Stazione di Torino Porta Nuova. Il treno regionale per Bologna delle 18:20 è in partenza al binario 10. Dietro il finestrino, Mahmud si infila gli auricolari dell’iPhone e schiaccia play.
Samhini yamma di Ashref. Forse ha sbagliato canzone. O forse è proprio quella giusta per questo momento.
Samhini yamma, perdonami mamma. Perdonami se me ne sono andato, perdonami l’esilio, perdonami l’assenza. A salutarlo dal marciapiede del binario c’è un ragazzo con gli occhi arrossati dalle lacrime. È il suo migliore amico. Singhiozza. Sono cresciuti insieme per le strade di Sfax, in Tunisia. Insieme hanno lavorato per anni sui pescherecci di Kerkennah e insieme hanno fatto la traversata per Lampedusa. Era il 24 gennaio. Sono passati sei mesi da allora. E adesso è arrivato il momento più difficile del viaggio. Il momento di dirsi addio. Mahmud va a Parma, Hasan a Parigi. Raggiungono i parenti. In tasca hanno un foglio di via. Li hanno appena rilasciati dal centro di identificazione e espulsione di Torino, insieme a un altro amico della comitiva di Sfax, Amir, che ha fatto la traversata sulla loro stessa
fluca (barca) insieme a altri sei passeggeri. Per loro il viaggio ricomincia da qui. Dopo sei mesi di detenzione. Con la stessa determinazione di riuscire, ma con molta più amarezza nel cuore. Perché l’Europa che hanno sognato per anni, ha cessato di esistere nel loro immaginario.
Per Mahmud l’immagine dell’Europa è sfocata pian piano, al crescere delle dosi di psicofarmaci che prendeva dentro il Cie di Torino. Trenta gocce di Rivotril al mattino, trenta al pomeriggio e trenta alla sera. Per spegnere la mente. E dormire più a lungo possibile. Ancora non ha recuperato la vivacità dello sguardo dei suoi 26 anni. Ma va già meglio di ieri, quando appena uscito dal Cie metteva le sigarette in bocca intontito e poi si dimenticava di accenderle.
novanta,90 gocce di rivotril al giorno.sono senza parole.pazzi assassini.e' un miracolo se tieni gli occhi aperti,se riesci a parlare senza sbavare.che schifo.so di cosa si parla,ero un vegetale anche io.ero mutilato della parola anche io.
RispondiEliminache tipo di "medici" sono quelli di cpt,carceri e fogne varie?lo nascondono ippocrate..non si vergognagno?
Ero sottoposto allo stesso trattamento anche io. Sono italiano, soltanto "senza fissa dimora" e - un tempo - ospitato negli stanzoni d'un ex magazzino a Roma, gestito da una cooperativa appaltata dal comune. Con decine di "barboni" come me. E conobbi persone che non avranno lasciato mai più quelle mura di cartongesso. Gente condannata a stare "spenta" per i propri prossimi 10 o anche 20 anni, solo perchè non avevano nessuno che offrisse loro una stanza o una mansione.
RispondiEliminaQuesta è la routine da almeno sette anni, in tutti i "Centri d'accoglienza" italiani.