La
sentenza con cui la Prima sezione civile della Corte di Cassazione ha confermato l’affidamento esclusivo di un bambino alla madre omosessuale sta generando in questi giorni una lunga catena di reazioni. In particolare, ha fatto discutere l’osservazione della Corte che alla base del ricorso del padre del bambino non fossero «poste certezze scientifiche o dati di esperienza, bensì il mero pregiudizio che sia dannoso per l’equilibrato sviluppo del bambino il fatto di vivere in una famiglia incentrata su una coppia omosessuale».
La stampa integralista ha subito sentito il bisogno di richiamare le presunte prove scientifiche che dimostrerebbero, al contrario, che solo nell’ambito di una famiglia eterosessuale tradizionale sia possibile un armonioso sviluppo del bambino. In particolare, è stata ripreso uno studio del sociologo Mark Regnerus, uscito l’anno scorso; ecco come ieri si esprimeva in proposito
Avvenire in un articolo non firmato («
Ricerca Usa sui figli degli omosex. “Più a rischio suicidio e malattie”», 12 gennaio 2013, p. 5):
Il 12 per cento dei figli delle coppie omossessuali pensa al suicidio (contro il 5% delle coppie normali), il 40% è più propenso al tradimento (13% tra gli eterosessuali), più frequentemente sono disoccupati (28% contro l’8%), ricorrono più spesso alla psicoterapia (19% contro l’8%), contraggono con più facilità patologie trasmissibili sessualmente (40% contro l’8%). Non si tratta di un saggio di natura omofobica ma di quella che viene considerata la ricerca scientifica più ampia e più dettagliata a livello internazionale sui figli delle coppie omosessuali. L’ha realizzata e pubblicata sulla rivista “Social Science Reserach [sic]”, il sociologo dell’Università del Texas, Mark Regnerus. […] Negli Usa la ricerca è stata ferocemente contestata dalla lobby omosessuale. Sono stati firmati appelli perché l’Università mettesse alla porta il docente e sono state sollecitate inchieste per verificare la scientificità dello studio. Nell’agosto scorso l’Università del Texas, portate a termine le verifiche del caso, ha concluso ufficialmente che nessuna accusa di faziosità possa essere attribuita al ricercatore e ha chiuso ufficialmente la questione con una nota sul sito dell’ateneo. Anche il New York Times, che non può essere certo accusato di tendenze omofobiche, ha valutato positivamente la ricerca, definendola «rigorosa», e ha dato spazio alle valutazioni di 18 esperti e docenti universitari che ne hanno riconosciuta l’attendibilità.
La notizia che il
New York Times avrebbe così autorevolmente avallato lo studio di Regnerus avrà comunicato un brivido di eccitazione ai lettori abituali di
Avvenire; e anche, penso, ai lettori abituali di
Bioetica – anche se in questo caso potremmo parlare più correttamente di un brivido di aspettativa, conoscendo certi
precedenti...
Com’è suo costume, il giornale dei vescovi italiani si guarda bene dall’indicare le fonti; una breve ricerca nell’archivio del
New York Times ci fa trovare l’unico articolo che corrisponde alla descrizione di
Avvenire. Si tratta di «
Debate on a Study Examining Gay Parents», di Benedict Carey, pubblicato online l’11 giugno 2012. Ma la corrispondenza è solo parziale. Scrive infatti Carey:
Gli esperti neutrali, nel complesso, riconoscono che la ricerca è rigorosa, fornendo alcuni dei dati ad oggi migliori sul confronto tra la riuscita dei bambini che hanno avuto un genitore gay e quella dei bambini che hanno avuto genitori eterosessuali. Ma sostengono al tempo stesso che i risultati non sono particolarmente rilevanti al dibattito in corso sul matrimonio omosessuale o sull’omoparentalità [corsivo mio].
Nell’originale:
[O]utside experts, by and large, said the research was rigorous, providing some of the best data yet comparing outcomes for adult children with a gay parent with those with heterosexual parents. But they also said the findings were not particularly relevant to the current debate over gay marriage or gay parenting.
La sintesi di
Avvenire è insomma, per usare un eufemismo, decisamente parziale. La cosa più inquietante è che l’articolo del
Times non dà affatto spazio, come vorrebbe invece
Avvenire, «alle valutazioni di 18 esperti e docenti universitari» che avrebbero riconosciuto l’attendibilità dello studio di Regnerus. L’articolo di Carey ospita le opinioni di
tre studiosi, che si esprimono così:
Paul Amato, un sociologo della Penn State University […] sostiene che molti studiosi sospettavano che alcuni bambini con un genitore gay potessero avere più problemi del bambino medio, in particolare nei decenni scorsi, quando lo stigma sociale era maggiore. “Sappiamo, per esempio, che molte persone con un genitore gay sono state sostanzialmente allevate in una famiglia adottiva e hanno vissuto il divorzo dei genitori, circostanze associate con svantaggi modesti ma reali”.
Altri sostengono che lo studio abbia un’utilità limitata. “Ciò di cui abbiamo davvero bisogno in questo campo è che ricercatori fortemente scettici studino genitori gay dallo stile di vita stabile e li confrontino direttamente con gruppi analoghi di genitori eterosessuali dallo stile di vita stabile”, afferma Judith Stacey, sociologa della New York University. […]
“Quando guardo i suoi [di Regnerus] dati, quello che ne ricavo è soprattutto che il divorzio e il passaggio da una famiglia all’altra non sono benèfici per i bambini”, sostiene Gary Gates, demografo della University of California, Los Angeles.
Vengono riportate poi anche le parole dello stesso Regnerus; e siamo così a 4 studiosi, non 18, tre quarti dei quali non sembrano particolarmente propensi a «riconoscere l’attendibilità» dello studio. Un ultimo controllo nell’archivio della
Grey Lady conferma che da nessuna parte si parla dei fantomatici 18 studiosi.
Da dove arriva questo bizzarro supplemento? E da dove la sintesi stravolgitrice del senso dell’articolo del
New York Times? Impossibile pensare a un falso architettato a freddo: il numero «18» è troppo preciso. Deve essere successa qualche altra cosa; l’ipotesi che si presenta immediatamente è che il giornalista di
Avvenire abbia visto due notizie accostate, e le abbia fuse in una sola. La cosa può sembrare improbabile, a prima vista; ma una rapida ricerca in Rete ci porta a una conferma inaspettata.
Marco Tosatti è il vaticanista della
Stampa. Suoi articoli compaiono fra l’altro anche sul sito
Vatican Insider, «un progetto del quotidiano “La Stampa”, dedicato all’informazione globale sul Vaticano, l’attività del Papa e della Santa Sede, la presenza internazionale della Chiesa cattolica e i temi religiosi». Il giorno prima che uscisse l’articolo di
Avvenire, Tosatti pubblica su
Vatican Insider «
“Ecco quali saranno i problemi dei figli di coppie gay”» (11 gennaio 2013), un pezzo dedicato allo studio di Mark Regnerus che corrisponde quasi alla lettera a quello del quotidiano della Cei. Ecco come si chiude:
La ricerca di Regnerus è stata approvata anche da [sic] New York Times, certo non sospetto di simpatia verso posizioni tradizionali. Il quotidiano ha scritto che «gli esperti esterni, in generale, hanno detto che la ricerca è stata rigorosa, fornendo alcuni dei migliori dati sul tema», da un gruppo di 18 scienziati e docenti universitari tramite un comunicato sul sito della “Baylor University” e da diversi psicologi e psichiatri che hanno scelto di prendere posizione, riconoscendo l’attendibilità degli scomodi risultati.
La citazione dal
New York Times è un po’ più lunga, ma è troncata anche qui al punto giusto. Ma si noti soprattutto il sintagma «da un gruppo di 18 scienziati e docenti universitari»: da cosa dipende? Nel contesto della frase in cui si trova è chiaramente sgrammaticato; solo andando più indietro ci rendiamo conto che in realtà dipende da «La ricerca di Regnerus è stata approvata anche da»; cioè la ricerca di Regnerus è stata approvata dal
New York Times, da un gruppo di 18 scienziati e docenti universitari (che non c’entrano nulla con il quotidiano newyorkese) e da diversi psicologi e psichiatri. Capiamo adesso cosa è successo: il giornalista di
Avvenire è stato tratto in inganno dalla frase a-grammaticale di Tosatti, e ha capito che i 18 fossero identici agli «esperti esterni» citati dal
Times; allo stesso tempo, fidandosi di Tosatti, ha dato per acquisito che questi ultimi avessero soltanto elogi per Regnerus.
Qui però si pone un altro problema: come diavolo avrà fatto Tosatti a scrivere una frase così atrocemente sbilenca? E perché neppure lui cita l’articolo di Carey per intero? Ci assale un dubbio atroce: vuoi vedere che anche lui dipende da una fonte antecedente? La ricerca stavolta è più rapida: ci aiuta lo stesso Tosatti, che nel suo blog sul sito della
Stampa («
Coppie gay e figli: una ricerca USA»,
San Pietro e dintorni, 11 gennaio 2013) riassume le conclusioni dell’articolo su
Vatican Insider, lasciando cadere una frase un po’ sibillina: «I dati della ricerca sono stati pubblicati, oltre che su questo blog, anche dal sito UCCR, Unione Cristiani Cattolici Razionali». Ed è proprio su questo sito che troviamo l’articolo che ha dato origine a questa piccola commedia degli equivoci («
Chiusa l’indagine su Regnerus: “è valido lo studio sui problemi di chi ha genitori gay”», 6 settembre 2012), e che si conclude così:
lo studio di Regnerus in cui si dimostra il disagio psicofisico per i figli cresciuti da genitori omosessuali, è stato approvato dal “New York Times”, dove si ricorda che «gli esperti esterni, in generale, hanno detto che la ricerca è stata rigorosa, fornendo alcuni dei migliori dati sul tema», da un gruppo di 18 scienziati e docenti universitari tramite un comunicato sul sito della “Baylor University” e da diversi psicologi e psichiatri che hanno scelto di prendere posizione, riconoscendo l’attendibilità degli scomodi risultati.
Lascio al lettore il compito di confrontare la lettera di questo articolo con quella dell’articolo di Tosatti, e di trarne le necessarie conclusioni.
Abbiamo insomma un giornalista di
Avvenire che si rifà a un articolo di un altro giornalista italiano, senza capirne il senso e senza prendersi i cinque minuti necessari a controllare l’originale; abbiamo uno stimato vaticanista che non si prende neppure lui quei cinque minuti, e preferisce rifarsi – oltretutto convertendolo in un italiano impossibile – a un articolo di un gruppo di integralisti con gli occhi fuori dalla testa; che però sono quelli che ci fanno a conti fatti la figura migliore: l’alterazione di partenza del senso dell’articolo del
Times è opera loro, ma il link all’originale almeno l’hanno messo (e in un
articolo precedente ne davano una sintesi più onesta). No, decisamente la stampa italiana non è il
New York Times...