Proseguendo, dopo la seconda parte, nell’esame delle interpretazioni errate della proposta di legge contro l’omofobia, ci imbattiamo in quello che rappresenta il cuore delle obiezioni integraliste alla futura norma: il timore che, una volta approvata la legge, possa divenire un reato anche il semplice obiettare al matrimonio tra omosessuali; l’estensione della legge Mancino sarebbe insomma maliziosamente propedeutica – una volta imbavagliata l’opposizione – a una futura legge sulle nozze gay.
C’è anche chi si spinge più in là, come Paola Binetti, che sulla Nuova Bussola Quotidiana («Si rischia di creare un reato di opinione», 18 luglio 2013) così argomenta:
Potrebbe ad esempio apparire come reato, in quanto giudicato segno e sintomo di omofobia, l’opporsi al matrimonio gay o alla adozione da parte delle coppie gay, cosa particolarmente rilevante se si tiene conto che proprio in questo momento al Senato si stanno discutendo questi disegni di legge. L’approvazione della legge in materia di “Discriminazioni motivate dall’orientamento sessuale o dall’identità di genere” limiterebbe la possibilità di discussione, perché il rischio di una potenziale incriminazione potrebbe essere tutt’altro che remoto, in potenziale contraddizione con l’art. 68 della stessa Costituzione, che afferma: “I membri del Parlamento non possono essere chiamati a rispondere delle opinioni espresse e dei voti dati nell’esercizio delle loro funzioni”.La citazione dell’articolo 68 non lascia adito a dubbi: per la Binetti, a essere intimiditi sarebbero potenzialmente i membri stessi delle Camere; basterebbero un’opinione espressa durante i lavori parlamentari o un voto palese contro il matrimonio gay per ritrovarsi con il collo esposto alla mannaia della neomodificata Legge Mancino.
C’è però un piccolo problema: come osserva la stessa Binetti, un’interpretazione siffatta delle disposizioni di legge sarebbe incostituzionale. L’art. 68 della Costituzione può avere qualche punto dibattuto (lo vedremo tra poco), ma su una cosa è chiarissimo: opinioni e voti espresse e dati dai membri delle Camere nelle aule parlamentari sono insindacabili, come lo è ogni altra attività «di divulgazione, di critica e di denuncia politica, connessa alla funzione di parlamentare, espletata anche fuori del Parlamento» (legge 20 giugno 2003, n. 140, art. 3 c. 1), e in ogni caso l’azione dei magistrati è limitata da precise salvaguardie per il parlamentare. Per quanto creative possano essere le interpretazioni della legge date dal perfido magistrato laicista-massone-comunista di turno, ben difficilmente questi potrà avere l’improntitudine di leggere «nero» là dove c’è scritto «bianco»; e se per assurdo l’avesse, non avrebbe comunque bisogno della giustificazione di una semplice legge ordinaria. Si può poi facilmente immaginare l’esito di una simile iniziativa, e forse anche il destino personale di chi la prendesse.
Sembra quasi che per la Binetti la proposta di legge sull’omofobia possa divenire, una volta approvata, misteriosamente superiore alla Costituzione, che rimarrebbe per qualche motivo sospesa e priva di efficacia. Credo proprio che questo sia concedere un po’ troppo alle capacità di legislatore dell’onorevole Scalfarotto...
Di queste considerazioni di diritto spicciolo sembra consapevole un altro critico della proposta di legge, Mauro Ronco – il che non sorprende, visto che è professore ordinario di Diritto Penale all’Università di Padova. Scrive infatti Ronco, sempre sulla Nuova Bussola Quotidiana («Legge contro l’omofobia è una violazione della libertà», 9 luglio):
La portata della norma è difficilmente percepibile da chi non sia esperto di cose giuridiche. Per esemplificarne il senso va detto che, alla stregua di tale proposta, potrebbero essere sottoposti a processo, in quanto incitanti a commettere atti di discriminazione per motivi di identità sessuale, tutti coloro che sollecitassero i parlamentari della Repubblica a non introdurre nella legislazione il “matrimonio” gay e, ancor più, tutti coloro che proponessero di escludere la facoltà di adottare un bambino a coppie omosessuali. […] Una campagna di opinione organizzata affinché i parlamentari si opponessero al “matrimonio” gay, costituirebbe, pertanto, incitamento a commettere atti di discriminazione penalmente punibili.Come si vede, a differenza della Binetti, per Ronco a essere in pericolo non sarebbero i parlamentari (coperti dall’art. 68), ma chiunque li «incitasse» a non approvare il matrimonio tra omosessuali. A prima vista questo sembrerebbe un po’ paradossale: se il voto di un parlamentare non costituisce mai reato, come è possibile incriminare qualcuno per avere incitato lo stesso parlamentare a votare in un certo modo? In realtà il paradosso potrebbe essere solo apparente: nella giurisprudenza recente c’è una chiara tendenza a interpretare l’art. 68 come una causa di esclusione della punibilità del parlamentare, e non come una qualificazione di liceità del fatto; quest’ultimo rimane un reato, e anche se il membro del Parlamento non può essere punito per averlo commesso, chiunque altro vi concorra può subirne le conseguenze in sede penale o civile (cfr. Ugo Adamo, «La prerogativa dell’insindacabilità parlamentare ex art. 68 Cost. come causa soggettiva di esclusione della punibilità», Rivista dell’Associazione Italiana dei Costituzionalisti, 2 luglio 2010).
Proseguendo, è importante capire cosa Mauro Ronco non sta dicendo. Anche se la proposta di legge sull’omofobia venisse approvata, non per questo diverrebbe un reato negare il matrimonio a una coppia di omosessuali. Gli articoli del Codice Civile che specificano che il matrimonio può avvenire solo tra un uomo e una donna non verrebbero abrogati dalla nuova versione della Legge Mancino: questa non parla per nulla di nozze, e l’idea che possa incidere sul Codice Civile è chiaramente estranea all’intenzione del legislatore. Se capisco bene, ciò che Ronco teme piuttosto è che qualcuno possa interpretare le nuove disposizioni di legge come se costituissero una metanorma, una norma cioè che disciplina altre norme. Più in particolare, in base alla nuova legge gli articoli in questione del Codice Civile potrebbero essere considerati come una norma discriminatrice, che sarebbe dovere del legislatore eliminare; venire meno a questo supposto obbligo di fare – sempre se capisco bene – potrebbe configurare insomma per qualche magistrato un reato omissivo.
Ci sono qui alcuni punti che mi lasciano perplesso; ma io sono un giurista della domenica, mentre Ronco insegna Diritto Penale all’università. Non mi avventurerò dunque in tentativi di confutazione, che lascio semmai ai più esperti di me. Non posso fare a meno di notare, tuttavia, che la futura legge sull’omofobia, se verrà approvata, sarà come tutte le leggi modificabile o abrogabile da una norma di pari grado (è vero che la Legge Mancino – o meglio la legge 13 ottobre 1975, n. 654, che la Mancino ha modificato e integrato – attua un trattato internazionale, ma solo per le parti riguardanti la discriminazione razziale ed etnica). Dato e non concesso che sollecitare «i parlamentari della Repubblica a non introdurre nella legislazione il “matrimonio” gay» possa essere considerato da qualcuno un reato, sarebbe per contro impossibile incriminare i fautori di una campagna di opinione che sollecitasse le Camere ad escludere per esempio l’applicabilità delle norme contro l’omofobia a questioni matrimoniali tramite una apposita legge di interpretazione autentica, come condizione dichiarata per non essere «costrette» a introdurre il matrimonio gay. La distinzione può apparire pedantesca, ma è la stessa distinzione che passa fra l’incitare il Parlamento ad approvare una legge incostituzionale (anche se questo – significativamente – non mi pare che costituisca un reato) e l’incitarlo a modificare la Costituzione allo scopo di approvare poi quella stessa identica legge. Per ripetere una massima lapidaria di Gustavo Zagrebelsky (Il sistema delle fonti del diritto, Torino 1991, p. 40), «la legge anteriore non può sottrarsi alla forza abrogativa delle leggi successive»; opporsi alle nozze gay non sarà mai illegale, ma solo sempre incivile.
È vero che qualche tempo fa qualcuno ha preteso che si perseguisse penalmente chi chiedeva solo di modificare una certa legge; ma la minaccia è stata accolta con indifferenza o, al massimo, un po’ di scherno. No, non si trattava di laicisti desiderosi di imbavagliare i poveri cattolici, ma di qualche integralista e clericale che aveva tentato di intimidire gli animatori di una campagna a favore dell’eutanasia (cfr. il mio «Se parlare di eutanasia è reato», Bioetica, 11 novembre 2010, e il post pressoché contemporaneo di Alessandro Gilioli, «Semplicemente fascisti», Piovono rane, 11 novembre 2010). Scommetto che adesso sono lì a torcersi le mani per la «gravissima minaccia» alla loro libertà di parola...
(3 - continua)
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