giovedì 25 marzo 2010

Danni collaterali da commercio di organi?

La possibilità di vendere e comprare organi umani per i trapianti implicherebbe solo vantaggi per tutti? È quanto sostiene Julian Savulescu (ma non è il primo) sul proprio blog («The Great Egg Raffle: Why Everyone’s a Winner If We Price Life and Body Parts», Julian Savulescu’s Blog, 16 marzo 2010). A Savulescu risponde Simon Rippon su Practical EthicsI don’t care too much for money, money can’t buy me lung», 18 marzo), evidenziando due possibili effetti negativi su terzi non coinvolti nella transazione:
If a widespread market for body parts were to develop, donors (or, more accurately, sellers) would presumably be able to earn significant amounts of cash for them, and somebody would need to pay the prices that they would command. Although the state could be the sole buyer of body parts and distribute them according to need, most of those who argue for a free market in organs envisage that those buyers willing and able to pay the highest prices would have the best access. And contra Savulescu’s optimistic claim that each free market transaction would “remove a potential egg [or organ] recipient from the altruistic pool ... and there will be more eggs [or organs] to go around to those who can’t afford to buy them”, there is strong reason to believe that the development of a market would tend to undermine the voluntary exchange system that presently exists. Richard Titmuss showed in his seminal book The Gift Relationship that paying blood donors can significantly decrease supply overall. As giving blood becomes commodified, he argued, the existing system of voluntary donations becomes crowded-out, and altruistic motivations cease to have their very important positive influence. Even if it were not the case that the introduction of a market for body parts would similarly reduce the overall supply, it seems highly likely that it would reduce the supply of voluntarily donated body parts. The net effect of the change would then be the accompaniment of any expansion in the overall supply of body parts with a significant reallocation of them from those most in need to those in relatively little need but with a high ability to pay. A useful analogy here is to our existing system of funding for pharmaceutical research: private drug companies spend a great deal of money on research, and arguably it is more money than any alternative system of funding could provide – but the research that is privately funded is heavily tilted toward providing lifestyle drugs for rich westerners rather than cheap drugs with potentially much greater public health benefits for the third world. With the introduction of a free market system in body parts, some of the worst off members of society - those in the highest medical need and also lacking in financial resources – would surely be harmed. […]

There is also at least one important way, I think, in which the development of a market in body parts might harm society at large […]. This is because the development of a market in body parts would change the norms of the relationship of all of us to our body parts, and to each other. And I believe it is plausible to think that we would lose something of significant value about our current relationships with that change. To see why, consider that as things stand, organs do not have a monetary value for their owners. Faced with, for example, a rent demand and inadequate cash to pay for it, a couple of the choices you can make are to sell some of your possessions, or to find (additional) employment and sell some of your labour. One choice that you do not currently have, and therefore do not have to consider, is whether to sell a kidney or a piece of one of your lungs to raise the funds (nor, indeed, the organs of a dying relative, if you happen to have one around). It might first be thought that it can never be a good thing for you to have fewer rather than more options. But I believe that this attitude is mistaken on a number of grounds. For one, consider that others hold you accountable for not making the choices that are necessary in order to fulfil your obligations. As things stand, even if you had no possessions to sell and could not find a job, nobody could criticize you for failing to sell an organ to meet your rent. If a free market in body parts were permitted and became widespread, they would become economic resources like any other, in the context of the market. Selling your organs would become something that is simply expected of you when the financial need arises. A new “option” can thus easily be transformed into an obligation, and it can drastically change the attitudes that it is appropriate for others to adopt towards you in a particular context.
Il primo effetto – la riallocazione di organi da coloro che più ne hanno bisogno a coloro in grado di pagare il prezzo più alto, man mano che i donatori altruistici si trasformano inevitabilmente in venditori – era già stato individuato in passato; è chiaro comunque che il problema non riguarda i sistemi sanitari pubblici europei, in cui eventualmente lo Stato potrebbe agire da compratore unico, ridistribuendo gli organi acquistati secondo criteri di stretta necessità medica, come avviene oggi.
Più originale il secondo effetto negativo individuato – la creazione di obblighi, alimentati dalle aspettative mutate della società, in capo a coloro che non avrebbero altrimenti mai scelto di vendere i propri organi. Un argomento interessante, indubbiamente, che si presta a lunghe e proficue discussioni.

4 commenti:

  1. E' tra l'altro una questione che richiama quella dell'affitto dell'utero.

    RispondiElimina
  2. Il secondo punto, quello delle "options transformed into obligations", mi ricorda la polemica di qualche anno fa, riguardante la storia di una donna tedesca cui l'ufficio di collocamento avrebbe minacciato di sospendere il sussidio di disoccupazione se non avesse accettato un impiego come prostituta.
    (Qui una traduzione in inglese dell'articolo della Tageszeitung che aveva diffuso la notizia: http://xrlq.com/2005/02/01/tempest-teapot/)

    Credo che successivamente le autorità tedesche avessero smentito o ridimensionato la notizia (si era peraltro in tempi di acceso dibattito sulla riforma Hartz IV, che ridisegnava gli ammortizzatori sociali: l'episodio veniva addebitato da alcuni alla riforma stessa), ma non riesco a trovare link adeguati.

    Mi pare che comunque, se si parla di "obligations" provenienti dal potere statale, tutto si possa risolvere con un quantitativo minimo di buon senso.

    RispondiElimina
  3. Riguardo alla prima motivazione, mi sembra che sia posta in maniera incompleta dal punto di vista delle dinamiche economiche.
    Quando una persona dona il sangue, di fatto ha una controparte: la sensazione di essere "buono" e il riconoscimento sociale associato; rischi e disagi sono praticamente nulli. Se lo facesse per soldi, probabilmente perderebbe il riconoscimento sociale. Dal punto di vista economico, bisogna valutare se per la maggior parte delle persone valgono di più quei 100€ all'anno che potrebbe raccogliere vendendo il sangue, oppure la controparte emotiva e di status. Pensiamo a quanto spendiamo ogni anno per lo "status" e ci diamo una risposta.
    Se però la donazione costa molto di più in termini di rischi e disagi ed aumenta di molto il guadagno (vorremo pagare almeno 10.000€ un rene???), la quota parte di dei donatori persi sarebbe infima rispetto a quelli che si guadagnerebbero. Anche perché, a guardar bene, devo ancora trovare una persona sana di mente che decida da vivo di rinunciare ad un rene per un perfetto sconosciuto! (io non donerei manco un ovulo) Ben altra cosa sono le donazioni per un congiunto o una persona cara, che presumo non verrebbero assolutamente alterate dalla possibilità di mettere in vendita i propri organi.
    Quanto alla seconda ipotesi di danno: uno stato che presuma che uno debba dare una parte di sé è uno stato ingiusto, tanto quanto uno che ammetta la pena di morte. Sicuramente potrebbe accadere, ma il problema sarebbe l'illiberalità dello stato, non la vendita degli organi!!! (a vedere bene, è esattamente il contraltare di quanto avviene in Italia ,in cui lo stato vuole disporre della libertà del singolo di rinunciare a cure, nutrimento, o alla vita: appunto stato illiberale!!!)

    Silvia

    RispondiElimina
  4. Credo che l'autore parlando di opzioni che diventanto "obligations" non si riferisca a ipotetiche leggi illiberali, ma alle pressioni e aspettative che si creerebbero in generale nella societa'. Esempio: se uno riesce a stare dietro alle rate del mutuo, si chiederebbe se e' il caso di vendere un organo (chi soppportera' meglio la mancanza di un rene? lui o la moglie?). Oppure la banca, prima di concederti il mutuo, ti chiederebbe come stanno i tuoi organi interni.

    RispondiElimina