mercoledì 28 marzo 2012

Università e altre catastrofi

Ricercatori a perdere e senza alcuna prospettiva di carriera accademica nell'università italiana, dove ormai il precariato "in ingresso" è diventato strutturale e la stabilizzazione per la maggior parte delle nuove leve della ricerca non arriverà mai. È questo il dato principale che emerge da un'attenta analisi dell'Adi (Associazione dottorandi e dottori di ricerca italiani) sulla situazione negli atenei a un anno dalla Riforma Gelmini: un presente precario e un futuro altrettanto incerto per dottorandi, assegnisti e ricercatori a tempo determinato. Figure oggi escluse da ogni tipo di tutela.

Ventimila precari sotto la cattedra. Facendo un'ampia ricognizione sulla consistenza effettiva dei precari della ricerca e della didattica - un numero che spesso sfugge alle statistiche ufficiali - l'Adi riporta un dato allarmante: nell'ultimo anno i ricercatori precari sono passati da 33.000 a 13.400, mentre quelli strutturati si sono ridotti solo di 400 unità (passando da 23.800 a 23.400). Che fine hanno fatto questi quasi ventimila precari che lavoravano con un contrattino annuale? Sono stati semplicemente "espulsi" dal sistema accademico: niente rinnovo, niente tutele, università addio. Un risultato dovuto principalmente alla costante riduzione dei finanziamenti ministeriali e al blocco del turn-over. L'Adi stima che l'85 percento degli assegnisti di ricerca odierni non potrà intraprendere la carriera universitaria.

Dottorandi, meno borse per tutti. Un altro dato preoccupante riguarda la diminuzione delle borse di dottorato e la percentuale di posti di dottorato "senza borsa" dopo l'abbattimento del tetto del 50 percento che ha portato a una sostanziale deregulation negli atenei. Analizzando i dati relativi a un campione di ventisei università statali, negli ultimi quattro anni il numero di borse bandite - come sottolinea l'Adi - è sceso da 5.701 nel 2009 a 4.229 nel 2012 (con una riduzione del 25,8 percento). Nell'ultimo anno la situazione varia moltissimo da un'università all'altra: se Trieste ha incrementato le borse del 17,4 percento (portandole da 109 a 128), Catania le ha invece drasticamente ridotte da 251 a 48 (con un taglio netto dell'80,9 percento). Complessivamente, però, il trend è negativo.
Continua qui.

2 commenti:

  1. perché, scusate, ci sono molti altri settori in cui il precariato non è diventato strutturale?

    sinceramente non capisco perché non dovrebbero togliere l'articolo 18: ormai non riguarda quasi più nessuno dei nuovi contratti. In realtà dovrebbero toglierlo ai fortunati vecchi assunti (compresi gli statali), così magari capirebbero pure loro che significa vivere da precari. e dopo la precarietà, gli farei provare a tutti un'altra cosetta che di solito ci va a bracetto: lo sfruttamento.

    Precari e sottopagati: perché solo chi è nato dal 1970-75 in poi? quello che dico è roba da guerra tra poveri? mica tanto: se guardo quanto prende uno che fa le mie stesse cose ma assunto anche solo una decina di anni fa, lui ci guadagna molto ma molto di più. Allora è più corretto parlare di guerra tra poveri e meno poveri o qualcosa del genere.

    RispondiElimina
  2. Questi dati indicano che il sistema si sta ristrutturando, ma non sono facilmente interpretabili se non vengono paragonati a Paesi simili all'Italia (Spagna? Francia?) o piu virtuosi (USA? Giappone?) nell'ambito della ricerca universitaria, almeno come investimenti.
    Infatti, mica esiste il diritto di entrare a far parte dell'Università! Se la riduzione del numero di borse significasse un aumento della selezione del personale e degli investimenti sui materiali, ben venga... anche se dubito che sia così.

    RispondiElimina