Va detto prima di tutto che c’è una grande differenza fra uno stato vegetativo durato 19 mesi, come era quello di Greta nel momento in cui è stata sottoposta all’intervento, il 6 agosto 2007 (l’incidente era avvenuto il 13 gennaio dell’anno prima), e uno – è il caso di Eluana – che il mese prossimo dovrebbe arrivare a 17 anni. Il cervello in questi casi va incontro a fenomeni degenerativi, e le possibilità di recupero progressivamente si affievoliscono. Non sembra un caso che, fra la manciata di ritorni spontanei dallo stato vegetativo permanente scientificamente documentati, nessuno si sia verificato dopo 36 mesi dal trauma iniziale. Lo stesso chirurgo che (assieme a Barbara Massa Micon) ha operato Greta, Sergio Canavero, ammette comunque di non sapere se Eluana sarebbe operabile, a causa delle sue condizioni debilitate.
Il punto fondamentale è però un altro. Gli organi di stampa hanno parlato di «risveglio»; ma se andiamo a vedere in cosa consista veramente la condizione in cui si trova adesso Greta, il termine rischia di essere fuorviante. Lo stato di minima coscienza viene definito come una condizione in cui il paziente dimostra segni chiari ma limitati di coscienza di sé o dell’ambiente circostante; diversamente che nella piena coscienza, non è però in grado di impegnarsi in una comunicazione interattiva, né di usare appropriatamente gli oggetti (J.T. Giacino et al., «The minimally conscious state: definition and diagnostic criteria», Neurology 58, 2002, pp. 349-53). Greta può eseguire semplici comandi («alza il braccio», «abbassalo»), ma non parla e riesce a stare in piedi solo se sorretta. Le speranze di uscire da questa condizione sono al momento estremamente tenui (il trapianto di cellule staminali che si vorrebbe effettuare su Greta in Cina è, mi dispiace dirlo, di efficacia perlomeno dubbia).
Il caso di Eluana Englaro è ruotato sempre essenzialmente attorno alla volontà espressa a suo tempo dalla ragazza. Ma questa volontà non riguardava solo lo stato vegetativo (Corte d’appello di Milano, sezione I civile, decreto 9 luglio 2008):
Eluana dava un valore molto profondo alla vita che però, secondo lei, doveva essere vissuta fino in fondo. Non avrebbe mai accettato una vita con limitazioni sia di tipo fisico che mentale […]Trascinare Eluana su un tavolo operatorio in modo che possa eventualmente acquistare coscienza – sia pure estremamente parziale e confusa – dell’orrore della sua condizione sarebbe, credo, ancora più irrispettoso della sua volontà che trattenerla per sempre nello stato attuale. In ogni caso, come si è detto, la donna è quasi certamente inoperabile, e quindi dal punto di vista giuridico le decisioni prese fin qui dai tribunali rimangono valide.
Mi ricordo in particolare due episodi. In particolare di Filippo, un altro nostro amico che aveva avuto un incidente in macchina ed era morto sul colpo. Era l’ultimo anno di liceo. Ricordo che Eluana mi aveva detto che Filippo, nella sua disgrazia, era stato fortunato perché era morto sul colpo e non era rimasto immobilizzato in coma, o comunque paralizzato o incosciente. L’altro episodio si riferisce ad un racconto delle suore di Maria Ausiliatrice presso le quali noi abbiamo frequentato il liceo. Il racconto si riferiva ad una ragazza che viveva in un polmone d’acciaio e le suore parlavano del coraggio di questa ragazza che, pur vivendo in queste condizioni, riusciva a confortare gli altri e a godere della vita, pure essendo in quelle condizioni. Io, Eluana ed altre compagne siamo rimaste molto impressionate e ci siamo chieste come fosse possibile vivere in condizioni del genere.
Il rispetto per l’autodeterminazione è una dimensione presente anche nel caso di Greta. La madre della giovane ha scritto una lettera, indirizzata idealmente alla figlia (Grazia Longo, «“Greta è rinata ma niente illusioni”», La Stampa, 19 dicembre 2008, p. 13):
«Cara Greta, è arrivato il momento di decidere o no se fare il trapianto di cellule staminali. È una decisione che mai nella vita avrei voluto prendere. Greta, se tu potessi parlarmi cosa mi chiederesti? Io penso non accetteresti una “vita” senza poter godere delle cose che la vita stessa ti dovrebbe offrire. Io penso di dover andare avanti pensando proprio a questo. Non so se sono nel giusto, lo saprò solo se un giorno potremo leggere queste frasi insieme e tu potrai dirmi “mamma hai fatto bene”».Il padre avrebbe invece dichiarato (Roberto Rizzo, «Impulsi elettrici al cervello. Ventenne esce dal coma», Corriere della Sera, 19 dicembre, p. 23):
«Io credo che Greta avrebbe preferito morire piuttosto che vedersi così», dice papà Bruno. Inevitabile chiedergli di Eluana Englaro: «La morte assistita no, proprio no. Ma la volontà di suo padre va rispettata».La speranza eccede a volte i limiti del computabile e del prevedibile. Di questo tipo è la speranza dei genitori di Greta, a cui vanno i nostri auguri e i nostri pensieri. Una speranza che non si può e non si deve imporre a nessuno per legge.
il mio timore è che per "battere" Eluana - battere perché per le Gerarchie questa è solo una battaglia - si ricorra ad un Frankenstain.
RispondiEliminaPovera, povera Greta.
La situazione neurologica di Greta e quella di Eluana è molto differente e i motivi sono stati chiaramente riassunti nel post.
RispondiEliminaLe questioni aperte dalla vicenda riguardano soprattutto l'ambito etico.
E' giusto che un paziente sia riportato alla condizione di semi-coscienza e, quindi, possa rendersi conto che è un essere privo di ogni forma di autonomia?
la futura prossima legge sul testamento biologico sicuramente prevedera' questo trattamento obbligatorio per tutti i pazienti in SVP.
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