è considerato eversivo vuole semplicemente dire che siamo una società primitiva e reazionaria.
Sorprende il commento di Paolo De Gregorio: si stava parlando del lasciare morire feti abortiti tardivamente e De Gregorio parla del testamento biologico ... Credo che si tratti di un tema diverso, quanto meno perché - credo sia pacifico - i bambini lasciati morire non avevano fatto affatto giurare il proprio padre ecc. ecc..
RispondiEliminaLa mia comuque era una constatazione: se chi attua in pratica le idee che talvolta vengono qui teorizzate (in questo caso i fratelli Spallone che si erano, appunto, difesi deducendo, fra l'altro, che i feti abortiti erano affetti da malattie) viene definitivamente condannato a 18 anni di carcere per omicidio volontario, come vogliamo chiamare le idee di questo tipo?
Ovviamente il concetto di eversivo è legato alla società in cui le idee vengono esposte: e quindi è perfettamente legittimo sostenere che si tratta di società reazionaria e quant'altro.
Non si trattava, comunque, di un avvertimento minaccioso (come sembrava credere Regalzi nel suo commento): semplicemente spero che, tra i cultori di questo blog non vi siano medici o infermieri che attuino talune delle idee qui esposte ... lo spero per loro, ovviamente!
Giacomo Rocchi
Giacomo
RispondiElimina"La mia comuque era una constatazione: se chi attua in pratica le idee che talvolta vengono qui teorizzate (in questo caso i fratelli Spallone che si erano, appunto, difesi deducendo, fra l'altro, che i feti abortiti erano affetti da malattie) viene definitivamente condannato a 18 anni di carcere per omicidio volontario, come vogliamo chiamare le idee di questo tipo?"
È esattamente per questa sua affermazione che avevo fatto un esempio che lei dice che non c'entra, e invece c'entra: lo chiamiamo con lo stesso aggettivo di chi sostiene la necessità di istituire il testamento biologico, che consentirebbe azioni che oggi, se attuate, porterebbero alla galera. La stessa cosa, che lei dice, si applicherebbe su un ipotetico medico che attui l'interruzione di terapia, secondo lei, per mettere in atto le idee di questo blog, rendendo quest'ultimo sostenitore di tesi sovversive (da quando lo frequento, e non sempre mi trovo d'accordo, non ho mai ma porprio mai letto nessuno sostenere che in alcun caso si renda necessario contravvenire alle leggi, che è per definizione un atteggiamento sovversivo). Lei ha fatto il seguente ragionamento logico: qui alcuni (non tutti) pensano che in alcuni casi dovrebbe essere consentito (nel senso che la legge dovrebbe consentire) che si applichi il principio X. Quando il principio Y è stato applicato, che è simile all'X (secondo lei), sono state comminate condanne. Ergo, sostiene lei, alcune delle tesi qui riportate sono sovvervise. Le facevo notare, spero che stavolta ci arrivi, che lo stesso discorso vorrebbe dire che qualunque cittadino, medico, internauta, biologo, magistrato, politico che sostenga che il testamento biologico sarebbe necessario sarebbe automaticamente, IN VIRTÙ DEL FATTO CHE CHI LO METTESSE OGGI IN PRATICA SAREBBE CONDANNATO ALLA GALERA, un sostenitore di tesi sovversive.
Non si difenda dicendo che la differenza è nella autoderminazione del paziente: lei ha fatto riferimento alle condanne giuridiche nel suo ragionamento.
E mi consenta di fare un altro esempio di tesi per lei "sovversiva": un vescovo dichiarò che un diritto sancito nientemeno che dalla nostra Costituzione (il diritto a rinunciare ad una terapia medica) è un principio del tutto "inaccettabile". Questo allora, secondo il suo ragionamento, è sovversivo o non è sovversivo? Se un medico portasse con la forza, anestesizzandolo di soppiatto, un cittadino in sala operatoria contro la ferma volontà di quest'ultimo, e poi questo medico venisse condannato, e se questi si difendesse dicendo che secondo lui non è accettabile sottrarsi alle cure e che altrimenti quel cittadino sarebbe morto, lei lo direbbe che quel vescovo ha sostenuto tesi sovversive? O forse mi vorrà mica dire che sovversivo è solo tutto quello su cui lei non concorda?
P.S.:
RispondiEliminaDove scrivevo "sovversivo" nell'ultimo messaggio intendevo "eversivo", che è il suo termine originariamente usato. In tal proposito faccio notare che l'agire eversivo è il tenativo di ribaltare un ordine costituito tramite la forza. Una "tesi" eversiva è quella di chi sostiene a parole che un ordine vada ribaltato con la forza. Vale a dire che l'eversività non si misura nella qualità e sostanza di un pensiero, ma nell'invito o azione volti a imporlo con la forza (è eversivo, per esempio, assassinare medici che pratichino l'aborto, secondo un lucido piano intimidatorio di ribaltamento democratico con la forza invece che tramite il libero dibattito).
La invito, Giacomo, a trovare esempi in tal senso (di "eversività") in questo blog, in particolare degli autori.
Rimango convinto che dovrebbe ritrattare le sue accuse, se vuole discutere civilmente. Lo dico perché sono un fruitore di questo blog, e proprio perché sono talvolta d'accordo e talvolta no mi sento io stesso un po' offeso per quello che lei vuole implicare...
Grazie, Paolo!
RispondiEliminaOhhh ... Paolo De Gregorio si è offeso!
RispondiEliminaSignor Rocchi non si permetta di usare queste parole così poco educate! In questa comunità si deve discutere amabilmente ed educatamente, rispettando il galateo!
Io - dice il De Gregorio con lo sguardo deciso e la faccia fiera - ho tutto il diritto di sostenere che deve essee possibile ammazzare persone sulla base della qualità della loro vita (come la vedo io)! Lei - aggiunge - se vuole contraddire il mio pensiero, non può usare parole troppo forti: sovversivo, anzi, no, EVERSIVO!!!! Come direbbe un altro intervenuto ... ORRORE!!
E sopratutto non mi parli, signor Rocchi, della realtà! I cattivi sono sempre gli stessi: i vescovi, Luca Volontè e Paola Binetti, i cattolici retrivi (anzi: reazionari): non parliamo, per favore della Cassazione e delle ingiuste e crudeli condanne: danno sensazioni troppo forti!
Che devo dire? Come sono sensibili questi partecipanti alle discussioni ...
Saluti,
Giacomo Rocchi
Giacomo, mi devi scusare, non avevo capito che l'italiano era la tua seconda lingua. Direi che un risultato con questa discussione l'abbiamo ottenuto: basta rileggere il tono grave e solenne del tuo commento che faceva riferimento all'eversione e poi il tono canzonatorio da adolscente un po' contrariato e seccato con cui hai concluso perché ci rendiamo conto della tua presa di coscienza della vacuità della tua tesi. A questo punto la mia richiesta di ritrattazione decade.
RispondiEliminaA proposito, visto che li chiami in causa mi sento in obbligo di precisare: io che sono una persona adulta e spero matura non ho bisogno che un gruppo di persone vergini e con la sottana mi dicano se devo infilare o meno il preservativo, e aggiungo che non ho nulla in contrario che tu debba farti ancora istruire da loro su come e quando fare un po' di sano sesso. Questo per chiarire che non avevo chiamato in causa quel vescovo perché sono di parte, ma era solo perché era un esempio attinente nella sua particolarità. Ovviamente hai ritenuto svicolare la risposta richiamandoti ad una mia fantomatica e indimostrata avversione ai vescovi in quanto tali e per principio. Ma invece io mi guarderei bene dal contestare il tuo desiderio di seguire i loro consigli. Era solo un esempio attinente, Giacomo, tutto qua.
Davvero i vescovi e la loro opinione sul preservativo sono una fissa ... tanto che vuoi appiccicarmi una presunta volontà di aderire ai loro consigli.
RispondiEliminaMa evidentemente ognuno ha le sue fissazioni.
Nemmeno una parola sulla Cassazione ... eppure hanno una palandrana anche loro!
Giacomo Rocchi
Sì, anche i giudici della Cassazione hanno la palandrana, ma non mi pare (visto che chiedi) che abbiano decretato in seduta né che il blog Bioetica promuove tesi eversive né che l'articolo 32 della Costituzione italiana sostenga un prinicpio grave e inaccettabile per la nostra società.
RispondiEliminaMi fa piacere comunque che non segui i consigli dei vescovi, mi scuserai ma non sempre è facile identificare quali interlocutori sono convinti che la verità (o "Verità") sia una sola. Mi compiaccio se non altro nello scoprire che sei anche tu un relativista come me.