Chi sono gli obiettori di coscienza?
Oggi la risposta più frequente sarebbe: i ginecologi che non vogliono eseguire interruzioni di gravidanza (Ivg) per ragioni «di coscienza». Alcuni anni fa sarebbe stata diversa: l’incarnazione più genuina dell’obiettore di coscienza era il ragazzo che riceveva la cartolina precetto e rifiutava di fare il servizio di leva obbligatorio, finendo in carcere. A lungo questa scelta è stata oggetto di riprovazione morale, condannata dai tribunali e dalle gerarchie cattoliche in nome di una «difesa della patria» che non poteva che passare per le armi. Ci sono stati molti casi di persone processate e mandate in carcere per aver strappato la cartolina, e persone accusate di apologie di reato per aver difeso pubblicamente quella scelta (tra i casi più noti quelli di Pietro Pinna, Aldo Capitini, padre Ernesto Balducci, Giuseppe Gozzini, don Lorenzo Milani).
Che cosa è successo all’obiezione di coscienza?
Nel corso di alcuni anni c’è stato un profondo slittamento semantico che ha trasformato una scelta individuale e libertaria in un’imposizione della propria visione morale, a volte moralista e ipocrita, prossima all’omissione di servizio, e che ha spinto una pratica sanitaria in un terreno di scontro di coscienze.
Come possiamo chiamare nello stesso modo il ginecologo che non vuole eseguire aborti e chi rifiutava l’obbligo di leva armata?
Le differenze sono enormi e impediscono paragoni affrettati: la cartolina ti arrivava senza che tu avessi compiuto alcuna scelta, il prezzo da pagare era altissimo (condanna sociale, processi, galera). La tua scelta non ricadeva sulle spalle di nessun altro, non entrava in conflitto con i diritti di un altro individuo ma con un obbligo generale e astratto.
Il ginecologo obiettore ha deciso liberamente di fare il ginecologo e di esercitare la sua professione nel pubblico. Essere obiettore non è una scelta che comporta una qualche conseguenza, ma è anzi una scelta comoda. Si lavora anche di meno. La 194 non prevede nemmeno alcun servizio alternativo, com’era stato per l’obbligo di leva quando negli anni Settanta era stata riconosciuta la possibilità del servizio alternativo alla leva armata. La garanzia del servizio di Ivg sarebbe un obbliuno dei doveri professionali di chi ha scelto di lavorare nell’ambito della riproduzione umana – conseguente a una libera scelta professionale, e nulla ha a che fare con l’obbligo di leva.
Per alcuni, è anche una scelta ipocrita: molti obiettori continuano a suggerire e a eseguire diagnosi prenatali, tirandosi però poi indietro se la decisione della donna è di interrompere la gravidanza. Spesso senza nemmeno indicare loro un medico non obiettore – 7 come la legge impone e come la coscienza medica e personale dovrebbe suggerire – ma dicendo: «Sono obiettore, non posso intervenire». È bene sapere che le donne che chiedono o accettano di eseguire indagini prenatali sono in genere donne che vogliono poter scegliere. Quelle che invece sono convinte che non interromperebbero mai una gravidanza, anche in presenza di patologie fetali importanti, non vogliono sapere. Non vogliono eseguire diagnosi prenatali, non solo perché presentano un rischio di aborto, ma soprattutto perché quell’informazione non ha senso, e non la vogliono. «Sapremo al parto», dicono.
Se è indubitabile che l’obiezione di coscienza sia un diritto, è altrettanto indubitabile che la suddetta affermazione abbia un significato ambiguo, strettamente vincolato al contesto. Cosa intendiamo per obiezione di coscienza? Quella contra legem del militare, o quella intra legem del ginecologo? Quella che rivendicava una scelta individuale, o quella addomesticata e risucchiata dalla legge? E perché è stata usata la stessa espressione, perché non chiamare opzione o facoltà l’esonero concesso dalla 194, visto che non si oppone ad alcun obbligo, ma è anzi regolata dalla norma stessa?
Inoltre dobbiamo ricordare che nessun diritto è assoluto, ma dipende dagli altri diritti con cui può entrare in conflitto – in questo caso la garanzia del servizio di Ivg – e con i doveri professionali. La 194, pur prevedendo la possibilità di ricorrere all’obiezione, traccia confini abbastanza chiari e stabilisce la gerarchia da seguire: prima la richiesta della donna, poi la coscienza dell’operatore sanitario. Tuttavia, questi confini sono violati sempre più spesso e con un’inspiegabile strapotenza.
C’è infine un’altra conseguenza: isolare l’Ivg, allontanarla dal dominio della salute riproduttiva. Renderla un’eccezione, una questione più morale che medica, una questione di coscienza – come se solo i ginecologi ne avessero una.
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Che fare?
Per arginare gli effetti attuali si potrebbe cominciare applicando l’articolo 9. La questione della legittimità dell’obiezione di coscienza oggi, a tanti anni di distanza dalla legge, impone invece una risposta diversa. Perché mantenere il privilegio di non eseguire un’interruzione di gravidanza per chi ha scelto liberamente di esercitare una certa professione? Come risolvere quella contraddi- zione interna della 194 che stabilisce un servizio e, allo stesso tempo, la possibilità di sottrarvisi? La soluzione meno contraddittoria sembra essere la fine della possibilità di ottenere l’esonero da alcune pratiche, cioè la fine della possibilità di invocare l’obiezione di coscienza per l’interruzione volontaria di gravidanza. Non solo hai scelto una professione medica, ma hai scelto di lavorare in una struttura pubblica: anche la garanzia dell’Ivg rientra nei tuoi compiti professionali (non è certo solo la professione medica a scontrarsi con questioni «di coscienza»: si pensi agli avvocati, ai giudici o a molti altri mestieri. Se non vuoi correre il rischio di difendere uno stupratore, eviti di fare l’avvocato d’ufficio). Non significa che sarebbe una strada facilmente percorribile, soprattutto se la discussione rimane impantanata in un conflitto di coscienze e non si sposta su quella dei doveri professionali e dei mezzi necessari per garantire alcuni servizi pubblici. Sarebbe però l’unico modo per evitare che la legittima richiesta della donna rischi di rimanere schiacciata dalla visione personale e paternalistica del medico.
Micromega, 9/2013 (pdf).
Basterebbe aprire la possibilità di praticare gli aborti nelle cliniche private (come già avviene clandestinamente) convenzionalmente col SSN e lo strapotere degli obiettore negli ospedali pubblici finirebbe.
RispondiEliminaMi domando: i ragazzi che si opponevano al servizio militare, perche' lo facevano? Cosa non accettavano del servizio di leva? Non accettavano l'imposizione dello Stato, l'uso delle armi? Un soldato puo' essere assimilato ad un medico? Un soldato DEVE essere pronto ad uccidere... non c'e' via d'uscita... un medico DEVE essere pronto a curare, non ad uccidere. Si tratta di una evidente differenza ontologica, che chilometri di articolo possono solo tentare di offuscare.. a malapena. Oggi i ginecologi si rendono conto di avere le mani sporche di sangue... innocente e dicono basta! Rispetto le donne, le ho sempre rispettate, ma la donna che mette in conto di divertirsi, di concedersi un orgasmo a costo di un figlio da ammazzare mi lascia atterrito. La legge, la legge, la legge era nata per tuttelare la salute della donna, per eliminare il reato, non per istituzionalizzare l'omicidio dei piu' indifesi. Tutti siamo stati, prima del parto, prima di avere un nome, 'prodotto del concepimento' non abortito. Ed ora censuratemi pure.
RispondiEliminaCordiali saluti.
francesco sirio
@ Francesco Sirio:
RispondiEliminaquindi se ho capito bene, una donna potrebbe scegliere di abortire in caso di malformazione o malattia incurabile del feto, ma solo se non ha avuto un orgasmo nel concepirlo?
Come dovrebbe fare, eventualmente, il medico a dimostrare che la donna ha avuto un orgasmo? Le dà una bottarella e vede come reagisce?
Nel caso in cui la donna abbia davvero avuto l'orgasmo, una eventuale confessione con assoluzione da parte di un sacerdote cattolico, potrebbe risolvere la questione ugualmente?
Grazie per i chiarimenti
A Francesco Sirio.. Mi spiegheresti perché secondo te l'aborto è un omicidio? Perché omicidio significa levare la vita ad una persona e un feto di poche settimane non è certamente una persona, tuttalpiù un gruppetto di cellule che forse un giorno lo diventeranno (molti sono i fattori che incidono sul suo sviluppo, molti di più di quelli che si crede). Non sto dicendo che quelle cellule non hanno valore, solo che mi sembra che tutta questa propaganda dei vari movimenti per la vita offuschi i fatti senza ragionare, bombardandoci di buone parole e buoni sentimenti che se sei umano non puoi ,a loro parere, non condividere. Quello che chiedo è questo: è più importante il diritto alla vita di quelle poche cellule o quello di una donna?
RispondiEliminaPoi vorrei farti presente che quando le donne "si divertono" ci siete pure voi uomini e non vedo perché voi possiate dimenticare in fretta le conseguenze mentre noi dovremmo chiudere le gambe se non vogliamo figli.
Consiglio a tutti la lettura, se non lo avete già fatto, del libro dell'autrice di questo blog : A. La verità vi prego sull'aborto ed anche un ottimo libro (che parla propri del perché l'aborto non può essere considerato un omicidio) Di M.Mori, Aborto e morale, Einaudi.
Saluti
Sara
Il primo anonimo dice bene, la possibilità di eseguire IVG in convenzione consentirebbe di aggirare il problema dell'obiezione di coscienza consentendo anche, come effetto collaterale, di saggiare la tenuta effettiva delle motivazioni che spingono tanti ginecologi ad obiettare: vuoi vedere che, dinanzi alla prospettiva dei compensi dell'attività in convenzione potrebbe magari passare disinvoltamente in secondo piano il problema delle "mani sporche di sangue" dei ginecologi, con buona pace di certi egregi commentatori (nonchè profondi conoscitori della psiche femminile secondo i quali le donne che abortiscono sarebbero solo delle irresponsabili dai facili costumi...).
RispondiEliminaLa stessa leva finanziaria potrebbe, d'altronde, essere usata anche negli ospedali pubblici, e questo sarebbe ancora più facile perchè si tratterebbe di utilizzare strumenti già presenti, quali la retribuzione di risultato: tu medico ginecologo di questa azienda ospedaliera consenti con la tua attività, in questo caso l'espletamento delle IVG, di raggiungere determinati risultati strategici per l'azienda quali l'abbattimento della lista d'attesa delle IVG ed io, azienda, ti premio elargendoti in busta paga una somma che si aggiunge al tuo stipendio di base. Anche qui si potrebbe testare agevolmente la tenuta delle motivazioni alla base dell'obiezione di tanti medici, quando messe dinanzi alla busta paga del collega non obiettore che si troverebbe a percepire una discreta sommetta in più ogni mese, invece di sudare lavorando di più per essere pagato uguale al collega obiettore che fa altro come avviene adesso.
Il ricorso alla Ru486 costituisce un'altra possibile risposta: un solo medico può espletare un nuomero di IVG molto più alto che con la procedura chirurgica, il che spiega benissimo la violenta opposizione dell'estremismo cattolico ad un metodo facile e sicuro come la Ru486 che rischia, veramente, di mandare in vacca tutta la loro strategia di scardinamento della 194 dall'interno così pazientemente perseguita con la carta dell'obiezione.
Naturalmente, la soluzione migliore resterebbe quella di dire, chiaro e tondo, che l'obiezione così come è prevista dalla 194 non ha più motivo di essere. Introdotta all'epoca per tutelare chi ginecologo lo era già e qualche scrupolo sincero avrebbe anche potuto manifestarlo all'idea di praticare una IVG, oggi la situazione è radicalmente cambiata, nessuno degli attuali ginecologi è stato obbligato a scegliere questa specialità tra le circa 120 a disposizione dopo la laurea, chi obietta lo fa per lo più per avere più tempo, per svolgere altre attività più lucrose nell'ambito della sua professione, per cui sarebbe anche il caso di dire adesso basta con la ricreazione.
Ma è necessario modificare la legge...