venerdì 21 novembre 2008

Il diritto di non subire violenza

L’Università Vita-Salute San Raffaele di Milano si conferma una fucina di cattolici anomali (o forse sono anomali tutti gli altri?): dopo Vito Mancuso e Roberta De Monticelli, ecco cosa scrive oggi su Europa Roberto Mordacci («L’eutanasia non c’entra», 21 novembre 2008, p. 1):
Sul caso di Eluana Englaro si fanno molti errori logici e parecchie confusioni. Il sospetto è che alcuni di essi siano deliberati e questo non giova né all’informazione né alla riflessione pubblica.
Per esempio, l’Elefantino Ferrara dice che, se si ritiene lecita la lenta morte derivante dalla sospensione dell’idratazione e alimentazione forzate, allora è preferibile un’iniezione letale. E molti commenti alla recente sentenza della Corte di cassazione ripetono che procurare la morte per disidratazione è abominevole, una mancanza della più elementare carità umana.
Questo argomento ha soprattutto un valore retorico: il sofista Gorgia non avrebbe ragionato diversamente.
La retorica dovrebbe però cedere il passo a un minimo di chiarezza concettuale e di onestà intellettuale.
La sentenza della Corte, infatti, non ha disposto in nessun senso la morte di Eluana Englaro. Anzi, il testo della sentenza richiama costantemente e fortemente il diritto alla vita.
Diritto che va rispettato «indipendentemente dal grado di salute, di autonomia e di capacità di intendere e di volere del soggetto interessato e dalla percezione, che altri possano avere, della qualità della vita stessa». La Corte nega recisamente che la condizione di stato vegetativo persistente possa essere giudicata in se stessa indegna di essere vissuta e dice con chiarezza che chi è in questa situazione «è, a tutti gli effetti, persona in senso pieno». Nella sentenza si cerca con grande sensibilità di dare un significato non astratto all’idea di dignità umana. Quest’ultima non può che esprimersi nelle scelte personali e quindi anche in quelle che riguardano la salute. I giudici riconoscono semplicemente che «c’è chi, legando indissolubilmente la propria dignità alla vita di esperienza e questa alla coscienza, ritiene che sia assolutamente contrario ai propri convincimenti sopravvivere indefinitamente in una condizione di vita priva della percezione del mondo esterno». Il nostro ordinamento, dicono i giudici, non obbliga chi ha questi convincimenti ad accettare contro il proprio volere trattamenti sanitari come l’alimentazione e idratazione tramite sondino nasogastrico.
Al contrario, chi ragiona come Ferrara ritiene che le persone abbiano l’obbligo assoluto di utilizzare sempre tutti i trattamenti medici che possano procurare la sopravvivenza, in qualunque condizione. Non esiste cioè il diritto a rifiutare le cure, nemmeno quando la persona interessata le giudica lesive della propria dignità. Per pensare così bisogna ritenere che la sopravvivenza fisica valga più della dignità umana e che sia del tutto irrilevante se un trattamento medico sia percepito dal paziente come una devastazione della propria persona. Se si può sopravvivere in forza di un qualunque artificio tecnologico, semplice o mirabolante che sia, si deve sopravvivere. A rigore, nemmeno il caso in cui ci si voglia alzare dal letto e andarsene può essere permesso: non abbiamo il diritto di opporci alla prosecuzione, operata con un qualunque mezzo, della sopravvivenza fisica. L’impossibilità di avere esperienze coscienti o una qualsiasi forma di relazione consapevole non ci autorizza a chiedere di non esagerare, di arrestare il delirio di onnipotenza medico. La biologia, supportata dalla tecnica, vale di più della persona.
Per chi ragiona così, quel rifiuto deve essere interpretato come una richiesta di eutanasia, il che è la confusione più grave di tutto questo dibattito: da sponde opposte si vuole identificare la preghiera di essere lasciato andare con la volontà di essere ucciso.
Fu questa la confusione che offuscò la discussione nel caso Welby (confusione che le stesse lettere di Welby purtroppo alimentarono) e che oggi si proietta sul caso Englaro. Sarebbe più onesto riconoscere che l’eutanasia qui non c’entra nulla e che piuttosto è in gioco un diritto più elementare e da sempre riconosciuto: quello di non subire violenza.
Parole quasi interamente condivisibili (forse la distinzione della sospensione delle cure dall’eutanasia, se è limpida dal punto di vista giuridico, lo è un po’ meno da quello morale), che fanno sperare per il futuro del cattolicesimo liberale.

12 commenti:

  1. Dai razionalismi siamo assediati, ci mordono le caviglie appena usciamo dall'amore della nostra casa.
    Mi ribello al razionalismo che vuole gestire la vita umana come una pratica notarile.
    Mi chiedo, con le parole dolcissime di Vivian Lamarque (poetessa milanese, per chi non ha avuto la fortuna di leggerla, ancora) che dedico al padre di Eluana, pensando se davvero si sente pronto per vederla per l'ultima volta:

    La signora dell'ultima volta
    di Vivian Lamarque

    L'ultima volta che la vide non sapeva che era l'ultima volta che la vedeva.
    Perchè?
    Perchè queste cose non si sanno mai.
    Allora non fu gentile quell'ultima volta?
    Sì, ma non a sufficienza per l'eternità.

    AnnaMaria

    RispondiElimina
  2. AnnaMaria, cosa proponi di sostituire alla ragione per dirimere le controversie? L'amore della tua casa? Temo che andrebbe bene solo a te... L'unica alternativa alla ragionevolezza è la forza. E non è una bella alternativa.

    RispondiElimina
  3. AnnaMaria, se il cuore avesse sempre ragione, non ci sarebbero coppie infelici.

    RispondiElimina
  4. C'è qualche modo di evitare, tra due persone, l'ultima volta ?
    mez

    RispondiElimina
  5. Hai ragione, Giuseppe, a dubitare che la distinzione tra sospensione delle cure ed eutanasia sia limpida sotto il profilo concettuale. Allo stesso modo è puramente retorica la distinzione tra «preghiera di essere lasciato andare» e «volontà di essere ucciso». Non c'è nessuna differenza sostanziale: a meno di non considerare decisiva la presenza di un atteggiamento implorante...
    Roberto Mordacci tenta di conciliare l'etica della sacralità della vita biologica con il diritto all'autodeterminazione, ma, nella parte più lucida ed efficace del suo articolo, mostra a quali esiti grotteschi porta l'applicazione coerente dell'etica della sacralità della vita (umana biologica). Questo esito è evitato solo dall'applicazione di un principio opposto, che lui chiama dignità ma che coincide in toto con l'autodeterminazione. La Corte nega che lo stato vegetativo sia -- in sè e per tutti e a prescindere dalla valutazione dell'interessato -- da giudicare come condizione indegna. Ma ammette che ciascuno di noi la possa giudicare una condizione indegna, e che tale giudizio vada rispettato.
    Io sono convinta che è meglio che la «scandalosità» di questa decisione della Corte, rispetto al benpensantismo sacralista, non sia ammorbidita, ma messa in grande evidenza. Abbiamo bisogno di questo scandalo :)
    Ciao, mez

    RispondiElimina
  6. Caro Giuseppe, c'è un abisso tra razionalismo e ragionevolezza. Non giochiamo con le parole.

    E chiedi a me, cattolica, di rinunciare alla ragione? Quando è stato proprio il nostro Santo Padre, prendendosi sputi e insulti da tutti i maomettani e dai loro amici, ad esortare all'uso della ragione?

    E infine, chiedo mestamente, pensi davvero che la vita sia una controversia?

    AM

    RispondiElimina
  7. Cara AnnaMaria, veramente sei tu che nel primo commenti sembravi voler rinunciare alla ragione; io non ti ho chiesto certo di farlo, e francamente non capisco bene da dove trai l'impressione che abbia detto una cosa simile, visto che mi sembrava di aver esposto l'auspicio esattamente opposto.

    La vita non è una controversia (di nuovo: dove l'avrei detto?), certo. Ma qui non stiamo parlando della vita, stiamo parlando di norme pubbliche che vengono pubblicamente discusse.

    RispondiElimina
  8. Anna Maria, è tuo sacrosanto diritto vivere la tua vita ribellandoti al mordace razionalismo e rimpiangendo l'amore della tua casa.

    La mia vita, invece, è mia.

    È chiara la differenza?

    Magar

    RispondiElimina
  9. Per fortuna nessuno ha deciso per me che devo morire di fame e sete in base a quello che dicevo 16 anni fa...

    RispondiElimina
  10. Nemmeno per Eluana Englaro, Roberta, qualcuno ha deciso per lei: ha deciso Eluana stessa, quando ancora era in grado di farlo, poco tempo prima dell'incidente. Lei parlava seriamente, quando esprimeva la propria volontà, è un dato acquisito.

    Magar

    RispondiElimina
  11. io spero che nessuno decida mai per me l'obbligo a vegetare in una condizione che non considero degna di essere vissuta.

    proprio perché la vita umana non è una pratica notarile, non intendo permettere a nessuno di decidere per me della mia vita.

    con buona pace di annamaria e di roberta.

    RispondiElimina
  12. Se dovessi finire i miei giorni paralizzato sul letto e squassato dalle piaghe da decubito, sai cosa ci farei con le consolanti poesiole della signora Lamarque.
    Le baratterei volentieri con una pietosa iniezione letale.
    Trovo schifoso il feticismo della sofferenza dei cattolici, che se lo tengano per loro, invece di imporlo agli altri.

    RispondiElimina