(ANSA) - ROMA, 1 AGO - Per l’intervento di aborto farmacologico con l’utilizzo della pillola abortiva Ru486 «sarà fondamentale il consenso informato da parte della donne» e, nell’ambito del consenso informato, «è possibile pensare anche ad un questionario, sul modello di quelli già in uso in altri paesi, per appurare l’esistenza di requisiti minimi di sicurezza ai fini dell’attuazione dell’intervento stesso». A spiegarlo è il sottosegretario al Welfare Eugenia Roccella. Per il ricorso all’aborto farmacologico, «le condizioni saranno previste proprio nell’ambito del consenso informato, a partire dal ricovero». Tra le ipotesi, ha affermato Roccella, «anche l’utilizzo di un questionario per appurare l’esistenza di alcune condizioni essenziali perchè l’intervento risulti sicuro per la donna, come ad esempio la vicinanza di un ospedale alla abitazione o il fatto che non sia sola». L’eventuale decisione da parte della paziente che richiede l’intervento di firmare per la dimissione dalla struttura ospedaliera dopo l’assunzione della pillola Ru486, ha concluso Roccella, «dovrà essere scoraggiata dagli operatori sanitari e, comunque, risulterà appunto fondamentale il consenso informato».Altri particolari su Repubblica (Carmelo Lopapa, «“Non ci sarà un altro caso Englaro”: il governo prepara la contromossa», 1 agosto, p. 3):
Due le condizioni allo studio per arginare una liberalizzazione tout court dell’utilizzo della pillola abortiva. “Si tratta di misure da concordare con le Regioni, sia chiaro – spiega il sottosegretario Roccella – che potrebbero essere inserite in un provvedimento più ampio finalizzato alla piena attuazione della 194, finora poco applicata nella parte dedicata alla prevenzione”. Punto primo, ricorso alla Ru486 solo a condizione che l’espulsione dell’embrione coincida col ricovero obbligatorio. Punto secondo, subordinare l’utilizzo della pillola alle sole donne che superano una sorta di test socio-psicologico, sulla scia del questionario adoperato in Francia, dove l’aborto chimico è datato 1988. Il test consentirebbe di vietare la pillola per le categorie considerate più a rischio: le donne che non hanno conoscenze linguistiche adeguate (straniere da poco in Italia), chi risiede ad oltre un’ora da un ospedale, chi non ha un’alta tolleranza al dolore, le donne sole o prive di assistenza, quelle prive di un’auto. È una bozza, un’ipotesi in cantiere che tuttavia – sanno bene al ministero – non potrà essere imposta, semmai pilotata attraverso protocolli di intesa con le Regioni.In sé, l’idea delle condizioni non è sbagliata: è ovvio che esistono dei requisiti minimi da soddisfare perché l’aborto farmacologico possa avvenire in sicurezza. Ma a che altezza sarà posta l’asticella? Saranno tutte ragionevoli e necessarie le condizioni? Che senso ha, per esempio, imporre fra queste la disponibilità di un’automobile quando già viene richiesto di risiedere a meno di un’ora da un ospedale?
Può essere utile, per giudicare la ragionevolezza di queste e di altre future condizioni, fare un confronto con quelle che in Francia l’Association Nationale des Centres d’Interruption de grossesse et de Contraception (ANCIC) raccomanda di verificare ai medici prima di praticare un aborto con la RU-486. Si noti che l’ANCIC fa riferimento all’aborto farmacologico praticato fuori dagli ospedali: in Francia, a partire dal 2001, è consentito a medici qualificati di somministrare la pillola abortiva nei loro studi; le pazienti possono tornare subito alle proprie occupazioni. La situazione non è comunque drasticamente diversa da quella di una donna dimessa subito o entro poche ore da un ospedale dopo l’assunzione del farmaco; ritroviamo in queste raccomandazioni la residenza entro un’ora di tragitto dall’ospedale e la vicinanza di un’altra persona, ma non ovviamente la disponibilità di un’auto. (A proposito: da dove avrà tirato fuori, la Roccella, la notizia del «questionario adoperato in Francia»? Non ne trovo traccia da nessuna parte, nemmeno nella circolare del 26 novembre 2004, che regola l’aborto farmacologico fuori dagli ospedali, e in cui si parla solo di una consultation psycho-sociale – cioè di una «visita psico-sociale» – comunque solo facoltativa per le donne maggiorenni.)
Le cose peggiorano – e parecchio – con lo «scoraggiamento» richiesto agli operatori sanitari, che ovviamente non trova paralleli in nessun altro sistema sanitario. Certo, la donna avrà sempre il diritto di infilare la porta e andarsene; ma la prospettiva di dover probabilmente litigare con qualcuno che ti sbarra la strada e ti urla che stai andando incontro a morte quasi certa – qualcuno che magari sa che la sua carriera dipende da quante donne riesce a trattenere, o che è stato pescato direttamente dal serbatoio dei puri e duri – non è propriamente incoraggiante. A quel punto l’aborto chirurgico sembrerà forse la strada più semplice.
Non ci resta, direi, che sperare nelle Regioni...
Questa cosa è scandalosa. Una gran messe di consensi informati per prendere la pillola abortiva, mentre invece se qualcuno ti infila un tubo nello stomaco vale il principio 'compassionevole'....
RispondiEliminaIo che per scelta di vita non uso l'automobile non potrei usare la pillola abortiva... fortuna che sono maschio e dubito mi servirà mai.
RispondiEliminaSperiamo che non facciano così con altri farmaci...
L'idea del test socio-psicologico è pericolosissima. Nella mente di chi lo propone (e di chi lo somministrerà) c'è sicuramente la volontà di stigmatizzare e "educare" queste donne verso la "retta via". Una sorta di "sì, ma". Ti facciamo abortire, forse, ma sappi che sei una strega, etc.
RispondiEliminaLe regioni spesso sono molto più avanti dello stato nazionale, che su questi temi è ancora una sorta di braccio operativo del Vaticano.
Segnalo l'ultimo post di Malvino, "Tempo al tempo", legato a questo argomento e molto interessante.
RispondiEliminaSiamo alla consueta tecnica-Roccella, ovvero: accade qualcosa di non desiderato (che siano le sentenze della magistratura su Eluana Englaro, che sia la Corte Costituzionale che modifica la legge 40, che sia l'Aifa con la RU486), e la risposta è studiare circolari, atti di indirizzo, commissioni e sotto-commissioni che possano porre duemila ostacoli, ostacoletti e birilli. Dopodiché, l'ostacolo viene rimosso per via giudiziaria perché palesemente contrario al buon senso e alla Costituzione, ma nel frattempo si dilatano i tempi. Ora siamo a che l'erogazione di una prestazione sanitaria sia condizionata al possesso di un'auto. Che abbiamo fatto di male per meritarci tutto ciò?
RispondiEliminaChe abbiamo fatto di male per meritarci tutto ciò? Semplice, abbiamo continuato a ospitare la piovra vaticana sui nostri territori, senza essere in grado di liberarcene come hanno fatto altri paesi più svegli tanti secoli fa.
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