sabato 17 maggio 2014

Giuliano Guzzo e l’omofobia

Come celebrare degnamente la Giornata internazionale contro l’omofobia, la bifobia e la transfobia, che ricorre oggi, 17 maggio? Giuliano Guzzo – «sociologo, appassionato di bioetica, politica, religione», come si definisce sul suo profilo Twitter – non deve aver avuto dubbi: cercando di svalutare il concetto e di minimizzare il fenomeno dell’omofobia, è ovvio! E si è messo di conseguenza di buona lena all’opera, regalandoci un apposito post («Omofobia, una parola diventata facile accusa», Giuliano Guzzo, 17 maggio 2014).
Dopo il fervorino iniziale sulla tolleranza da dimostrare comunque agli omosessuali, Guzzo entra in argomento:
Detto questo, non si può fare a meno di esprimere riserve sulla scelta politica di isolare le violenze a danno delle persone non eterosessuali, quasi le altre fossero meno gravi, racchiudendole sotto l’ombrello dell’omofobia
Oltre all’assurdità dell’insinuazione che assegnando una giornata particolare alla condanna di un fenomeno si vogliano o possano minimizzare altri fenomeni analoghi (come se questi non avessero a loro volta giornate loro dedicate, come la Giornata contro il razzismo, la Giornata per l’eliminazione della violenza contro le donne o il Giorno della Memoria), è un fatto che la violenza mossa dall’odio verso un gruppo discriminato è effettivamente più grave di una violenza analoga ma generica, in quanto colpisce sproporzionatamente i membri di quel gruppo: le percosse date a un omosessuale in quanto omosessuale non fanno più male delle percosse date per una lite sul parcheggio, ma le prime colpiscono solo gli omosessuali, le seconde chiunque, indifferentemente dall’orientamento sessuale (sulla questione persiste un equivoco duro a morire). Curiosamente, Guzzo sembra invece non avere problemi a impiegare il concetto di «cristianofobia»...
Proseguendo:
chiunque osi non già porre in essere effettivi oltraggi a danno di persone non eterosessuali […] bensì solamente criticare le rivendicazioni politiche di alcune associazioni di omosessuali – dal matrimonio gay alle adozioni per le cosiddette “famiglie omogenitoriali” – viene additato ora come istigatore alla violenza ora come nemico del benessere dei cittadini omosessuali. In entrambi casi, però, si tratta di un inganno: è un inganno apostrofare come omofobi coloro che si oppongono al matrimonio omosessuale dal momento che – da Jean-Pierre Delaume-Myard a Philippe Ariño – sono molti anche gli attivisti omosessuali che la pensano così, ed è un inganno dire che il riconoscimento delle unioni gay determinerebbe felicità per tutti come dimostra il più alto numero di suicidi che si continua a registrare nella popolazione omosessuale in Paesi estremamente gay friendly come l’Olanda o la Danimarca, che pure è stato il primo Paese al mondo ad aver riconosciuto alle coppie omosessuali «tutti i diritti ed i doveri in merito ad eredità, donazioni, pensioni, tasse, obbligo di assistenza reciproca».
Per prima cosa, non si vede bene cosa ci sia di sbagliato nell’additare come «nemico del benessere dei cittadini omosessuali» chi si opponga al matrimonio gay: è un fatto ben noto che le persone sposate godono in media di un maggiore benessere fisico e psicologico rispetto a quelle non sposate; un gruppo piccolo ma crescente di studi mostra che simili benefici sono propri anche delle coppie omosessuali sposate (per una rassegna si veda H. Lau e C.Q. Strohm, «The Effects of Legally Recognizing Same-Sex Unions on Health and Well-Being», Law and Inequality: A Journal of Theory and Practice 29, 2011, pp. 107-48; tra gli studi più recenti mi limito a segnalare J.K. Ducharme e M.M. Kollar, «Does the “Marriage Benefit” Extend to Same-Sex Union? Evidence From a Sample of Married Lesbian Couples in Massachusetts», Journal of Homosexuality 59, 2012, pp. 580-91; per la situazione in Danimarca, che sembrava inizialmente indicare un’alta mortalità fra le coppie di omosessuali impegnati in un’unione civile, si veda M. Frisch e J. Simonsen, «Marriage, cohabitation and mortality in Denmark: national cohort study of 6.5 million persons followed for up to three decades (1982–2011)», International Journal of Epidemiology 42, 2013, pp. 559-78, che mostra ora una situazione radicalmente diversa, soprattutto per gli omosessuali maschi).
Guzzo sembra ritenere che ci sia un’incompatibilità fra essere omosessuale ed essere omofobo; evidentemente non ha mai sentito parlare dell’omofobia interiorizzata. Il lettore può valutare da solo quanto questo fenomeno entri in gioco in certe prese di posizione leggendo l’intervista a Philippe Ariño, che per combinazione il settimanale Tempi pubblica proprio oggi (Benedetta Frigerio, «“Io, omosessuale ed ex attivista gay, che vivo secondo quel che insegna la Chiesa. E sono felice”»).
Ancora, Guzzo non ci dice da dove proviene l’affermazione che «il riconoscimento delle unioni gay determinerebbe felicità per tutti»; e neppure potrebbe. Si tratta in realtà di un tipico argomento dell’uomo di paglia. Il riconoscimento delle unioni gay può migliorare la situazione degli omosessuali – e molto probabilmente lo fa, come abbiamo visto più sopra; ma non equivale alla fine di ogni discriminazione, neppure nei paesi più civili. La prova ce la offrono, ironicamente, gli studi che lo stesso Guzzo segnala a supporto di ciò che dice su Olanda e Danimarca. Ron de Graaf e colleghi («Suicidality and Sexual Orientation: Differences Between Men and Women in a General Population-Based Sample From The Netherlands», Archives of Sexual Behavior 35, 2006, pp. 253-62, alle pp. 257-58) hanno trovato che tra gli omosessuali maschi dei Paesi Bassi la discriminazione percepita è associata in modo significativo con tre dei sintomi più gravi precursori del suicidio e con la misura complessiva dell’inclinazione al suicidio (si noti comunque che i dati su cui si basa lo studio sono stati ottenuti nel 1996). Dal canto loro, Robin M. Mathy e colleghi («The association between relationship markers of sexual orientation and suicide: Denmark, 1990–2001», Social Psychiatry and Psychiatric Epidemiology 46, 2011, pp. 111-17, a p. 114) scrivono riguardo alla situazione danese:
Sia lesbiche che gay sperimentano inoltre frequentemente nella loro vita quotidiana il pregiudizio anti-omosessuale e l’avversione che esso comporta, che è il meccanismo presumibile che porta al rischio piuttosto elevato di morbidità psicologica osservato in questa popolazione.
(Both lesbians and gay men also frequently experience anti-gay stigma and consequent adversity in their daily lives, the presumed mechanism that leads to the somewhat elevated risk for psychological morbidity that has been observed in this population.)
(Gli autori segnalano anche correttamente un ulteriore fattore attivo nel periodo considerato, e cioè l’incidenza dell’epidemia di AIDS.)
Più avanti Guzzo, riferendosi di nuovo a questi due studi, afferma che «le nozze gay – lo abbiamo visto – non producono alcun apprezzabile aumento di benessere nella popolazione omosessuale». L’affermazione qui è più misurata di quella precedente – ma ugualmente falsa, visto che le due ricerche fotografano la situazione nei rispettivi periodi di tempo (il 1996 e il 1990-2001) senza proporre un’analisi diacronica, che cioè compari un «prima» e un «poi».
(Mi sia permesso di aggiungere una postilla: Guzzo cita articoli e altri riferimenti nelle note in calce, senza aggiungere link, anche quando i materiali sono disponibili in rete; questo dà al post un’apparenza superficiale di serietà accademica, ma costituisce anche un evidente intralcio a controllarne le affermazioni, soprattutto da chi non ha accesso alla letteratura scientifica citata o non ha tempo a sufficienza. In effetti l’intero post non possiede neppure un link esterno; non c’è modo neanche di saltare dal testo alle note e viceversa.)
Andiamo avanti:
secondo quanto emerso da un lavoro comparativo internazionale a cura del prestigioso Pew Research Center, [l’Italia] è addirittura l’ottavo Paese al mondo quanto ad accettazione sociale dell’omosessualità. Posto che anche un solo caso di discriminazione ai danni di qualcuno non è ammissibile, francamente dispiace che i giornali che contano non abbiano riportato questo dato così positivo. E non finisce qui: se osserviamo, sempre con riferimento a questo accurato studio, l’andamento di siffatta tolleranza per gli ultimi anni scopriamo come, mentre in Germania ed in Spagna – Paesi nei quali, in aggiunta alle legali unioni civili e nozze gay, la lotta all’omofobia risulta presente rispettivamente nella Costituzione e nel Codice penale – fra il 2007 ed il 2013 l’apertura verso l’omosessualità è aumentata dal 6%, da noi il fenomeno sia stato ancora maggiore: più 9%
Se «i giornali che contano» non hanno riportato il dato «così positivo» dell’Italia ottavo paese al mondo per accettazione al mondo dell’omosessualità, è forse perché questo dato non esiste (anche se così si rischia di dare troppo credito ai giornali italiani...). Se si va infatti a vedere il rapporto del Pew Center (The Global Divide on Homosexuality, 4 giugno 2013), ci si rende subito conto che esso è stato condotto solo su 39 nazioni; ottavi su 39 non è la stessa cosa di ottavi su circa 200 (facendo una rozza proporzione l’Italia sarebbe 40ª al mondo, che suona decisamente meno bene). Inoltre, fra i paesi dell’Europa Occidentale esaminati dal Pew (Spagna, Germania, Francia, Gran Bretagna e appunto Italia) siamo sconsolatamente ultimi. Si noti come l’ambito del rapporto sia specificato nella prima pagina, al secondo paragrafo; è impossibile non accorgersene.
L’aumento del 9% dell’apertura all’omosessualità (misurata in base alle risposte affermative alla domanda «L’omosessualità dovrebbe essere accettata dalla società?», passate in Italia dal 65% al 74% del totale, con i «no» passati dal 23% al 18%, p. 21) tra il 2007 e il 2013 è invece un dato presente nel rapporto; disgraziatamente, esso era stato preceduto, nel periodo 2002-2007, da una diminuzione dal 72% al 65% (con i «no» saliti dal 20% al 23%); in 11 anni siamo tornati grosso modo al punto di prima: un progresso trionfale, non c’è che dire...
Per chi volesse un quadro meno rozzo della condizione omosessuale in Italia, consiglio la lettura del rapporto Istat La popolazione omosessuale nella società italiana, relativo al 2011, da cui apprendiamo (p. 7) che
la maggioranza dei rispondenti (59,1%) ritiene accettabile che un uomo abbia una relazione affettiva e sessuale con un altro uomo (“molto” 27%, “abbastanza” 32,1%) o che una donna abbia una relazione affettiva e sessuale con un’altra donna (59,5%, di cui “molto” 27,4%, “abbastanza” 32,1%). Resta tuttavia un cospicuo 40% di intervistati che la pensa diversamente: in particolare, il 23,5% dei rispondenti considera del tutto inaccettabile una relazione affettiva e sessuale tra due uomini e il 22,1% esprime medesimo parere su una eventuale relazione tra due donne.
A p. 4 scopriamo invece che alla domanda «è accettabile che un medico sia omosessuale?» risponde «molto» il 45,7%, «abbastanza» il 26,2%, «poco» il 13,7%, «per niente» il 14,4%. Chissà come risponderebbe Giuliano Guzzo...

Guzzo conclude citando il libro di Tommaso Giartosio, Perché non possiamo non dirci: letteratura, omosessualità, mondo (Milano, Feltrinelli, 2004, p. 82): «le “-fobie” sono solo patologie: e se sei malato non è colpa tua. In questo senso “omofobia” è un eufemismo assolutorio». Ma si tratta dell’ennesima citazione parziale; prosegue Giartosio (il libro ha la forma di una intervista a se stesso):
Allora perché lo usi?
Perché non dispongo di un termine migliore; e soprattutto perché in molti casi, purtroppo, è una parola adeguata al mondo in cui viviamo. Riflette una realtà in cui spesso il razzismo antigay non è considerato una scelta lucida (e sbagliata), ma una reazione psichica quasi inevitabile entro un dato contesto socioculturale. La scelta della parola, insomma, è in sé una prova di quanto l’omofobia sia ancora pervasiva.
L’omofobia è ancora pervasiva, sì; chissà ancora per quanto saremo costretti a usare questa parola, a usare un’accusa che è «facile» solo perché gli omofobi sono ancora tanti, troppi, e tanti – troppi – sono ancora quelli che li giustificano e li difendono.

3 commenti:

  1. Poi per avere il polso dell'omofobia in Italia basta leggere i commenti all'articolo di Tempi.

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  2. "chiunque osi non già porre in essere effettivi oltraggi a danno di persone non eterosessuali […] bensì solamente criticare le rivendicazioni politiche di alcune associazioni di omosessuali – dal matrimonio gay alle adozioni per le cosiddette “famiglie omogenitoriali” – viene additato ora come istigatore alla violenza ora come nemico del benessere dei cittadini omosessuali".

    Lasciando perdere l'istigazione alla violenza, se io negassi alcune rivendicazioni politiche di alcune associazioni di persone di colore(già garantite a tutti i bianchi), sarei o no un nemico del loro benessere? Secondo me lo sarei eccome. Si deve quindi tornare ad esaminare gli argomenti a favore e contro delle suddette rivendicazioni. Secondo me quelli contro non stanno in piedi.
    Ad esempio sarebbe meglio smetterla con lo spauracchio della distruzione della famiglia che viene tirato in ballo almeno dai tempi della legge sul divorzio. Nessun intellettuale od opinionista che faccia notare che è un argomento ridicolo?

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  3. È impressionante l'impegno infuso dal sociologo nel dimostrare, di post in post, la perfetta coincidenza tra il dettame clericale e il profilo della realtà (ricavato grazie all'infottimento per la verità, la completezza e l'onestà intellettuale). Sarò esagerato, ma per me potrebbe trovare degnamente posto nella famosa antologia critica di Sokal e Bricmont, almeno per il metodo.

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