Fare qualcosa a qualcuno contro il suo consenso costituisce (con le dovute e ovvie eccezioni) un’aggressione. La persona capace e informata è il miglior giudice dei propri interessi; in questo caso agire contro il suo giudizio significa quasi automaticamente ledere i suoi interessi e violare i suoi diritti.
Fare qualcosa a qualcuno senza il suo consenso non è molto meglio. Nessuno mi conosce meglio di me stesso; chi sceglie per me senza consultarmi può facilmente conseguire un risultato contrario a ciò che voglio davvero. Certo, può capitare che costui indovini la mia preferenza. Mi ha visto fermarmi più volte di fronte a una palestra del mio quartiere, leggerne i volantini pubblicitari con un vago sorriso sulle labbra, valutare con aria critica i miei bicipiti allo specchio; prende quindi l’iniziativa di iscrivermi alla palestra, anticipando il denaro necessario, senza dirmi o chiedermi niente. Io posso anche essere stato effettivamente sul punto di iscrivermi, ma questo non toglie che potrei a buon diritto irritarmi: quel gesto rivela una pericolosa tendenza a non prendere in considerazione la mia volontà, che in altre circostanze potrebbe facilmente condurre quella persona a interpretarla in modo errato, causandomi un danno evitabilissimo: perché mai non chiedere il mio parere?
Ci si potrebbe domandare cosa accadrebbe se esistesse qualcuno in grado di conoscere infallibilmente le nostre preferenze e di anticipare sempre le nostre decisioni, eliminando quindi la possibilità stessa di sortire un effetto contrario alla nostra volontà. Mettiamo che fra trent’anni venga sviluppata un’intelligenza artificiale in grado, dopo un congruo periodo di rodaggio, di simulare un modello fedele della nostra mente, e quindi di indovinare alla perfezione che cosa vogliamo prima ancora che glielo diciamo. Come la dovremmo considerare? Le risposte, molto probabilmente, varierebbero a seconda delle persone. Qualcuno vi vedrebbe il segretario personale perfetto, e finirebbe per delegargli ogni decisione; qualcun altro temerebbe di venire espropriato della vita, e rifiuterebbe con forza di averci niente a che fare, perfino a costo di subire ogni tanto le conseguenze di azioni impulsive, che la macchina avrebbe evitato. I più, si può immaginare, delegherebbero alcune azioni e altre no: si lascerebbe al computer il compito di decidere quale fondo d’investimento scegliere per noi, e ci riserveremmo quello – molto più piacevole – di scrivere un affettuoso biglietto d’auguri per il compleanno della nostra amica Veronica.
È importante notare che qui c’è poco di oggettivo: delegare o meno sarebbe sempre una scelta personale (una meta-scelta, se si vuole), di cui di nuovo saremmo noi i giudici migliori. In effetti, se quel computer fosse davvero in grado di anticipare i nostri desideri, neppure ci proporrebbe di sostituirci nei compiti di cui andiamo più gelosi...
Molti anni ci separano, nel migliore dei casi, dall’affrontare questi dilemmi; nell’immediato la vita ci propone purtroppo a volte scelte assai più drammatiche. Può capitare così che una persona perda la capacità di fornire il proprio consenso a un’azione che la riguarda, per esempio perché un incidente o una malattia l’hanno ridotta in uno stato persistente di incoscienza. Nessun problema, pur nella disgrazia, se quella persona aveva espresso in precedenza una chiara opinione sulla questione che si pone adesso: il suo consenso si può dare per acquisito, e va rispettato (lasciamo ai sofismi degli integralisti le proteste sulla sua pretesa «inattualità»). Ma può capitare anche che quell’opinione non sia mai stata espressa: la persona non aveva mai pensato alla particolare questione che adesso la riguarda (magari perché rappresenta una novità tecnica o di altro tipo), o non aveva mai detto niente in proposito. A decidere al suo posto dovrà essere allora un tutore o un fiduciario appositamente designato, che dovrà agire nell’interesse della persona incosciente (eventualmente sotto la supervisione di un’autorità).
Come definire l’interesse di una persona incapace di esprimere preferenze, se ammettiamo, come abbiamo fatto all’inizio, che è essa stessa il miglior giudice di quello che è il suo proprio bene? La risposta è abbastanza immediata: l’interesse della persona inconsapevole coincide con ciò che essa avrebbe deciso quand’era ancora cosciente, se fosse stata informata dei termini della questione (se la persona è un bambino o un disabile dalla nascita la risposta dovrebbe naturalmente essere diversa). Cosa deve fare allora il tutore, ammesso che lo stato di incoscienza sia permanente o che la questione richieda una decisione in tempi che sono più ristretti del previsto risveglio? La risposta, di nuovo, sembrerebbe abbastanza ovvia: il tutore deve tentare di ricostruire quale sarebbe stata la decisione dell’individuo incosciente, basandosi su tutto quello che sa di lui (o, in mancanza di questo, sulle reazioni più comuni e naturali alla questione); deve decidere non al posto dell’altro, ma come se impersonasse l’altro. Solo nel caso di una sostanziale impossibilità di ottenere una risposta potrebbe considerare gli interessi di terzi – o rassegnarsi a lanciare la classica monetina...
Alcuni però, pur sottoscrivendo il punto di vista liberale, non considerano ovvia questa risposta. Un errore, argomentano, è sempre possibile: non dicevamo all’inizio che nessuno ci conosce meglio di noi stessi? Meglio astenersi, se rimane un margine di dubbio e specie in materie delicate e personalissime; eviteremo così il rischio di andare contro la vera volontà della persona inconscia.
Ma l’argomento non regge. Assumendo l’impegno di tutore, chi ci rappresenta assume anche l’obbligo di fare tutto ciò che è nel nostro interesse. Anche non agire diventa dunque una scelta, di cui il tutore porta intera la responsabilità: per usare la formula felice del Codice penale (art. 40 c. 2), «non impedire un evento, che si ha l’obbligo giuridico di impedire, equivale a cagionarlo». Anche in caso di dubbio la scelta dunque non potrebbe che ricadere sull’opzione più probabile, fosse pure l’alternativa fra una chance del 50,1% e una del 49,9%.
Un’obiezione più seria è quella che investe la possibilità stessa che un tutore decida al posto nostro. La sovranità dell’individuo su se stesso, si sostiene, è almeno in certi casi – come per esempio quando è in gioco la funzione generativa – inalienabile. Certe decisioni non si possono e non si devono prendere per un altro.
Ma, come vedevamo già nel caso dell’intelligenza artificiale, anche qui la presunzione di un bene ‘oggettivo’ valido per tutti deve cedere il passo al giudizio – magari ricostruito – dell’individuo. Sono sempre io il giudice migliore di cosa delegare e cosa no; anche qui, come altrove, è in gioco un mio interesse. E se non ho lasciato nessuna dichiarazione in proposito, è paradossalmente (ma non poi molto) il mio tutore che deve giudicare in via preliminare – basandosi su ciò che sa di me – se avrei voluto essere rappresentato da lui in questa o quella questione. L’autodeterminazione è fatta per l’uomo, non l’uomo per l’autodeterminazione: anche la libertà più personale si può – specie se le circostanze lo consigliano – delegare a un altro.
Giuseppe Regalzi ha scritto:
RispondiElimina"Un’obiezione più seria è quella che investe la possibilità stessa che un tutore decida al posto nostro. La sovranità dell’individuo su se stesso, si sostiene, è almeno in certi casi – come per esempio quando è in gioco la funzione generativa – inalienabile. Certe decisioni non si possono e non si devono prendere per un altro."
Per me il tutore può decidere tutto, se tale è la volontà di chi l'ha scelto. Quell'uomo in coma non ha ceduto a nessuno la sua sovranità riguardo alla funzione generativa, perciò la richiesta della moglie non dovrebbe secondo me essere accolta.
Diamo per scontato che il tutore possa prendere alcune decisioni riguardo il corpo del tutelato (per esempio autorizzando una certa operazione) anche senza una delega esplicita; perché allora questo non dovrebbe valere in linea di principio per tutte le decisioni? Chi decide che per questo è possibile e per quest'altro no?
RispondiEliminaLa cosa più logica è che anche qui si ricorra alla volontà presunta. Il tutore per prima cosa si chiederà: la persona in coma avrebbe voluto che qualcuno decidesse per lui? Dopo aver risposto a questo passerà a chiedersi cosa quello avrebbe deciso se avesse conosciuto i termini della questione.
"Diamo per scontato che il tutore possa prendere alcune decisioni riguardo il corpo del tutelato (per esempio autorizzando una certa operazione) anche senza una delega esplicita; perché allora questo non dovrebbe valere in linea di principio per tutte le decisioni?"
RispondiEliminaPenso che sia prudente che, in mancanza di delega esplicita, la possibilità di decisione del tutore sia ristretta a particolari ambiti, come ad esempio il caso di un'operazione.
Un tutore che faccia procreare una persona in coma secondo me si allarga un po' troppo.
"Il tutore per prima cosa si chiederà: la persona in coma avrebbe voluto che qualcuno decidesse per lui? Dopo aver risposto a questo passerà a chiedersi cosa quello avrebbe deciso se avesse conosciuto i termini della questione."
RispondiEliminaMi sembra difficile e azzardato rispondere a domande del genere. Il caso di Eluana sarebbe stato assai problematico se non avesse espresso in modo così chiaro la sua volontà. Nonostante noi sappiamo che la maggioranza della gente non vuole essere tenuta in vita in quelle condizioni, autorizzare l'interruzione della terapia in mancanza di un'espressione chiara di volontà è assai discutibile. In questo caso non sono nemmeno sicuro che la maggioranza delle persone sarebbe favorevole a generare un figlio in quel modo, dunque ancora più discutibile sarebbe accogliere la richiesta della moglie. Dimostrare che questa persona voleva un figlio non basta, perché non è detto che lo volesse essendo in come e in quel modo. Io posso desiderare un figlio, ma se poi mi arriva la notizia che ho pochi mesi di vita la mia prospettiva cambia.
Chi decide a quali ambiti restringere la possibilità di decisione del tutore? Così si torna all'imposizione di un'etica particolare a tutti...
RispondiEliminaRipeto, se una persona delega un tutore a decidere su tutto per me va benissimo.
RispondiEliminaA me interessa che ciascuno abbia la possibilità di dire sì o no su questo come su altro.
Penso che sia intuitivo che il dire no alla richiesta della moglie sia più rispettoso del principio dell'autodeterminazione che dire sì.
RispondiEliminaDicendo no non corriamo il rischio di compiere un abuso; al massimo corriamo quello di non assecondare una possibile desiderio che il marito potrebbe avere (il lasciare un figlio alla moglie essendo lui in coma).
A questo ho già risposto nel post: per il tutore fare o non fare sono esattamente la stessa cosa.
RispondiEliminaSul caso in questione non sono d'accordo che sì e no siano la stessa cosa. Se alla richiesta della moglie viene detto no penso sia difficile parlare di un abuso nei confronti del marito, visto che non si è mai pronunciato in merito. Non riesco a immaginare il marito che si risveglia e si incavola per non aver potuto procreare quando era in coma. Riesco invece a immaginarlo benissimo incavolato per essere stato "usato" senza permesso.
RispondiEliminaE se ad essere in come fosse la moglie e a desiderare il figlio fosse il marito?
Penso che occorra far entrare nella valutazione del caso il fatto che quell'uomo non si risveglierà mai più. C'è molta differenza fra estrarre lo sperma sapendo che dopo un po' l'uomo si sarebbe risvegliato e farlo sapendo che è in coma irreversibile.
RispondiEliminaSe in coma fosse la donna si procederebbe esattamente allo stesso modo: si estrarrebbero gli ovociti e si procederebbe a impiantarli, una volta fecondati, in una madre surrogata. Se ti riferisci invece a far avviare una gravidanza a una donna in coma, direi che la cosa tende a orripilare la maggioranza delle persone (se a torto o a ragione, non ci interessa): quindi in assenza di dichiarazioni esplicite o di altri indizi si dovrebbe presumere che neppure la donna in questione avrebbe voluto una cosa simile.
L'esempio del risveglio l'ho fatto solo per illustrare meglio la mia convinzione che dire no alla richiesta della donna non è un abuso nei confronti del marito, mentre dire sì potrebbe esserlo.
RispondiEliminaPerché la fecondazione artificiale dovrebbe avere uno status speciale? Alla moglie sarebbe consentito avere un rapporto sessuale con il marito in coma allo scopo di avere un figlio?
Non c'è uno status speciale della fecondazione artificiale. Dato che dobbiamo ricostruire una volontà presunta, ci basiamo (fra l'altro) sulle preferenze medie -- magari irrazionali, ma questo non importa -- che si riscontrano nella popolazione.
RispondiEliminaSe la persona in coma risulta aver avuto come film preferito Kissed ed essere stato un grandissimo fan di Molly Parker, forse la nostra valutazione dovrebbe essere diversa... :-)
"Se la persona in coma risulta aver avuto come film preferito Kissed ed essere stato un grandissimo fan di Molly Parker, forse la nostra valutazione dovrebbe essere diversa".
RispondiEliminaQuesta mi sembra che ricalchi il dilemma dell'iscrizione alla palestra...
"Penso che occorra far entrare nella valutazione del caso il fatto che quell'uomo non si risveglierà mai più".
Ho pesnato ad un caso simile ma diverso: il coma non è irreversibile, ma alla donna rimane pochissimo tempo per essere ancora in grado di fecondare o procreare, e quando l'uomo si risveglierà sarà comunque troppo tardi. È singolare che in questo caso sarei meno sfavorevole al tentare la strada del prelievo coatto, pur non avendo nemmeno in questo caso una risposta definitiva. Mi sono chiesto come mai la vedo così e la risposta potrebbe essere proprio nel fatto che la genitorialità è in una moltitudine di casi un'intenzione di vita e non un progetto di mera discendenza. E allora nel caso del coma irreversibile questa possibilità (di fare poi da padre) non sarebbe ammessa in partenza, mentre nel secondo caso il progetto familiare rimarrebbe integro. Quindi nel secondo caso è più plausibile che si stia seguendo la volontà della persona.
In generale penso che potremmo tranquillamente valutare se i confini di azione di un tutore siano limitati: essi non dovrebbero sopperire all'impossibilità di perseguire nuovi progetti personali. Una cosa secondo me è incanalare in una direzione o in un'altra i trattamenti medici cui sottoporre una persona, che sono assolutamente necessari (in un verso o nell'altro), un altro invece la pretesa un po' utopica di sopperire alla fine della coscienza in modo da far perseguire a quella persona quei fini e quegli scopi che la sopravvenuta incoscienza ha amputato. Senza questi limiti arriveremmo al paradosso di far condurre al tutore una dopoia vita: la propria e quella del suo assistito, che verrebbe fatto diventare a seconda dei casi padre, attore, palestrato, e via via fino a dove arriva la fantasia.
Nel caso della palestra, far fare stimolazione elettrica muscolare alla persona che è in coma, la stessa persona che si leggeva i volantini ma non si era mai iscritta, sarebbe uno sconfinamento non dissimile dal caso in cui la persona era cosciente e si ritrovava iscritta d'ufficio. Un certo risentimento è preventivabile - e ne va tenuto conto - in entrambi i casi. Perché dovrebbe essere pacifico far fare quella palestra passiva all'interessato se abbiamo appena notato che potrebbe non esserne troppo contento, anche se si studiava tutti i volantini del mondo?
x Giuseppe: mi interesserebbe che tu chiarissi esplicitamente quali sarebbero le considerazioni diverse da fare nel caso di 'bambini' e di 'disabili'.
RispondiEliminaNei diritti universali si parla di 'esseri umani',senza etichette di età, salute, sesso, etnia. Tu fai distizioni? In quale senso? Per i bambini ed i disabili i diritti umani valgono meno degli altri? O bisogna essere particolarmente intelligenti e possedere una laurea in legge per capire i fondamentali distinguo da applicate ai diritti umani nel caso di bambini e disabili?
Sai, io sono talmente sempliciotta da pensare che i Diritti Universali debbano valere per ogni essere umano, di qualsiasi età ed in qualsiasi condizione di salute sia.
AnnaMaria
AnnaMaria, in attesa della risposta di Giuseppe ne approfitto per farti osservare che una cosa è avere diritti, un'altra sono gli strumenti che usiamo per tutelarli. Credo che l'osservazione di Giuseppe su minori e disabili tenessse proprio conto del problema di come tutelarne i diritti nel miglior modo possibile. Se ad una persona che non può camminare forniamo un mezzo per muoversi non la stiamo discriminando ma stiamo tutelando un suo diritto.
RispondiEliminaQueste cose sono talmente ovvie che quando fai questi interventi diventa fortissimo (almeno in me) il sospetto che tu voglia solo provocare e fare la gnorri.
Se si accetta la richiesta della moglie di quell'uomo in come si fornisce un argomento ai clericali, che potrebbero dire che, così come quell'uomo è stato fatto procreare senza il suo consenso altri potrebbero essere fatti morire senza il loro consenso.
RispondiEliminaVa benissimo che si faccia una legge più liberale sulla fecondazione assistita, consentendo la fecondazione eterologa e permettendo di ricorrervi anche a chi non è sterile. Però la necessità del consenso di entrambi i genitori dovrebbe secondo me restare.
Ho scritto più volte "in come" invece che "in coma". Chiedo scusa.
RispondiElimina"In generale penso che potremmo tranquillamente valutare se i confini di azione di un tutore siano limitati: essi non dovrebbero sopperire all'impossibilità di perseguire nuovi progetti personali".
RispondiEliminaCredo che in questo caso non si tratti di un progetto personale: siamo più vicini a una forma di eredità. La domanda giusta che il tutore si deve porre non è se il soggetto avrebbe voluto essere padre, ma se avrebbe voluto fare un ultimo dono alla sua compagna.
AnnaMaria: non meriti nemmeno risposta. Stai distorcendo malevolmente quello che ho scritto. Paolo ha ragione: le tue sono solo provocazioni.
RispondiEliminaMildareveno: modificherei la tua obiezione nel senso che una larga parte dell'opinione pubblica potrebbe allarmarsi se certi casi (per esempio la sospensione dei trattamenti sanitari) venissero decisi sul filo del 50% di probabilità, e sentirsi costretta di conseguenza ad affermare positivamente la propria volontà contraria a certe pratiche.
RispondiEliminaIn questo caso la cosa da fare sarebbe di stabilire rapidamente una regola per cui chi vuole X lo scrive nelle proprie direttive anticipate, e chi non lo vuole può continuare a contare sul silenzio-dissenso. Chiaro però che se la fetta di opinione pubblica è ristretta, allora vale il contrario (p.es., i Testimoni di Geova non potrebbero pretendere che chi vuole una trasfusione lo deve dichiarare esplictamente). Entro questi limiti la mia tesi andrebbe in effetti integrata.
Avrei una domanda.
RispondiEliminaCome posso avere un'intenzione chiara e decisa di un qualcosa che mai ho fatto esperienza?
Come il trovarmi in condizioni limite su un letto di ospedale e dove altri devono decidere per me.
La mia risposta è che mai prenderei come buona la posizione di altri che come me sono nella stessa situazione e cioè quella di non aver mai fatto esperienze drammatiche del genere.
Voglio dire che è alquanto improbabile per una persona stabilire a priori cosa si desidera e quali decisioni prendere in situazioni simili se almeno si è un poco realisti!
La vita è piena di cambiamenti di rotta su ciò che si crede, fin tanto che una persona non raggiunge la verità della questione.
Come faccio ad avere certezza che in condizioni critiche la mia coscienza non mi porti a ragionare altre posizioni? e se ho già gettato la spugna a priori? chi è in grado di fare dietro-front?
L'unica verità alla quale attaccarsi nei casi limite è la vita, cioè quello che si è fatto fino a quel punto.
"Come faccio ad avere certezza che in condizioni critiche la mia
RispondiEliminacoscienza non mi porti a ragionare altre posizioni?"
Andrea, temo che ci sia un equivoco. Qui non si ragionava su un malato qualsiasi che si trova in gravi condizioni e che ragiona sulla sua esperienza, ma su malati totalmente privi di coscienza, che quindi non possono avere nessuna "posizione" (o cambiamento di posizione) su ciò che è bene per loro.
Credo proprio Giuseppe che la cosa più incerta sia proprio quella di essere certi della totale assenza di coscienza di queste persone.
RispondiEliminaScusa il gioco di parole.
Vedi Giuseppe, ognuno è libero di credere o non credere in qualcosa oltre la morte, di certo non è una bella vita, vissuta in modo felice, quella priva di speranza.
Come fa e con quale spirito una persona progetta un futuro per se, o per la propria famiglia, pur sapendo che all'improvviso tutto possa finire, dopo di che il buio, il nulla.
Varrebbe la pena farla finita all'istante per la drammaticità di quello che si delinea da un atteggiamento di questo tipo.
Del resto ognuno è libero di pensare come vuole.
Voglio ricordarti solo che sono tanti i casi inspiegabili di persone che si risvegliano inaspettatamente o che guariscono misteriosamente, come sono numerosi i medici che non sono in grado di dare spiegazioni e che ne portano testimonianza.
E' altrettanto vero che credere in qualcosa, dà a ognuno una forza in più soprattutto nelle difficoltà di qualunque tipo siano.
Con questo non sostengo che "credere in" risolva ogni male, perchè in ogni caso morire non spetta a noi deciderlo.
Pensa a quanti casi di suicidio malriusciti!
La morte prima o dopo arriva in ogni caso.
Credo fortemente che viviamo in una società che non tollera ne il dolore ne il sacrificio personale, si vuole tutto e subito.
Questo è inevitabilmente diseducativo per noi e per i giovani che crescono.
Guarda quanta intolleranza c'è oggi nelle persone, l'intolleranza è violenza, e la si vede soprattutto nei giovani, nelle scuole, nel tempo libero, tra le persone.
Alla fine è violenza solo verso se stessi.