Brittany Maynard ha 29 anni e un glioblastoma – ovvero uno dei tumori più aggressivi e meno trattabili. Ha deciso di morire tra meno di un mese. Non vorrebbe morire, ma la sua malattia le ha concesso poco spazio e poco tempo e Maynard non vuole lasciare che il tumore le mangi il cervello, non vuole rischiare di soffrire dolori inutili e difficilmente gestibili. Non vuole rischiare di vivere gli ultimi giorni in una condizione che lei giudica – per se stessa – non dignitosa. Non vuole morire, insomma, come il cancro la farebbe morire. “Voglio morire alle mie condizioni”, ha detto.
Chi ha il diritto di imporle una scelta diversa? Chi, meglio di lei, può decidere se e come avere a che fare con una diagnosi tanto spaventosa e con una patologia con sintomi tanto invadenti? Il suo video ha suscitato molte reazioni, tanto che Maynard ha aggiunto una nota al sito della sua fondazione (A Note from Brittany): non ho lanciato questa campagna perché volevo attenzione, ha scritto, ma l’ho fatto perché vorrei che tutti avessero la possibilità di morire con dignità. Sono fortunata perché ho una famiglia straordinaria e degli amici meravigliosi, e spero che tutti voi porterete avanti questa battaglia. (Sottotitoli: “avere la possibilità” non significa che tutti quelli con la stessa patologia dovrebbero scegliere come Maynard; scegliere vuol dire che ognuno dovrebbe poter fare come preferisce).
Tra le reazioni c’è stata anche la lettera di una donna, Kara Tippetts. Tippetts ha 36 anni, 4 figli e un tumore terminale. “Sto morendo anche io, Brittany”, le ha scritto. Le ha anche scritto che la sofferenza non è assenza di bontà e bellezza, ma “forse potrebbe essere il posto in cui la vera bellezza può essere conosciuta”.
Scegliendo di morire (o meglio, di morire un po’ prima della malattia e senza arrivare a soffrire fisicamente e psichicamente dolori che Maynard non vuole patire), secondo Tippetts, Maynard priverebbe quelli che la amano di questi momenti di “tenerezza”, della opportunità di conoscerla negli ultimi momenti e di amarla negli ultimi respiri.
Pagina99, 13 ottobre 2014.
Il suicidio non e' un atto di coraggio ma di disperazione. E la disperazione puo' far pensare solo alla pietà. Pietà per un gesto privo di dignità. Non possiamo certamente essere tutti dei Fra Cristoforo, piu' alla portata la vigliacchieria di Don Abbondio. Non ha scelto una morte dignitosa, la suicida ha chiesto la complicità nell'omicidio di sè stessa. Pietà di lei e della sua disperazione. Pietà per tutti coloro che dovrebbero e potrebbero essere al fianco di chi è disperato.
RispondiEliminaFrancesco Sirio