Eppure c’è chi sembra ignorare totalmente questi principi: non perché ne proponga altri alternativi (almeno, non esplicitamente), ma per una forma di radicale incomprensione che sfocia, inevitabilmente, nel paradosso. Vediamo per esempio cosa scrive Giacomo Samek Lodovici su Avvenire di dieci giorni fa («Non c’è un’autodeterminazione di Stato», 9 ottobre 2008, Inserto È Vita p. III):
obbligando i medici in nome dell’autodeterminazione del malato si calpesta quella dei primi«La mia libertà finisce dove comincia la tua»: si penserebbe che tutti conoscano questa massima notissima (magari nella forma più pittoresca «La mia libertà finisce dove comincia il tuo naso»). Ognuno di noi possiede una sfera personale inviolabile, costituita dal nostro corpo, dalla nostra mente, dalle nostre proprietà (beh, queste possono fare parzialmente eccezione, almeno per gli agenti delle tasse...), in cui gli altri possono accedere solo col nostro permesso. Nessuno mi può mettere le mani addosso, se non col mio consenso, neppure il medico che vuole salvarmi la vita. Io, specularmente, non posso obbligare il medico a fare – a farmi – qualcosa che vada contro la sua scienza e la sua coscienza (a meno che egli non abbia un obbligo contrattuale che lo impegna in tal senso: il limite tanto spesso ignorato dell’obiezione di coscienza è proprio questo), ma è assolutamente chiara, qui, la differenza fra obbligare a fare e obbligare a non fare.
Certo, si può dire che il divieto di interferire nella sfera personale degli altri limita comunque la mia libertà: mi piacerebbe tanto prendere a schiaffi A. o dare un bacio a B., e non posso farlo, perché nessuno dei due lo vuole. Ma questa limitazione della mia libertà è, per così dire, qualitativamente diversa da quella che subirei se fosse A. a dare uno schiaffo a me, o C. a darmi un bacio non richiesto. Le due quantità non possono essere sommate, se non a prezzo di gravi paradossi: il fanatico salutista che mi rapisse per disavvezzarmi al fumo di sigaretta non solo potrebbe portare a giustificazione il mio bene ‘oggettivo’, ma potrebbe anche sostenere che il rispetto della mia libertà non costituisce in nessun modo un ostacolo, visto che se non gli fosse consentito di rapirmi sarebbe la sua libertà di vedermi libero dal vizio a venire frustrata.
Inoltre (eccetto casi rarissimi), quando apparentemente disponiamo solo di noi stessi, in realtà incidiamo anche sugli altri: per esempio, il suicida priva gli altri del contributo che egli solitamente (e, a volte, doverosamente) fornisce loro e provoca un dolore lacerante nelle persone che gli vogliono bene. E chi si suicida con l’assistenza e l’approvazione dei suoi cari incide negativamente su chi prova disapprovazione e dolore per tale suicidio assistito.Cominciamo col notare che se suicidandoci priviamo gli altri dei contributi che dobbiamo loto fornire, è anche vero che allo stesso tempo gli altri vengono esentati dal contributo che devono per reciprocità fornire a noi: una risposta, questa, che risale al saggio On suicide di David Hume, pubblicato nel 1783 – ma capisco che non tutti possiamo mantenerci aggiornati, con la valanga di libri che si pubblicano. Quanto al dolore provocato nelle persone che ci vogliono bene, esso dovrebbe essere più che compensato dall’addolcimento del dolore che esse provavano (sperabilmente) a vederci nelle condizioni che ci hanno portato a un passo così estremo.
Ma è con l’ultima osservazione che di nuovo Samek dimostra di non cogliere la distinzione fra le varie sfere personali. Di primo acchito si sarebbe portati a riconoscere che c’è qualcosa di vero in quanto dice: anche con azioni di portata assolutamente privata noi possiamo agire in qualche modo sugli altri, visto che non essendo invisibili è possibile – e in certi casi, come appunto nel suicidio, inevitabile – che qualcosa di quello che facciamo traspaia e influenzi la vita altrui. Ma di nuovo, ciò non può essere assolutamente confuso con l’azione diretta che tocca direttamente le altre persone. Se lo fosse, ci troveremmo alla mercé della disapprovazione della folla anche per quanto succede nella sfera personale, che non godrebbe più di quella intoccabilità che invece le dobbiamo accordare; la nostra stessa esistenza sarebbe in pericolo, se ci capitasse per qualsiasi motivo di costituire un gravissimo obbrobrio agli occhi dei più. Immagini Samek Lodovici cosa succederebbe se con la scusa che la transustanziazione ricorda loro disgustosamente un atto di cannibalismo, una futura maggioranza decidesse di mettere al bando la messa cattolica...
Dunque se io sono malato e rifiuto di iniziare delle terapie salvavita chiaramente proporzionate, come si devono comportare gli altri e lo Stato? Essi hanno il dovere di implorarmi a iniziarle. Ma se non riescono a convincermi?Qui il paradosso si fa stridente. Che differenza c’è mai fra rifiutarsi di iniziare una terapia salvavita e sospenderla? Se il primo atto costituisce una «violenza sul mio corpo», non lo è anche il secondo? Se lasciando accadere il primo si «asseconda la volontà di morire di un uomo», non si fa la stessa cosa tollerando il secondo? Si badi: non intraprendere e interrompere sono entrambi omissioni, e quindi non si può invocare una qualche distinzione fra eutanasia attiva e passiva. Proprio non si riesce a capire – e forse non ha capito neppure Samek, vista la profusione di espressioni dubitative con cui costella il paragrafo...
Come si evince anche dalla più diffusa (non l’unica) interpretazione dell’articolo 32 della Costituzione, se essi riescono ad appurare (cosa spesso molto difficile) che io sono lucido e autonomo (il che avviene di rado), devono tollerare a malincuore che io rifiuti tali terapie, sebbene questo mio atto (un suicidio) sia malvagio: non devono impormele coercitivamente perché (questo è il punto) farebbero violenza sul mio corpo. Almeno così mi pare (ma ritengo importanti anche le ragioni di chi la pensa diversamente). Tollerare a malincuore un atto malvagio è, tuttavia, ben diverso da cooperare a compierlo, come invece fa chi – già solo sospendendo delle terapie salvavita – asseconda la volontà di morire di un uomo, uccidendolo come egli chiede o come ha chiesto redigendo il testamento biologico.
Inoltre il testamento biologico di chi non riesce più a comunicare e che ha scritto in passato che esige di non iniziare/sospendere delle terapie proporzionate non va assecondato, anche perché è un dato di fatto che, nella maggior parte dei casi, le persone che inizialmente chiedono l’eutanasia cambiano successivamente idea: l’esecuzione del testamento sarebbe proprio la trasgressione della loro volontà. Non siamo certi che abbiano cambiato idea, però è la cosa più probabile e, se siamo in dubbio sulla volontà attuale del soggetto, per il principio di precauzione dobbiamo somministrargli terapie proporzionate perché si deve optare per il bene del malato.Siamo all’ultima confusione. Chi chiede l’eutanasia può cambiare idea (lasciamo da parte se ciò succeda «nella maggior parte dei casi») perché è cambiata la situazione in cui si trova, nella progressione della malattia e delle terapie. Ma nel caso del testamento biologico il paziente non può aver cambiato idea, perché per definizione non ha più la capacità di avere idee; non ha una volontà attuale perché per avere una volontà bisogna essere coscienti, e se si è coscienti allora non occorre esibire il proprio testamento biologico. La volontà del paziente privo di coscienza non può essere che l’ultima volontà che ha espresso quando ancora poteva, e questa è appunto – in ottima approssimazione – quella comunicata nelle direttive anticipate. E noi dobbiamo evitare di somministrargli terapie, perché si deve optare per quello che il malato sa essere il suo bene.
Sì, è vero. I cattolici stanno facendo i salti mortali intellettuali per impedirvi una cosa logica (secondo le vostre logiche, però).
RispondiEliminaPensa un pò, a me mi rode di più che andate a rompere il c.... a un chicco di mais, che l'eutanasia.
C'è comunque una verità in quel che dice Lodovici: dal momento che ti sei messo nelle mani del prete, cioè del medico, devi accettare che chi comanda è Lui.
Tesi interessante, anche se "l'uomo-moderno" è talmente stupido e voltagabbana, che mai interebbe assumere un atteggiamento "stoico".
E' troppo debole per avere impulsi sani, liberatori.
Vuole le sue garanzie, le assistenze, le socialità, i certificati, le istituzioni (tanto care agli autori di questo blog...)....
anti-moderno
"Immagini Samek Lodovici cosa succederebbe se con la scusa che la transustanziazione ricorda loro disgustosamente un atto di cannibalismo, una futura maggioranza decidesse di mettere al bando la messa cattolica..."
RispondiEliminaImpeccabile analogia.
Quei commenti facevano trasparire una certa artificiosità: Lodovici aveva appena scritto che quando uno si suicida causa un dolore ai propri cari e a quel punto si deve essere accorto che il caso di cui voleva parlare (l'unica motivazione dello scritto in verità) non rientrava nella categoria. E allora di forza ha voluto per forza infilarci quella generalizzazione grossolana, che infatti non c'entra molto con l'osservazione precedente. Come fa notare benissimo Giuseppe: si passa allegramente tra categorie di qualità diversa. Così per magia, anche se i tuoi cari sono d'accordo, non va bene uguale: perché vuoi mettere, ci sarà pur qualcuno da qualche parte su questa terra che si dispiacerà.
Ma poi una domanda la farei: dopo tutti questi secoli di prediche sulla necessità di onorare Dio e quelle più recenti sulla meraviglia della vita, non va per caso a finire che la motivazione che deve tenere in vita certe persone deve essere di non dispiacere troppo ad altri? Vale a dire di servirli? Tutto qua? Immagino allora che un aspirante suicida, nel leggere l'Avvenire, si sarà sentito circondato da una ondata di carità e si sia convinto ad amare la vita. Questi dettagli mostrano la deriva che fa allontanare certe istituzioni ecclesiali dalla dimensione spirituale per abbracciarne una legale e politica. Il risultato è che per un lettore, magari aspirante credente, in certi momenti può diventare difficile distinguere quello che può offrirgli l'Avvenire e cosa Ferrara.
"obbligando i medici in nome dell’autodeterminazione del malato si calpesta quella dei primi"
RispondiEliminaè concettualmente equivalente a
"obbligando gli stupratori in nome dell’autodeterminazione dello stuprato nel non farsi stuprare si calpesta quella dei primi"
NB: Prima che qualche ritardato cominci a insinuare che avrei definito i medici degli stupratori, lo invito a leggere sul dizionario il significato della parola "analogia". Se poi non ci arriva comunque, allora pazienza, d'altra parte qualcuno dovrà pure occupare la zona a basso IQ nella distribuzione di probabilità del intelligenza.
"E chi si suicida con l’assistenza e l’approvazione dei suoi cari incide negativamente su chi prova disapprovazione e dolore per tale suicidio assistito."
RispondiEliminaQuindi io non dovrei dichiarare la mia mancanza di fede in dio solo perché il credente potrebbe provare "disapprovazione e dolore"?
E chi si suicida con l’assistenza e l’approvazione dei suoi cari incide negativamente su chi prova disapprovazione e dolore per tale suicidio assistito.
RispondiElimina... e quello che prova disapprovazione e dolore, porello, magari è in perfetta salute, libero di disporre della sua vita, autonomo. E verrebbe a chiedere a una persona che magari soffre di dolori atroci e non è più in grado nemmeno di andare in bagno in dignitosa autonomia di continuare a soffrirne se no lui, povera stella, disapprova e soffre interiormente. Io non so il malato, ma persino a me viene spontaneo dire a quell'egomaniaco dove può infilarsi la sua disapprovazione e quanto in fondo.
Antimoderno :
RispondiElimina" dal momento che ti sei messo nelle mani del prete, cioè del medico, devi accettare che chi comanda è Lui."
????
ma quando mai. E soprattutto: perchè? Se queste sono le tue "logiche"....
Ti auguro una piacevole serata di impulsi sani e liberatori.
ps quoto anticlericale e leilani.
Un articolo di Samek Lodovici. Uff, di nuovo?
RispondiElimina