Il testo rimane orrendo, contraddittorio, poco comprensibile, verboso, illiberale; ma ha almeno perso lo sfrontato carattere di legge criminale che aveva nella prima versione. Le modifiche non appaiono casuali; qualcuno deve essersi reso conto che la legge sarebbe andata incontro a una sicura bocciatura della Corte Costituzionale, non senza prima aver seminato grandi sofferenze e serissimi problemi di applicazione. Naturalmente il potere integralista ha notato le modifiche, e le prime messe in guardia sono già apparse sui suoi organi di stampa; rimane dunque incerto il destino ultimo del ddl.
Cerchiamo adesso di capire cosa accadrebbe se il ddl diventasse legge.
Varrà ancora il principio del consenso informato?
La prima versione del ddl non faceva solo strame del testamento biologico; cosa ancora più grave e inaudita, avrebbe impedito anche a chi è pienamente cosciente di decidere quali trattamenti sanitari accettare o rifiutare, come abbiamo cercato di mostrare a suo tempo qui su Bioetica.
La nuova versione sembra aver cancellato questa vergogna, seppur con qualche ambiguità. All’art. 1, comma 1 lettera c, afferma per prima cosa: «[La presente legge] garantisce che gli atti medici non possono prescindere dall’espressione del consenso informato». L’affermazione, piuttosto perentoria (e assente nella prima stesura), è seguita da un rinvio all’art. 2, dove viene ripetuto (cc. 1 e 5) che «salvo i casi previsti dalla legge, ogni trattamento sanitario è attivato previo consenso esplicito ed attuale del paziente prestato in modo libero e consapevole», e che «il consenso al trattamento sanitario può essere sempre revocato, anche parzialmente». Questi due commi erano presenti anche nella prima versione; dov’è allora la novità? Tornando all’art. 1, c. 1 l. e, troviamo che «[la presente legge] vieta ai sensi degli articoli 575, 579 e 580 del codice penale ogni forma di eutanasia e ogni forma di assistenza o di aiuto al suicidio, considerando l’attività medica esclusivamente finalizzata alla tutela della vita e della salute, nonché all’alleviamento della sofferenza». Ecco una prima differenza: nella versione originale (art. 2 c. 1), si specificava «ogni forma di eutanasia, anche attraverso condotte omissive». L’assenza delle parole in corsivo è significativa, anche se purtroppo la dizione «ogni forma di eutanasia» è abbastanza vaga da poter restare aperta ad interpretazioni aberranti, per le quali anche il rifiuto delle terapie configurerebbe una forma di eutanasia omissiva da impedire. Proseguiva il vecchio testo (c. 2): «L’attività medica, in quanto esclusivamente finalizzata alla tutela della vita e della salute, nonché all’alleviamento della sofferenza non può in nessun caso essere orientata al prodursi o consentirsi della morte del paziente, attraverso la non attivazione o disattivazione di trattamenti sanitari ordinari e proporzionati alla salvaguardia della sua vita o della sua salute, da cui in scienza e coscienza si possa fondatamente attendere un beneficio per il paziente». Qui l’omissione è ancora più significativa (e forse si potrà in futuro usare per documentare l’intenzione del legislatore); si noti come nel nuovo testo la tutela della vita rimanga bilanciata dall’«alleviamento della sofferenza», senza ulteriori specificazioni. Certo, all’art. 1, c. 1 l. a, il diritto alla vita rimane «indisponibile», tale cioè che non è possibile rinunciare ad esso; ma in fondo già per la legislazione esistente la vita non è un diritto interamente disponibile (art. 5 Cod. Civile, artt. 579 e 580 Cod. Penale), e quindi l’impatto della norma potrebbe anche essere nullo.
Un’ultima nota: chi ha pensato di ricorrere alla nomina di un amministratore di sostegno per garantirsi il rispetto delle proprie volontà nel caso di un incidente che lo riduca in stato di incoscienza farà bene a cercare qualche altro mezzo, visto che la legge, se fosse approvata, chiuderebbe questa strada: l’istituto è previsto, ma «avendo come scopo esclusivo la salvaguardia della salute psicofisica dell’incapace». Niente sospensione delle terapie, dunque.
Cosa si potrà indicare nelle dichiarazioni anticipate?
Una legge ideale dovrebbe consentire di rifiutare nel proprio testamento biologico ogni trattamento sanitario, né più né meno di come fa una persona cosciente e capace di intendere e di volere. E nel ddl Calabrò? Parlando in generale, la risposta è: non si capisce. Consideriamo i cc. 3 e 4 dell’art. 3:
3. Il soggetto può, in stato di piena capacità di intendere e di volere e in situazione di compiuta informazione medico-clinica, dichiarare di accettare o meno di essere sottoposto a trattamenti sanitari, anche se il medico ritenga possano essergli di giovamento. […]Notiamo per prima cosa che anche qui la norma è stata resa più liberale rispetto alla prima stesura: al c. 3 (dell’allora art. 5) questa specificava infatti che i trattamenti sanitari, per poter essere rifiutati, dovevano essere «sperimentali invasivi o ad alta rischiosità», mentre adesso si parla di «trattamenti sanitari» in genere. Il problema però è un altro: a chi si applica il c. 3? A chi sta compilando le proprie DAT per un trattamento futuro o solo a chi rifiuta un trattamento attuale? Se è vero il primo caso, allora perché manca la premessa «Nella dichiarazione anticipata di trattamento», altrove presente? E a che diavolo serve il c. 4, che è più restrittivo del comma che lo precede? Se è vero il secondo caso, che ci fa qui questo comma, sotto il titolo «Contenuti e limiti delle dichiarazioni anticipate di trattamento»? Il c. 2 non ci aiuta:
4. Nella dichiarazione anticipata di trattamento può essere esplicitata la rinuncia da parte del soggetto ad ogni o ad alcune forme particolari di trattamenti sanitari in quanto di carattere sproporzionato, futili, sperimentali, altamente invasive o altamente invalidanti.
2. Nella dichiarazione anticipata di trattamento il soggetto, in stato di piena capacità di intendere e di volere e in situazione di compiuta informazione medico-clinica, dichiara il proprio orientamento circa l’attivazione o non attivazione di trattamenti sanitari, purché in conformità a quanto prescritto dalla legge e dal codice di deontologia medica.Anche qui il linguaggio è generale, ma cosa si intende per «orientamento»? Vale quanto la rinuncia di cui si parla al c. 4? Confesso di non saper dare una risposta a nessuna di queste domande.
Si potranno rifiutare l’alimentazione e l’idratazione forzate?
Stavolta la risposta è chiara: no. Il c. 6 dello stesso art. 3 è perentorio:
In armonia con la Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità, fatta a New York il 13 dicembre 2006, l’alimentazione e l’idratazione, nelle diverse forme in cui la scienza e la tecnica possono fornirle al paziente, sono forme di sostegno vitale e fisiologicamente finalizzate ad alleviare le sofferenze fino alla fine della vita. Esse non possono formare oggetto di dichiarazione anticipata di trattamento.Sarebbe interessante sapere da chi ha scritto questo comma dove mai la Convenzione sui diritti delle persone con disabilità afferma che alimentazione e idratazione «sono forme di sostegno vitale e fisiologicamente finalizzate ad alleviare le sofferenze fino alla fine della vita». L’unica volta che nella Convenzione si parla di food and fluids è all’art. 25 c. f, e solo per dire che «[States Parties shall] prevent discriminatory denial of health care or health services or food and fluids on the basis of disability». Cosa abbia a che fare questo con il testamento biologico lo sa solo l’autore del comma – o forse nemmeno lui.
Rimane comunque non del tutto chiaro se alle persone coscienti sia concesso o meno di rifiutare alimentazione e idratazione. Dal fatto che il ddl solleva esplicitamente la questione solo riguardo alle DAT si dovrebbe dedurre che sia concesso; ovviamente in questo modo risulta particolarmente stridente la disparità di trattamento tra chi è cosciente e chi non lo è più. Davanti alla Consulta sarà quindi facile mostrare l’irragionevolezza e incostituzionalità di questa norma, in particolare alla luce dell’art. 3 Cost. (uguaglianza di fronte alla legge).
Le dichiarazioni anticipate saranno vincolanti?
Qui il ddl parte bene: all’art. 4 c. 1 dichiara che le «dichiarazioni anticipate di trattamento non sono obbligatorie ma sono vincolanti, fatte salve le previsioni dell’articolo 7». Nella versione iniziale non erano né obbligatorie né vincolanti; ma prima di cantar vittoria dobbiamo vedere quali siano le previsioni dell’art. 7. Qui, al c. 1, troviamo che il medico può disattendere le indicazioni del paziente; ma in quali casi? Al c. 2 leggiamo che «il medico non può prendere in considerazione indicazioni orientate a cagionare la morte del paziente». Siamo di nuovo in alto mare? Direi di no: nel linguaggio giuridico «cagionare» significa causare con un comportamento attivo, e non – in generale – omissivo; per essere considerata equivalente a un’azione, un’omissione deve venire esplicitamente sanzionata dalla legge. Quindi il ddl ci sta dicendo semplicemente che se scriviamo nelle nostre DAT che vogliamo ricevere un’iniezione letale il medico non può accontentarci; e non è certo una novità. Il c. 4, poi, prevede che «nel caso in cui la dichiarazione anticipata di trattamento non sia più corrispondente agli sviluppi delle conoscenze tecnico-scientifiche e terapeutiche, il medico, sentito il fiduciario, può disattenderla», e anche questo ci può stare: se rifiuto nelle DAT un certo trattamento perché lo ritengo troppo invadente, e in seguito la stessa pratica diventa per il progresso della scienza più accettabile, è giusto che il medico non si fermi alla lettera del mio testamento biologico. Prosegue il ddl al c. 5:
Nel caso di controversia tra fiduciario ed il medico curante, la questione è sottoposta alla valutazione di un collegio di medici […]. Il parere espresso dal collegio non è vincolante per il medico curante, il quale non sarà tenuto a porre in essere prestazioni contrarie alle sue convinzioni di carattere scientifico e deontologico.La norma qui è discutibile (Stefano Ceccanti pensa che sia incostituzionale, perché non si preoccupa di rendere le DAT vincolanti per la struttura sanitaria), ma mi sembra che il contrasto fra medico e fiduciario possa sorgere solo nell’ambito abbastanza stretto delineato dai commi precedenti: richiesta nelle DAT di eutanasia attiva, e progresso medico che renda obsolete le volontà espresse in precedenza.
Attenzione, però: al c. 3 si dice che «il medico, nel caso di situazioni d’urgenza, sentito ove possibile il fiduciario, assume le decisioni di carattere terapeutico, in scienza e coscienza, secondo la propria competenza scientifico-professionale». Norma ambigua, che potrebbe celare un trabocchetto: se il paziente sta per morire le DAT non valgono più nulla, e il medico può seguire il proprio giudizio. Questa interpretazione è rafforzata dal più esplicito art. 4, c. 6: «In condizioni di urgenza o quando il soggetto versa in pericolo di vita immediato, la dichiarazione anticipata di trattamento non si applica». Questo avrebbe senso se le DAT non fossero immediatamente disponibili; nella formulazione attuale raggiunge invece il risultato di consegnare il paziente ai voleri del medico non appena la sua situazione si avvicina alla soglia critica.
Bestialità assortite
Non mancano poi qua e là incongruenze grossolane; sembra quasi che la capacità di scrivere decentemente una legge si stia estinguendo nel nostro parlamento. Così, all’art. 3 c. 7, scopriamo che «la dichiarazione anticipata di trattamento assume rilievo nel momento in cui è accertato che il soggetto in stato vegetativo non è più in grado di comprendere le informazioni circa il trattamento sanitario». In stato vegetativo? E i pazienti che si trovano in coma (che è cosa diversa dallo SV)? Per quale ragione nel loro caso le DAT non dovrebbero «assumere rilievo»? E se invece che in stato vegetativo il paziente si trova in uno stato di minima coscienza, allora le sue DAT non hanno proprio più valore? Come mai?
Altra perla. Art. 4 c. 4: «La revoca, anche parziale, della dichiarazione deve essere sottoscritta dal soggetto interessato». Un testimone di Geova ha chiesto nelle sue DAT di non essere sottoposto a trasfusione di sangue. Sull’ambulanza ha un ripensamento, e lo dice all’infermiere. Poi perde i sensi, senza aver potuto ovviamente sottoscrivere alcuna dichiarazione. Risultato: il medico potrebbe (e forse sarebbe addirittura obbligato a) ignorare la volontà più recente di quella persona, che verrebbe lasciata morire in base a una dichiarazione non più rispondente ai suoi desideri.
Si dovrà ancora andare dal notaio?
Come anticipato dai vari organi di stampa, questo almeno ci dovrebbe essere risparmiato: basterà recarsi dal medico curante ogni cinque anni, per rinnovare le DAT. Lo Stato, da buon papà di minori scapestrati, non si fida della nostra memoria...
Che fare?
Di fronte a questo obbrobrio cosa dovrebbe fare in aula un’opposizione degna di questo nome? Mentre si organizza da parte di alcuni una sorta di ostruzionismo (i cui scopi personalmente non ho ben capito), direi che la cosa migliore sarebbe di presentare una serie di emendamenti che rielaborino il ddl, seguendone grosso modo la traccia, ma eliminando ogni ambiguità e rendendolo più sintetico e leggibile. Dovrebbero essere presentate due versioni: una in cui sia possibile rifiutare sempre alimentazione e idratazione artificiali, e una in cui sia possibile solo al di fuori delle DAT. Mentre non c’è nessuna speranza che la prima versione possa passare, dato l’investimento politico che è stato fatto sul tema, dovrebbe essere possibile raggiungere sulla seconda un compromesso con ampi settori della maggioranza. Si otterrebbe in questo modo una legge decente, con l’eccezione di un singolo punto, su cui la parola passerebbe comunque in seguito alla Corte Costituzionale, con ottime possibilità di vederlo cassato. Si otterrebbe anche il risultato politico di portare alla luce divisioni nella maggioranza analoghe a quelle che dilaniano il PD, con gli integralisti capitanati da Alfredo Mantovano che sicuramente non voterebbero una legge di quel genere (e che in effetti probabilmente non voteranno neppure il testo Calabrò, se dovesse rimanere immutato).
Ma appunto, parliamo di un’opposizione degna di questo nome...
Grazie mille per l'analisi minuziosa
RispondiEliminaFrance
in effetti in prima lettura lascia perplessi una certa confusioni: ridondanze, contraddizioni. Come se la legge, anzi, il disegno, sia stato scritto per approssimazioni successive e senza la necessaria competenza e conoscenza almeno delle norme esistenti.
RispondiEliminaciao, mi domandavo .. se nel secondo testo... rientri anche: l'omissione mediante azione, nell'oggetto della dat?
RispondiEliminaè il caso del respiratore ...
Alessandro, potresti essere più preciso, per favore? "Rientri" in che punto del ddl, esattamente? (Scusa, ma in questo momento non ho molto tempo.)
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