“L’anoressia? È tutta colpa di Twiggy e dell’icona di donna pelle e ossa che ha generato”. E se Twiggy è invocata da chi era giovane negli anni Sessanta, e le nuove generazioni l’hanno sostituita con qualche altra modella o attrice, la connessione causale rimane intatta: si diventa anoressici perché il modello culturale ci rimanda una donna magrissima, vogliamo adeguarci a quel modello e l’anoressia non è altro che il nostro desiderio imitativo che ci sfugge di mano. La moda è spesso considerata la pecora nera nel fragile mondo della rappresentazione e dell’istigazione all’ossessione per la magrezza. Vale anche al contrario: alla fine di settembre alcuni autoscatti di Lady Gaga con qualche chilo in eccesso sono stati presentati - e interpretati da molti - come un esempio di ribellione autocompiaciuta alla magrezza imposta. In questa nebbia il recente libro di Carrie Arnold (Decoding Anorexia: How Breakthroughs in Science Offer Hope for Eating Disorders, Routledge) indica una strada diversa, nascosta dal brusio colpevolizzante verso i modelli culturali spigolosi.
Il Corriere della Sera, La Lettura #49, domenica 21 ottobre 2012.
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