Quasi tutti i commenti dopo la chiusura dell'inchiesta hanno richiamato la necessità di rendere più umana, compassionevole, empatica, la medicina. Che oggi lo so sarebbe, e che per questo si troverebbe, in difficoltà nell'arginare i ciarlatani. Dando così quasi per scontato che vi sia una sorta di antagonismo tra le qualità scientifico-tecnica e morale dell'aiuto medico ai malati.Gilberto Corbellini, Il Sole 24 Ore, 25 aprile 2014.
Per chi la storia della medicina la insegna, com'è il caso di chi scrive, si tratta di una perorazione francamente un po' minimalista. Or sono millenni che i medici vanno raccomandandosi l'un l'altro di mostrare simpatia e compassione per i malati, perché in passato si riteneva che questo generasse fiducia nel medico e quindi ne guadagnasse sia il rapporto con i pazienti sia la professione. A un certo punto, però, la medicina è diventata scientifica e poi è arrivata la cultura dell'autodeterminazione del paziente. Nel nuovo contesto l'efficacia e l'efficienza tecnico-operative hanno reso sempre meno necessario far uso di sentimenti per rafforzare la fiducia dei pazienti: un'infezione batterica che risponde agli antibiotici o un'appendicite si possono trattare con la stessa efficacia, suscitando ammirazione nei malati, sia che ci si dimostri empatici, sia che si abbia un carattere scontroso. Inoltre, il paternalismo medico è entrato in crisi in un modo che valorizza l'autonomia, i diritti e le scelte individuali.
Su se stesso, sul proprio corpo e sulla propria mente, l’individuo è sovrano
John Stuart Mill, La libertà
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