Fino a quando lo affermavano politici prevenuti e intellettuali invidiosi, si poteva sorvolare. Ma ora che persino un punto di riferimento per le masse come il centravanti milanista (e napoletano) Borriello accusa Saviano di «aver lucrato sulla mia città», la questione si fa maledettamente seria. È giusto che uno scrittore possa acquisire fama e denaro parlando di camorra, come un centravanti facendo dei gol? Nel suo ultimo disco il musicista partenopeo Daniele Sepe – meno conosciuto di Borriello perché non si è mai fidanzato con Belen – rinfaccia a Saviano: «Hai fatto fortuna, ma chi ti paga è il capo dei burattinai», come se fosse la berlusconiana Mondadori ad aver arricchito il suo autore e non viceversa. Eppure basta bighellonare fra i blog che commentano le parole di Borriello per accorgersi che tanti la pensano come lui e paragonano Saviano a «uno che fa beneficenza e va a dirlo in giro».In effetti, gli attacchi a Saviano – come quelli analoghi rivolti in passato ad altri protagonisti della lotta alle mafie – rivelano prima di ogni altra cosa il carattere arcaico, premoderno, di una parte dell’Italia contemporanea: un paese con un senso dell’onore tribale («ha danneggiato l’immagine dell’Italia all’estero!»), in cui l’apparire conta tutto e la sostanza nulla; un paese in cui lo scambio di mercato è a priori visto come immorale – il che non impedisce poi di ammirare chi effettivamente si sia arricchito in modo illecito; un paese in cui chi combatte il crimine organizzato dà fastidio perché fa spiccare per contrasto chi non vuole praticare nemmeno le virtù civiche più modeste. Un paese del Terzo Mondo, misteriosamente finito in mezzo al Primo.
In questo Paese cattolico e contadino, che pensa al denaro di continuo ma non smette di considerarlo lo sterco del demonio, è passato il principio che argomenti nobili come la legalità e la giustizia sociale vanno maneggiati in incognito e senza percepire compensi di mercato. Briatore può farsi docce di champagne su tutti gli yacht che vuole: è coerente col personaggio. Ma Santoro non deve guadagnare come Letterman né Saviano come Grisham, perché da chi sferza il malcostume gli italiani pretendono voto di povertà. A noi gli eroi piacciono scalzi e sfigati, per poterli compatire e sentirci più buoni. Così dopo votiamo i miliardari con maggiore serenità.
Su se stesso, sul proprio corpo e sulla propria mente, l’individuo è sovrano
John Stuart Mill, La libertà
venerdì 4 giugno 2010
L’Italia premoderna che odia Saviano
È perfetto l’articolo di Massimo Gramellini sulla Stampa di ieri («Saviano purché francescano», 3 giugno 2010, p. 1):
"misteriosamente finito immezzo al primo"...già, ma per quanto tempo ci resterà?
RispondiEliminaMa che Sepe s'è rincoglionito del tutto?
RispondiEliminaquesto paese mi spaventa sempre di più.
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