Il commento di Ignazio Marino sul caso delle gemelle siamesi fa riflettere. Marino dichiara che non se la sentirebbe di intervenire chirurgicamente sapendo che una delle due sarebbe destinata a morire.
A una prima lettura sembra possibile concordare, perché nessuno vorrebbe trovarsi in una situazione del genere. Però è necessario porre una domanda (a Marino o a pareri del genere): se non intervenendo le facciamo morire entrambe?
Spesso è più facile emotivamente scegliere di non intervenire (quando sappiamo già che il nostro intervento causerà un effetto dannoso). Però non dovremmo dimenticare che intervenire rischia di causare un danno X, mentre non intervenire rischia di causare un danno maggiore di X.
In questo caso specifico, gli scenari che andrebbero considerati sono: intervenire e far morire una bambina per far vivere l’altra; non intervenire facendo morire entrambe.
Ovviamente è uno scenario semplificato e, ripeto, sarebbe preferibile non trovarsi in un dilemma del genere. Se però sei costretto a prendere una decisione, non è detto che il non intervento sia la scelta moralmente preferibile.
la scelta più razionale sarebbe sacrificare una delle due gemelline, e non far sapere all'altra che essa c'è stata
RispondiEliminaIn realtà il problema sollevato da Ignazio Marino non è nè di etica nè di moralità, ma di partecipazione.
RispondiEliminaIn sostanza, Marino non voleva sentirsi partecipe di quella scelta, per non doverne pagare in proprio il costo emotivo.
Non mi pare, infatti, di vedere nell'articolo linkato alcun cenno di Marino al fatto che l'intervento fosse "sbagliato" oppure "non necessario".
Mi pare di ricordare un esperimento mentale in cui venivano prospettate queste due situazioni:
1)
C'è un treno pieno di passeggeri diretto verso un baratro. Su un binario parallelo c'è un treno con dentro una sola persona
E' possibile deviare il treno azionando uno scambio a leva, ma nel farlo si sarebbe fatto deviare verso il baratro il treno con dentro una sola persona, condannandola a morte certa.
2)
C'è un treno pieno di passeggeri diretto verso un baratro.
E' possibile deviare il treno azionando uno scambio a leva, ma questa leva è a dieci metri sotto di noi e l'unico modo che abbiamo per azionarlo è spingere giù una persona in modo che il suo corpo cada sulla leva ed azioni lo scambio.
Ovviamente questa persona spinta sulla leva sarebbe morta per la caduta.
In entrambe le situazioni, per salvare i passeggeri una persona deve morire.
Ma, curiosamente, l'esperimento mostrò che la situazione 1) veniva considerata più accettabile della situazione 2)
Un problema simile (se non lo stesso, che io ho ricordato male) è questo: http://en.wikipedia.org/wiki/Trolley_problem
Cordiali Saluti,
DiegoPig
DiegoPig, se dichiaro che non interverrei in un caso X, è legittimo che qualcuno analizzi il profilo morale della mia dichiarazione. Si domandi cioè se la mia scelta è moralmente ammissibile e razionale e preferibile ad altre possibili scelte.
RispondiEliminaNon mi fermo a considerare il profilo morale dell'intervneto infatti, ma precisamente la partecipazione (o meglio la non partecipazione) e le ragioni addotte.
Per Chiara Lalli, 20/7/11 10:52
RispondiEliminaLa mia intenzione non era affatto difendere Marino, ma semplicemente evidenziare che il problema sollevato dal suo (di Marino) commento non è relativo alla procedura in sè, ma alla partecipazione personale di Marino alla procedura, ed evidenziare come questo atteggiamento sia del tutto naturale e ben noto.
Va anche chiarito che stiamo trattando di una situazione non d'emergenza, cioè una situazione in cui le eventuali obiezioni dei singoli medici possono essere prese in considerazione senza necessariamente influenzare l'esito per il paziente.
Se invece Marino fosse stato l'unico chirurgo in grado di effettuare la procedura e si fosse rifiutato di farlo allora si potrebbe discutere della moralità e dell'etica di Marino, ma non è questo il caso.
Cordiali Saluti,
DiegoPig
sia ignazio marino (”non mi sentirei di intervenire”) che il professor lima (”Il fatto di coscienza, prosegue Lima, «non riguarda solo noi medici ma anche i genitori”) sbagliano a parer mio a attribuire un qualche ruolo al medico nella responsabilità morale della decisione, e il loro errore dimostra la loro impostazione paternalistica nell’esercizio della professione, cioè quell’atteggiamento che più di ogni altro ostacola la libertà del malato (in questo caso rappresentabile dai genitori, stante l’impossibilità per un neonato di avere e far valere una volontà propria). la coscienza del medico, in questo come in altri casi, non dovrebbe essere un elemento rilevante del problema, che riguarda solo ed esclusivamente i genitori. i medici mettono a disposizione conoscenze scientifiche utili a rendere più chiari i termini della questione a coloro che sono responsabili della decisione, e abilità tecniche utili si spera a rendere possibili soluzioni, ma se ad esempio marino o lima fossero le uniche persone in grado di eseguire l’intervento e si rifiutassero in nome della loro coscienza (qualora i genitori chiedessero loro di praticarlo) commetterebbero un grave sopruso.
RispondiEliminaAndrea,
RispondiEliminasono d'accordo con quanto scrivi.
Ovviamente si è liberi di esprimere un parere (in questo modo forse si può prendere il commento di Ignazio Marino, che non è nell'equipe medica delle gemelle). Eppure questa libertà ha un peso enorme e forse è anche un sintomo del problema che descrivi.
Aggiungi che in genere si è più portati a pensare che agendo vi siano conseguenze (morali e di altra natura), mentre non agendo non succeda nulla. Ed era su questo che avevo commentato.
Il paternalismo è ben radicato e lo si vede in innumerevoli esempi: dalla legge in discussione sulle DAT, alla legge 40, all'abuso dell'obiezione di coscienza e così via.
(Questo mio commento credo che possa rispondere anche a DiegoPig).
Per Chiara Lalli, 21/7/11 09:23
RispondiElimina"Aggiungi che in genere si è più portati a pensare che agendo vi siano conseguenze (morali e di altra natura), mentre non agendo non succeda nulla. Ed era su questo che avevo commentato."
Su questo mi trova perfettamente d'accordo.
Cordiali Saluti,
DiegoPig
Volevo fare una premessa, ma la posticipo al prossimo commento perché molto vagamente tangente, e non voglio subito distrarre.
RispondiEliminaColgo l'occasione quindi di rispondere a DiegoPig per dire anche la mia. Diceva DiegoPig:
"In sostanza, Marino non voleva sentirsi partecipe di quella scelta, per non doverne pagare in proprio il costo emotivo".
Non credo che dica solo questo l'articolo; l'intervista termina con Marino che dice: «ma io scelsi secondo coscienza e mi rifiutai di partecipare all'intervento».
Questo approccio sembra tanto simile a quello messo in luce nel post precedente. La domanda che allora mi pongo è cosa c'entri la coscienza del singolo se il bene per cui si opera è la salute di un altro. Sono un folle a ritenere che un medico debba sempre operare secondo ragione e non secondo coscienza? E se proprio deve operare secondo coscienza, deve operare secondo la propria, o quella dei diretti interessati?
I medici spesso sono i primi a lodare la bontà del metodo scientifico: non è chiaro poi perché in certe circostanze, spesso soggettivamente arbitrarie, si convincano che la propria coscienza sia più affidabile.
Dico questo perseverando nella mia stima per Ignazio Marino. Non penso che Marino avesse l'obbligo morale o professionale di intervenire, stante il fatto che l'intervento restava possibile. Tuttavia sono fiacche le motivazioni. Se poi nel suo caso è valso "ascoltare" la coscienza e lo rivendica, come potrà contestare chi farà altrettanto in contesti in cui lui crede che prevalga il paziente?
Sui gemelli siamesi volevo aggiungere un commento. Ho avuto il dubbio, in certe occasioni, che la stima del danno "maggiore di X" rischi di essere influenzata da valutazioni emotive o soggettive, anche intuitive ma non per questo necessariamente corrette.
RispondiEliminaDue gemelli che arrivino fino a sopravvivere al parto e nei giorni successivi, avendo superato una selezione naturale fortissima sin da feti, forse hanno -alcune volte- qualche probabilità in più di sopravvivere in quelle condizioni, di quella che viene generalmente stimata (spesso come identicamente nulla).
Potrebbe allora entrare in gioco, anche inconsciamente, una valutazione soggettiva della "qualità della vita" per cui ci si lascia influenzare da essa fino a decretare l'assoluta impossibilità di sopravvivenza della coppia (per facilitare il dilemma etico). Alcune coppie di gemelli siamesi hanno tuttavia sopravvissuto oltre quanto si fosse potuto immaginare, pur essendo l'aspettativa di vita variamente, anche drasticamente ridotta.
Qui entra in gioco un'altra questione etica: le coppie "impossibili" che sono sopravvissute tendono a presentarsi come mediamente "felici", soprattutto di avere la compagnia del gemello.
Ogni volta in cui il danno prevedibile seguente al mancato intervento è appena inferiore alla morte certa delle due creature, il dilemma etico si fa non banale, anche perché l'intervento comporta comunque dei rischi, oltre alla morte immediata di una "metà".