Le affermazioni dell’Amministrazione secondo cui il Servizio sanitario nazionale non sarebbe obbligato a prendere in carico un paziente che a priori rifiuti le cure necessarie a tenerlo in vita e secondo cui il personale medico non potrebbe dare corso alla volontà di rifiutare le cure, pena la violazione dei propri obblighi di servizio, non appaiono conformi ai principi che regolano la materia […].
Il diritto costituzionale di rifiutare le cure, come descritto dalla Suprema Corte, è un diritto di libertà assoluto il cui dovere di rispetto si impone erga omnes, nei confronti di chiunque intrattenga con l’ammalato il rapporto di cura, non importa se operante all’interno di una struttura sanitaria pubblica o privata.
La manifestazione di tale consapevole rifiuto rende dunque doverosa la sospensione dei mezzi terapeutici il cui impiego non dia alcuna speranza di uscita dallo stato vegetativo in cui versa la paziente e non corrisponda con il mondo di valori e la visione di vita dignitosa che è propria del soggetto.
Qualora l’ammalato decida di rifiutare le cure (ove incapace, tramite rappresentante legale debitamente autorizzato dal Giudice Tutelare) tale ultima manifestazione di rifiuto farebbe venire meno il titolo giuridico di legittimazione del trattamento sanitario (ovvero il consenso informato), costituente imprescindibile presupposto di liceità del trattamento sanitario medesimo, venendo a sorgere l’obbligo giuridico (prima ancora che professionale e deontologico) del medico di interrompere la somministrazione di mezzi terapeutici indesiderati.
Su se stesso, sul proprio corpo e sulla propria mente, l’individuo è sovrano
John Stuart Mill, La libertà
lunedì 26 gennaio 2009
«Un diritto di libertà assoluto»
Dalla sentenza 214/2009 del Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia:
Più chiaro di così...
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