sabato 6 giugno 2009

La famiglia come «società naturale»

Contro la possibilità del matrimonio omosessuale viene spesso invocato da alcuni il primo comma dell’art. 29 della Costituzione:
La Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio.
L’aggettivo «naturale», si sostiene, limiterebbe l’applicazione dei diritti alle unioni eterosessuali; queste sole, appunto, sarebbero «naturali», nel senso di «normali» o di appartenenti a un mondo «naturale» contrapposto al mondo umano, ovvero a uno stato di natura contrapposto a quello di cultura. Questa però è una versione «ingenua» ed essoterica dell’argomento, contro la quale è fin troppo facile obiettare che «normale» è concetto troppo vago per avere una qualsiasi utilità morale o giuridica, e che l’omosessualità preesiste alla nascita della cultura e dell’uomo stesso (i famosi pinguini omosessuali...). In realtà, la versione originale del richiamo alla naturalità, quella che usano gli autori più smaliziati, è che per «natura» si deve intendere la finalità essenziale dell’uomo, una potenzialità intrinseca che tutti sarebbero tenuti a rendere attuale, o almeno a non ostacolare in nessun modo; per cui, per esempio, dall’esistenza di sessi opposti si deve dedurre che solo l’unione eterosessuale – l’unica conforme alla legge naturale, all’ordinamento essenziale del mondo – è buona. Tutto ciò che in natura o nella società contraddice questa finalità è per costoro un’aberrazione senza significato.
Ma esiste almeno un altro senso della parola «naturale»: ed è quello di pregiuridico, di qualcosa che precede lo Stato ed esiste indipendentemente da esso e dalle sue leggi. Con questa accezione si vuole il più delle volte rendere chiaro che fonte del diritto non è esclusivamente lo Stato, e che le leggi hanno una loro fonte di legittimazione antecedente, per cui ad esempio sarebbe giusto e doveroso condannare e combattere lo Stato che decretasse la liceità del furto o dell’omicidio. Se fosse questo il senso, non sarebbe certo immediato dedurre dall’art. 29 la proibizione del matrimonio omosessuale. Se tutti gli esseri umani aspirano «naturalmente» – cioè indipendentemente dalle concessioni dei loro governanti – a costruirsi una famiglia; se abbiamo esempi anche antichi di famiglie omosessuali (si pensi, per la stessa Italia, alle coppie costituite da donne omosessuali, comuni e non troppo nascoste anche in un passato non recentissimo); allora non si vede perché il dettato costituzionale non si debba applicare, nella mutata sensibilità odierna, anche al matrimonio omosessuale. Anzi sarebbe forse da considerare incostituzionale l’attuale limitazione; e non solo a norma degli artt. 2 e 3 della Costituzione, ma paradossalmente anche dello stesso art. 29, che parla della famiglia (senza ulteriori specificazioni) come di una associazione indipendente dallo Stato, che lo Stato non può disconoscere.
In che senso, dunque, la Costituzione parla di «società naturale»? È ovvio che nessuno dei Costituenti aveva in mente la possibilità del matrimonio fra omosessuali; ma la Carta – se vogliamo che la Costituzione sia viva e parli anche per l’oggi – va interpretata nel significato letterale del suo testo, senza restringere la denotazione dei termini da essa impiegati a quella intesa dagli autori originali. Tuttavia, quando – come in questo caso – esiste una controversia sulla connotazione di un’espressione, che può essere intesa in sensi anche opposti, pare inevitabile fare ricorso alle discussioni dei padri costituenti, per trovare un punto comune di partenza all’interpretazione.
Qui di seguito registro pertanto i più significativi interventi in sede di Assemblea Costituente, tutti rigorosamente di esponenti della Democrazia Cristiana. Mi sembra che le conclusioni da trarne siano abbastanza univoche.

Giorgio La Pira, 6 novembre 1946:
Sin dall’inizio dei lavori della Sottocommissione, nella stesura della Costituzione, si è detto che la fondamentale preoccupazione è quella di negare la teoria dei «diritti riflessi», che fu il fondamento dello Stato fascista. Lo Stato fascista, infatti, aveva come suo fondamento la teoria giuridica che tutti i diritti sono creati e concessi dallo Stato, che può ritirarli in qualunque momento. Negando questa teoria, si vuole affermare che lo Stato non fa che riconoscere e tutelare dei diritti anteriori alla Costituzione dello Stato, che sono diritti dei singoli, diritti delle società o comunità naturali. Con una dichiarazione come quella proposta, ci si ricollega alla cosiddetta tradizione giuridica occidentale che da Aristotile, attraverso il Cristianesimo, è arrivata fino ad oggi.
Affermando che la famiglia «è una società naturale» – oppure «di diritto naturale», secondo la proposta del Presidente – si afferma che la famiglia è un ordinamento giuridico e che lo Stato non fa che riconoscere e proteggere questo ordinamento giuridico anteriore allo Stato stesso.
Aldo Moro, 15 gennaio 1947:
La famiglia è una società naturale. Che significa questa espressione? Escluso che qui «naturale» abbia un significato zoologico o animalesco, o accenni ad un legame puramente di fatto, non si vuol dire con questa formula che la famiglia sia una società creata al di fuori di ogni vincolo razionale ed etico. Non è un fatto, la famiglia, ma è appunto un ordinamento giuridico e quindi qui «naturale» sta per «razionale».
D’altra parte, non si vuole escludere che la famiglia abbia un suo processo di formazione storica, né si vuole negare che vi sia un sempre più perfetto adeguamento della famiglia a questa razionalità nel corso della storia; ma quando si dice: «società naturale» in questo momento storico si allude a quell’ordinamento che, perfezionato attraverso il processo della storia, costituisce la linea ideale della vita familiare.
Quando si afferma che la famiglia è una «società naturale», si intende qualche cosa di più dei diritti della famiglia. Non si tratta soltanto di riconoscere i diritti naturali alla famiglia, ma di riconoscere la famiglia come società naturale, la quale abbia le sue leggi e i suoi diritti di fronte ai quali lo Stato, nella sua attività legislativa, si deve inchinare. Vi è naturalmente un potere legiferante dello Stato che opera anche in materia familiare; ma questo potere ha un limite precisamente in questa natura sociale e naturale della famiglia.
Lodovico Benvenuti, 17 marzo 1947:
Qui, onorevoli colleghi, abbiamo la restaurazione del diritto naturale sulla forma positiva. Il concetto è evidente: prima dello Stato, indipendente dallo Stato, esiste un diritto acquisito dei cittadini, e della famiglia in particolare, che resiste al diritto dello Stato, di fronte al quale lo Stato non ha libertà di scelta; nel quale, quindi, il diritto dello Stato non può e non deve intervenire; e, ove lo faccia, lo farà in virtù della forza di coazione di cui è munito, ma violando il diritto. Non dimentichiamo, onorevoli colleghi, l’articolo 147 del Codice civile fascista, ove si diceva che l’educazione e la istruzione della prole devono essere conformi al sentimento nazionale fascista: il che significava che i genitori italiani, per essere in regola con la legge, dovevano educare i loro figliuoli a detestare la libertà e a servire l’oppressione. Queste sono le aberrazioni a cui può arrivare una legislazione, quando dimentichi che la famiglia è una società di diritto naturale.
Umberto Merlin, 15 aprile 1947:
Noi diciamo che questo concetto è affermato con le parole «la famiglia è una società naturale», per dimostrare questa semplice verità che la famiglia ha dei diritti primordiali, propri, che lo Stato non deve concedere come una graziosa concessione, ma che deve semplicemente riconoscere perché sono preesistenti alla sua organizzazione.
Camillo Corsanego, 22 aprile 1947:
Però quello che importa è di affermare nella Carta Costituzionale che lo Stato non crea i diritti della famiglia, ma li riconosce, li tutela e li difende perché la famiglia ha dei diritti originari, preesistenti, e lo Stato non deve fa altro che dare loro la efficace protezione giuridica.
Il legislatore non può «il libito far licito in sua legge». Qui noi stiamo costruendo una Carta costituzionale la quale codifica, cioè dà forma giuridica, ai diritti di libertà: diritti di libertà della persona, diritti di libertà del lavoro, diritti di libertà umana, diritti della famiglia che sono anteriori alla legge positiva scritta. Non facciamo qui la disquisizione teorica sulla esistenza, e sul significato che gli studiosi danno alle norme di diritto naturale; è certo che la legge scritta deve conformarsi a certe norme che preesistono al legislatore, che sono anzi le sue ispiratrici. Avviene questo anche quando si codificano norme particolari, quando per esempio nel Codice penale si pone la discriminante della legittima difesa e si dice che si può impunemente uccidere il fur nocturnus che viene durante la notte a turbare i nostri sonni, a rubarci il nostro peculio. Che cosa fa il legislatore in questo caso? Il legislatore non fa altro che dare formula giuridica a un diritto preesistente, Ulpiano stesso fin dai suoi tempi lo aveva insegnato: vim vi repellere licet idque ius naturae comparatur.
Noi siamo contro il concetto fascista: «tutto per lo Stato, tutto nello Stato, nulla contro lo Stato», e respingiamo la dottrina totalitaria la quale, considerando lo Stato unica fonte di diritto, vorrebbe che individui ed enti possedessero solo quel tanto di diritti che allo Stato – feudo del partito dominante – piacesse consentire.
Rimane da notare una cospicua incongruenza dell’art. 29: se la famiglia è una società naturale, che precede il diritto organizzato, com’è possibile che la si affermi fondata sul matrimonio, che è invece tipicamente un istituto dei diritto positivo? Della contraddizione si era accorto Piero Calamandrei, che – senza che nessuno intervenisse a contraddirlo – così parlava nella seduta del 23 aprile 1947:
Dal punto di vista logico ritengo che sia un gravissimo errore, che rimarrà nel testo della nostra Costituzione come una ingenuità, quello di congiungere l’idea di società naturale – che richiama al diritto naturale – colla frase successiva «fondata sul matrimonio», che è un istituto di diritto positivo. Parlare di una società naturale che sorge dal matrimonio, cioè, in sostanza, da un negozio giuridico è, per me una contraddizione in termini.
E concludeva, saggiamente:
Ma tuttavia, siccome di queste ingenuità nella nostra Costituzione ce ne sono tante, ce ne potrà essere una di più […].
Infine, quale che siano le nostre conclusioni sul significato dell’art. 29, una cosa è certa: come ricordava l’appello di 23 costituzionalisti nel febbraio 2007, la Costituzione
non impone affatto alla Repubblica di riconoscere come famiglia solo quella definita quale «società naturale fondata sul matrimonio». […] Il riconoscimento giuridico di altre tipologie di famiglia non comporterebbe alcun disconoscimento dei diritti delle famiglie fondate sul matrimonio e non potrebbe quindi violare il disposto dell’articolo 29, primo comma, della Costituzione. Il fatto che la Costituzione garantisca in modo particolare i diritti della famiglia fondata sul matrimonio non può in alcun modo avere come effetto il mancato riconoscimento dei diritti delle altre formazioni famigliari.

4 commenti:

  1. Quel 'laicista' di Calamandrei... :-)

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  2. http://ugolinostramini.blogspot.com/2010/04/moro-la-famiglia-e-la-linea-della.html

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  3. Io, a ridosso della sentenza, sono andato a ripescare un altro passo dei lavori della costituente, dove lo stesso Moro parla di famiglia "comunque costituita" senza riferimento al vincolo sacramentale tanto caro ai democristiani.
    http://ugolinostramini.blogspot.com/2010/04/moro-la-famiglia-e-la-linea-della.html

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  4. Gran bel post, ho comprato oggi una copia della Costituzione e volevo capire cosa intendesse per "società naturale". Grazie mille.

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