[S]econdo i parametri e gli stilemi morali della cultura abortista, questo delitto dovrebbe essere ascritto alla coscienza solitaria di chi lo ha compiuto pensando di fermare una strage e alla sua insopprimibile vocazione ad esprimersi nella libertà; dovrebbe essere perdonato seduta stante, se non lodato, osannato come espressione della libertà e autonomia di una coscienza volta al bene. Infatti è con queste indulgenti e vischiose ragioni che oggi l’aborto viene giustificato, serialmente praticato, considerato un atto di autonomia della persona senza conseguenze troppo serie sulla vittima dell’atto. È con l’appello alla coscienza, trascurando e per cosi dire nascondendo la parola “delitto” o “peccato”, che si convive moralmente con il fatto indifferente dell’abolizione chirurgica di milioni di esseri umani, soprattutto donne (in Asia). Un antiabortista serio non si appella alla coscienza per giustificare un assassinio. Dovrebbero precludersi questa via facile e spregevole anche gli abortisti, questi idealisti.Per comprendere appieno la logica alla base dell’articolo bisogna leggere anche il resto, là dove Ferrara parla dell’«impronta della coscienza personale, di quel dialogo o contatto diretto con il Dio moderno che autorizza ogni atto frutto di profonda convinzione, di chiamata, di vocazione dell’individuo solitario», e conclude che «non si uccide un uomo per ragioni morali personali».
Io non so se Scott Roeder, l’assassino di Tiller, possa essere considerato o meno «un antiabortista serio»; ma posso immaginare che respingerebbe con foga l’accusa di aver ucciso Tiller «per ragioni morali personali». È facile ipotizzare che Roeder si sia mosso in base alla credenza, condivisa da migliaia di persone in tutto il mondo che l’aborto sia un «delitto» e che l’assassinio di innocenti – una volta ammesso che di questo si tratta – vada impedito in tutti i modi. Cosa c’è di «personale» in tutto ciò? Roeder si è mosso in base ai valori di una comunità, che ha coerentemente interpretato; sembrerebbe quasi che per Ferrara l’unico comportamento morale ammesso sia quello che ha ricevuto il bollo di approvazione dell’autorità costituita...
L’argomentazione del direttore del Foglio vale almeno per gli «abortisti»? Nemmeno. È vero che si fa spesso riferimento alla libertà di coscienza delle donne per giustificare il loro diritto all’aborto, nel senso che spetta alla coscienza individuale della donna – e non a quella del marito e dei membri della famiglia, della Chiesa o dello Stato – determinare se una gravidanza debba essere portata avanti o no, se avere un figlio sia o meno un bene per la donna; ma la premessa, implicita solo perché ovvia, è sempre che l’embrione o feto non gode di un diritto alla vita concorrente con quello all’autodeterminazione della donna. E questa non è materia di coscienza individuale: che l’embrione non abbia un diritto alla vita paragonabile ai diritti della donna (o che non ce l’abbia per niente) è stabilito dalle leggi ed è un ovvio corollario delle concezioni morali condivise da milioni di persone. Condivise forse persino dallo stesso Ferrara, che se pensasse veramente che l’embrione ha un diritto ineliminabile alla vita dovrebbe – sia pur malvolentieri – giustificare il gesto omicida di Scott Roeder, invece di arrampicarsi sugli specchi di una condanna incoerente con le sue stesse premesse.
Riguardo a questa storia suggerisco di leggere questo interessante articolo che getta un po' di luce sul lavoro di Tiller: http://www.salon.com/mwt/broadsheet/feature/2009/06/01/late_term_abortion/
RispondiEliminaGrazie, Norman: è davvero un articolo prezioso. Consiglio a tutti di leggerlo.
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