È un vascello fantasma, un relitto che continua a restare a galla nonostante cada a pezzi. A bordo, un popolo di spettri disperati che convivono con topi, rottami, sporcizia: esseri umani a cui è stata negata ogni dignità. Nell’Italia incapace di fare i conti con l’immigrazione la storia della nave-lager di Crotone supera ogni classifica di vergogna. Il mercantile arrivò sulle coste calabresi quattro anni fa con un carico di “clandestini”. Sulla fiancata il nome turco che incuoteva terrore alla cristianità: Genzihan ossia Gengis Khan, il flagello di Dio. Era una nave-madre dei trafficanti di uomini, che trasbordava i nuovi schiavi gettandoli in mare a bordo di gommoni.Ennesimo racconto di un orrore evitabile (di Eduardo Meligrana, su l’Espresso del 29 luglio scorso).
Sessanta alla volta, su un pezzo di plastica lanciato verso il litorale ionico. Grazie a un aereo spia, la Guardia di finanza riuscì a individuarla e a far scattare l’abbordaggio: un’operazione da manuale, con gli scafisti turchi in manette e i loro passeggeri-vittime trasferiti nel vicino Centro di identificazione crotonese. Il mercantile catturato dalle Fiamme gialle venne condotto in porto e dimenticato dalle autorità: è diventato uno scheletro galleggiante. Poco alla volta, è caduto in rovina, saccheggiato, in parte incendiato: la torretta - completamente bruciata, come gli interni - sembra la metafora dell’impossibilità di guardare oltre.
Su se stesso, sul proprio corpo e sulla propria mente, l’individuo è sovrano
John Stuart Mill, La libertà
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