Come si sa, le cosiddette staminali pluripotenti indotte (iPS) sono cellule pressoché identiche alle staminali embrionali (in particolare per il carattere della pluripotenza, cioè la capacità di trasformarsi in tutti i tipi cellulari che compongono un organismo umano), ma a differenza di queste derivano da normali cellule adulte. Sviluppate dai giapponesi Kazutoshi Takahashi e Shinya Yamanaka, le iPS sono riuscite nell’impresa di destare contemporaneamente l’entusiasmo del mondo della ricerca (seppur ancora venato di sana prudenza) e quello degli integralisti cattolici: per questi ultimi ecco finalmente una tecnica che non solo non manipola gli idolatrati embrioni, ma che ha anche delle prospettive concrete – a differenza delle povere staminali adulte, che fino all’altro ieri la propaganda dipingeva come capaci di curare di tutto e di più, e che adesso stanno rapidamente cadendo nell’oblio. Questo cambiamento di prospettiva, è vero, ha richiesto alla propaganda integralista alcune
manipolazioni mediatiche; ma la posta in gioco è troppo alta per farsi distrarre dalla deontologia professionale...
Ma ecco che una notizia giunge a mettere a repentaglio il nuovo equilibrio conquistato. All’inizio di questa settimana il quotidiano
The Independent ha pubblicato le dichiarazioni di Robert Lanza, direttore scientifico dell’Advanced Cell Technology, un’azienda che si occupa in particolare di staminali (Steve Connor, «
“Now we have the technology that can make a cloned child”», 14 aprile 2008). Lanza mette in guardia sul fatto che la tecnica delle iPS può rendere molto più semplice la creazione non solo di chimere – individui composti da cellule derivate da due o più zigoti, e quindi geneticamente diverse – ma anche di veri e propri cloni: gemelli genetici di un individuo adulto esistente (non è chiaro se la Advanced Cell Technology abbia già clonato in questo modo dei topi).
Va detto che qui Robert Lanza si sta probabilmente prendendo una piccola rivincita personale. Tempo fa era stato lui a proporre una tecnica per la produzione di staminali embrionali che veniva incontro alle ubbie degli integralisti; ma questi non gliene erano stati affatto grati (la tecnica si basava pur sempre su «manipolazioni» contrarie alla loro sensibilità), e avevano ucciso sul nascere la proposta con un linciaggio mediatico ben orchestrato, a colpi di
critiche totalmente pretestuose. Ho il sospetto, insomma, che gli entusiasmi per la tecnica di Yamanaka abbiano riaperto questa vecchia ferita...
In ogni caso, gli integralisti dovevano rispondere anche a questa nuova sfida di Lanza: troppo hanno investito sulle iPS per lasciare dubbi sulla loro correttezza ‘etica’. Ecco allora, per esempio, che sul numero di giovedì del famigerato inserto «È Vita» di
Avvenire ben tre articoli cercano di rassicurare l’opinione pubblica cattolica. Il ruolo di punta spetta, come accade spesso, ad Assuntina Morresi («
Giornale che leggi, “chimere” che trovi», p. III); ma la performance è più scadente del solito. Vediamo perché.
«Dichiarazioni maneggiate e tradotte in modo confuso sulla stampa nostrana», attacca la Morresi, e cerca poi di spiegarci perché:
l’esperimento ipotizzato nell’articolo è tutt’altro che nuovo, e non è una clonazione. Vengono usate cellule Ips per creare topi chimera, cioè topi il cui organismo possiede cellule con due diversi Dna […]. Nessun clone, quindi, ma solo chimere […] per essere un clone tutte le sue cellule dovrebbero avere il medesimo Dna, identico a quello di un’altra persona.
Un abbaglio giornalistico, dunque? La Morresi non spiega di chi sarebbe la colpa – se di Lanza o di chi ne ha raccolto le dichiarazioni – ma certo non lascia spazio per i dubbi: di «dichiarazioni maneggiate e tradotte in modo confuso» si tratterebbe, appunto, e nulla più.
Ma andiamo a vedere cosa dice l’articolo originale (i corsivi sono miei):
the same technique has already been used in another way to reproduce offspring of laboratory mice that are either full clones or genetic “chimeras” of the adult mouse whose skin cells were reprogrammed. […] Furthermore, studies on mice have shown that it is possible to produce fully cloned offspring that are 100 per cent genetically identical to the adult.
Non c’è bisogno di padroneggiare la lingua di Shakespeare alla perfezione per capire che qui si sta parlando proprio di cloni; traduco comunque (in modo spero non «confuso»...):
la stessa tecnica [delle iPS] è stata già usata in altro modo per riprodurre prole di topi da laboratorio composta da cloni veri e propri o da chimere genetiche dei topi adulti le cui cellule della pelle erano state riprogrammate […] Inoltre, studi sul topo hanno mostrato che è possibile produrre prole clonata geneticamente identica al 100% all’adulto.
Dopo questa cristallina dichiarazione, come se non bastasse, l’articolo prosegue spiegando in che cosa differisce la tecnica usata per produrre cloni da quella per produrre chimere. Non si tratta di una nuova scoperta, anche se l’
Independent non lo dice: sono riuscito a risalire a uno studio del 1990, che per primo ha descritto la procedura (A. Nagy
et al., «
Embryonic stem cells alone are able to support fetal development in the mouse»,
Development 110, 1990, pp. 815-21); nuova è, ovviamente, la combinazione con le iPS.
La ricetta è questa: si prende un embrione formato da due sole cellule, e con una scossa elettrica le si induce a fondersi di nuovo in una cellula unica. Questa, però, a differenza dello zigote originario, avrà un doppio corredo cromosomico – o meglio quadruplo, visto che le cellule normali hanno già ciascuna due copie di ogni cromosoma. Comunque la cellula risultante riprende a dividersi e a svilupparsi; a questo punto si combina questo embrione con cellule staminali (embrionali nell’esperimento originale di Nagy e compagni, pluripotenti indotte in quello proposto da Lanza). Le cellule con quattro cromosomi sono buone soprattutto a formare la placenta; per il resto, vengono presto sopraffatte dalle staminali, e alla fine il feto risulta composto esclusivamente da queste ultime – e quindi geneticamente identico al loro proprietario. Recentemente un
gruppo di Pechino è riuscito a produrre con la tecnica originale più di quaranta topi vivi alla nascita, metà dei quali è cresciuta e si è riprodotta normalmente.
Sono consapevole del pericolo di esagerare, costante in questo campo; ma se le cose funzioneranno, direi che ci troviamo di fronte al progresso più significativo nel campo della clonazione dalla nascita di Dolly in poi. Sull’
Independent un secondo articolo, pubblicato oggi (Steve Connor, «
The cloning revolution (part 2)», 18 aprile), mette in risalto le potenziali, rivoluzionarie conseguenze nel campo della preservazione di specie animali in pericolo di estinzione. Ovviamente, persone prive di scrupoli potrebbero far nascere il primo bambino clonato già l’anno prossimo...
Di tutto questo, come abbiamo visto, Assuntina Morresi sembra non essersi accorta: «Dichiarazioni maneggiate e tradotte in modo confuso»... Eppure l’articolo l’ha letto (ne descrive persino l’illustrazione), e l’inglese – immagino – lo capisce anche lei. Ma noi di
Bioetica non siamo maliziosi, e addebiteremo senz’altro la cosa a una distrazione: a volte la fretta gioca brutti scherzi. In fondo, non dimostra una certa fretta questo magnifico lapsus, che troviamo nello stesso articolo per
Avvenire?
Sarà mancanza di immaginazione, ma fatichiamo a immaginare un genitore contento di avere un figlio che in percentuale è un’altra persona, fosse pure Einstein!
Parole che starebbero bene nel manifesto di un clonatore: le persone normali sono ben contente di avere figli che in percentuale appartengono a un’altra persona, anche se non è Einstein...