giovedì 31 maggio 2007

Diritto di resistenza

Il nostro eroe mancava da qualche tempo. Ma eccolo qui, in tutto il suo fulgido splendore (è stato difficile scegliere il pezzo da commentare).
Guarda che can can per un piccolo fermo di polizia a Mosca..., Italia Oggi, 29 maggio 2007, leggibile (si fa per dire) sul suo sito.
Il Sindaco di Mosca Luzhkov aveva vietato la manifestazione in vista del Gay Pride. Un gruppuscolo di europarlamentari e attivisti radical libertini se ne infischia del divieto e un importante quotidiano nazionale gli offre prima, seconda e terza pagina.
Offre loro, sono più di 1. Usare il plurale, orsù. Nessuna domanda si pone e ci pone il nostro sulla legittimità del divieto in questione (vietare una manifestazione dovrà pure avere una qualche ragione almeno presentabile, oppure va bene vietare tanto per fare qualcosa?). Andiamo avanti (libertini è proprio bello, però, va detto).
Aggredito Vladimiro Guadagno, diventa ‘aggredita Luxuria’, come se lo stato civile e il corpo di una persona fossero due elementi indifferenti. Già, l’aggressione durante una manifestazione non autorizzata, si sarebbe detta una provocazione alla quale i partecipanti conoscevano i possibili pericoli, si tratterebbe di un semplice lancio di uova che guarda caso avrebbe colpito il passaporto del Vladimiro.
Se uno c’ha il pisello oppure no è tanto importante? In generale, intendo, e soprattutto nel particolare in cui venga picchiata/o? C’è stata l’aggressione oppure no? Però se la sono cercata, e poi un paio di uova in fondo che saranno mai? Chissà che direbbe Volontè se in seguito ad una delle sue infinite “provocazioni” gli arrivasse in faccia un uovo appena uscito dal culo di una gallina (che poi per Volontè sarebbe una gallina potenziale, l’uovo, voglio dire). Chissà.
Seguono poi esempi illuminanti che non sto a riportare né a commentare (a parte i soliti errori ortografici). Doveroso citare invece il richiamo accorato alla “congiura contro Buttiglione del 2004” e la conclusione:
i semplici diritti umani sono ormai superati dalla nuova richiesta di privilegi per la casta omosex, per loro valgono tutte le eccezioni contrarie alla regola di tutti. La legge non era uguale per tutti? Se le decisioni di Luzhkov o le leggi Russe non ci piacciono, possiamo chiedere che vengano cambiate, guai però farlo per imporre privilegi e non invece per abbattere le discriminazioni.
Esilarante.

Degli istinti materni

Il calendario di Ernesto Galli Della Loggia di oggi (Madri e figli, Il Corriere della Sera):
Quanti di noi devono la propria vita solo alla testarda, irragionevole volontà di una donna di non abortire? E quante donne, come pare che sia capitato appena una settimana fa a una giovane umbra, devono la perdita della loro, alla stessa testarda volontà? Non lo sapremo mai, e forse un giorno ci insegneranno che in realtà anche l’istinto materno non ha nulla di naturale, che anch’esso ha una storia, un principio, e dunque una possibile fine. Ma oggi ci piace pensare che ciò non accadrà. Ci piace pensare che esista un rapporto misterioso ma alla fine inscalfibile tra una donna e l’essere che si forma nel suo ventre, un rapporto che anche se nei tumulti dell’esistenza e dell’animo può portare a sopprimere chi sta per nascere, tuttavia parla pur sempre di vita sebbene con il linguaggio della morte, perché così vuole l’ambiguo destino degli umani. Che forse non merita di annullarsi nel liquido opaco di una provetta o dietro la muta meccanicità di qualche congegno.
Quanti di noi, invece, sono stati meno testardamente voluti non lo raccontano (come si direbbe in una espressione gergale). Le persone mai esistite non possono lamentare la loro inesistenza, non possono nemmeno rendersene conto.
Sulla naturalità dell’istinto materno bisognerebbe intendersi: se naturale significa spiegabile dal punto di vista evolutivo, beh, è abbastanza naturale. Poche letture elementari offrirebbero qualche sostegno utile. Facendo riferimento a quella lotta per la sopravvivenza che fino a un certo punto ci hanno detto della specie e poi del gene. E che qualcuno nega in nome di un disegno intelligente o di una creazione divina e tante altre belle parole. Anche se fosse naturale, poi, quell’istinto, potrebbe finire. A meno che Galli Della Loggia non identifichi naturale con imperituro e immortale (ma ci sarebbero troppe conseguenze difficili da gestire). Il penultimo periodo mi è ostico: tumuli dell’esistenza? Parla pur sempre di vita sebbene con il linguaggio della morte (che immagino sia l’aborto, ma non ci giurerei)? Quanto all’ambiguità, la dirotterei sulla volontà piuttosto che sul destino. E poi la bordata finale nei confronti delle tecniche di procreazione artificiale (uso volentieri e di proposito questo aggettivo): eccoci qua, al trito argomento del mistero spazzato via dalla scienza. Ma insomma, chi vuole il mistero se lo tiene; però non tutti ne subiscono il fascino, almeno in materia di salute e riproduzione. Se fosse per un appuntamento, si potrebbe anche rischiare.

mercoledì 30 maggio 2007

Medici di tutta Italia firmate!

Ecco il testo di una bella lettera inviata a Il Corriere della Sera il 28 maggio 2007 da alcuni medici.

Egregio Direttore,

Scriviamo in riferimento alla lettera inviatale da Ignazio Marino il 18 u.s., “Testamento biologico, troppi ritardi” e al precedente articolo di Verderami.
In quanto medici, ci capita spesso che amici, parenti e pazienti alludendo a conoscenti in rianimazione ci chiedano che in simili circostanze possano essere lasciati morire in pace, senza l’intervento della medicina tecnologica. Ma ci capita anche di sentirci dire il contrario, che qualsiasi cosa capiti, non si rinunci a nessuna cura, nella prospettiva d’innovazioni che consentano di continuare a vivere.
Le parole che ci vengono dette, sia in un caso che nell’altro, non hanno alcun valore e non solo perché potrebbero essere altri medici a prendere le decisioni, ma soprattutto perché, anche fossimo direttamente coinvolti, la mancanza di direttive scritte e di una legge che ne riconosca la validità, rende senza valore queste espressioni della libera volontà individuale. È per questo che serve la legge sul testamento biologico, a garanzia che si possa indicare a quali terapie si desidera o non si desidera essere sottoposti in una fase della propria vita in cui non si sia più in grado di decidere. Come diceva il Senatore Marino, le direttive anticipate - o testamento biologico - rappresentano un prolungamento naturale della pratica del consenso informato e sarebbero previste dal nostro Codice Deontologico del 2006 (art 38 “Il medico se il paziente non è in grado di esprimere la propria volontà, deve tenere conto nelle proprie scelte di quanto precedentemente manifestato dallo stesso in modo certo e documentato”) nonché dalla Convenzione di Oviedo sulla Biomedicina del 1997, ratificata dal nostro Parlamento. Sarebbero previste ma non sono legalmente riconosciute, perché manca la legge.
Si continua a sostenere che il testamento biologico può portare all’eutanasia, favorendo da mesi una grande confusione di termini che non giova a nessuno, nella quale i mass media non sempre hanno aiutato a fare chiarezza.
La sospensione delle cure non è eutanasia anche se l’effetto è quello di portare più rapidamente alla morte. Piergiorgio Welby ha scelto che fossero sospese le cure da cui dipendeva la sua vita; Papa Giovanni Paolo II ha scelto di non intraprendere ulteriori cure che sarebbero state l’intubazione e la ventilazione assistita, le stesse che Welby ha chiesto di sospendere.
Papa Wojtila ha detto “lasciatemi tornare alla casa del padre” ed è stato ascoltato; e chi non fosse in grado di dirlo? Chi è in coma? O in uno stato vegetativo? Perché non dovrebbe poter avere chiunque il diritto di decidere di non contrastare il processo del morire, di accettare la morte come un fatto naturale e ineluttabile?
Il clima che si è creato intorno a questo problema non ci consente di sperare che si possa facilmente sgomberare il campo da persistenti equivoci tecnici e faziosità politiche. Ci auguriamo, però, che il nostro contributo serva a manifestare il nostro appoggio al Presidente della Commissione Sanità in questa solitaria battaglia di civiltà che sta conducendo con tenacia e pazienza.

Daniela Tarquini (neurologo, Roma), Mariolina Congedo, (neurologo, Trieste), Maddalena Gasparini (neurologo, Milano), Angelo Giordano (neurologo, Catania), Daniela Sanguigni (nefrologo, Roma), Teresa Anna Cantisani (neurologo, Perugia), Alfonso Ciccone (neurologo, Milano), Stefano Canitano (radiologo, Roma), Riccardo Sonnino (rianimatore, palliativista, Roma), Maria Concetta Altavista (neurologo, Roma), Cristina Cusi (neurologo, Milano), Paola Tortora (anestesista palliativista, Udine), Pierlorenzo Papanti (geriatra , Gorizia), Massimo Musicco (epidemiologo, neurologo, Milano), Guido Rasi (immunologo, Roma), Alfredo Pompili (medico, Roma), Teresa Dastoli (medico, Roma), Carlo Alberto Defanti (neurologo, Bergamo), Vincenzo Tomaselli (chirurgo pediatra, Milano), Francesco Alberti (neurologo, Sanremo), Marcella Gasperini (neurologo, Verona), Arianna Cozzolino (palliativista, Milano), Federico Russo (psichiatra, Roma), Fabio Chiodo Grandi (neurologo, Trieste), Graziella Sacchetti (ginecologo, Milano), Sara Pareo (urologo, Roma), Eugenio Pucci (neurologo, Macerata), Claudio Geraldini (neurologo, Roma), Antonella Peppe (neurologo, Roma), Fabio Massimo Corsi (neurologo, Roma), Ignazio Renzo Causarano (neurologo, Milano), Stefania Meregalli (neurologo, Milano), Sandro Sorbi (neurologo, Firenze), Gian Domenico Borasio (neurologo, palliativista, Monaco di Baviera), Carlo Caltagirone (neurologo, Roma).

Nel sito di Ignazio Marino ci sono altri firmatari.
Chi volesse firmare può inviare una mail a susanna.fancelli@senato.it (addetto stampa di Marino) e per conoscenza a mariolinacongedo@libero.it, specificando la specializzazione e la città. Oppure lasciare queste indicazioni nei commenti a questo post.
Grazie a tutti.

Jack Kevorkian

Esce venerdì, dopo avere scontato 8 anni di prigione (Assisted-suicide advocate Kevorkian to be released, Usa Today, 29 maggio 2007).

martedì 29 maggio 2007

I soliti noti

Massimo Introvigne promuove un appello per fermare il documentario spazzatura (questa è la ragione) Sex Crimes and the Vatican (Venti parlamentari chiedono stop a video preti pedofili BBC, ImgPress, 25 maggio 2007).

Firmano: i senatori Antonio Battaglia (An), Laura Bianconi (Fi), Paola Binetti (Margherita), Luigi Manfredi (Fi), Alfredo Mantovano (An), Luca Marconi (Udc), Gaetano Quagliariello (Fi), Giacomo Santini (Dc), Gustavo Selva (An), Francesco Storace (An) e i deputati Isabella Bertolini (Fi), Gabriella Carlucci (Fi), Riccardo Migliori (An), Angela Napoli (An), Patrizia Paoletti Tangheroni (Fi), Simonetta Licastro Scardino (Fi), Roberto Ulivi (An), Luca Volontè (Udc), Michele Vietti (Udc) e Marco Zacchera (An).
Sottoscrivono anche oltre ottanta intellettuali (?) e docenti universitari, cattolici e laici. Tra di essi Franco Cardini e Aldo Mola, lo psicologo Claudio Risé, il giurista Mauro Ronco e il sociologo Pietro De Marco.

lunedì 28 maggio 2007

Superdog

Gli umani sanno essere molto molesti.

I carabinieri della salute

Livia Turco a sostegno della proposta di ispezioni antispinello nelle scuole dichiara («Carabinieri anti-spinelli nelle scuole», Il Corriere della Sera, 28 maggio 2007):
Ho chiesto al ministro dell’Istruzione, Giuseppe Fioroni, di collaborare per inviare i Nas nei licei e negli istituti tecnici […]. È utile dare il via a verifiche in tutt’Italia, anche per senso di responsabilità verso le famiglie: le aule devono poter essere considerate luoghi sicuri.
[…]
È un’operazione di educazione alla salute, nel segno della prevenzione.
Educazione alla salute? Inviando i carabinieri nelle aule scolastiche? Educazione. Bah.

Ratzinger e la Crimen Sollicitationis

Monsignor Betori è reciso:
Il documentario della Bbc, ha affermato Betori, «non rispetta la verità, ad esempio quando attribuisce a Ratzinger la paternità di un documento emanato dalla Congregazione della Dottrina della Fede 19 anni prima della sua nomina alla guida del dicastero».
Quasi sprezzante Andrea Galli:
Il pezzo forte del servizio infatti consisteva (e ancora consiste) nell’accusa rivolta a Joseph Ratzinger di essere stato niente meno che il responsabile massimo della copertura di crimini pedofili commessi da sacerdoti in varie parti del globo, in quanto “garante” per 20 anni – da quando fu nominato prefetto vaticano – del testo Crimen sollicitationis, che è un’istruzione emanata in realtà dal Sant’Uffizio il 16 marzo 1962. Da notare la data: nel 1962 infatti Joseph Ratzinger non era certo prefetto della futura Congregazione per la dottrina della fede, essendo in quel tempo ancora teologo molto impegnato nella sua Germania.
Più asciutto Massimo Introvigne:
Nella nota 3 della lettera della Congregazione per la dottrina della fede – ma per la verità anche nel testo della precedente lettera di Giovanni Paolo II – si cita l’istruzione Crimen sollicitationis emanata dalla Congregazione per la dottrina della fede, che allora si chiamava Sant’Uffizio, il 16 marzo 1962, durante il pontificato del Beato Giovanni XXIII (1881-1963) ben prima che alla Congregazione arrivasse lo stesso Ratzinger (che quindi, com’è ovvio, con l’istruzione non c’entra nulla: all’epoca faceva il professore di teologia in Germania).
A questo punto uno può dire: ma guarda un po’ questa BBC, che non è capace del più semplice controllo sui propri testi! Anche qualche blogger laico (ma non tutti) è apparso imbarazzato, e ha tentato di minimizzare la cosa come una imprecisione irrilevante.
Andiamo allora a vedere cosa si dice effettivamente nel documentario della BBC. Useremo la trascrizione disponibile sul sito dell’emittente. I punti in cui si accosta il Cardinale Ratzinger all’istruzione Crimen sollicitationis sono questi:
Instead of reporting O’Grady the church hid him from the authorities. No mistake, but part of a secret church directive. The man responsible for enforcing it was Cardinal Joseph Ratzinger, now Pope Benedict XVI. […]
The procedure was intended to protect a priests reputation until the church had investigated. But in practice it can offer a blueprint for cover-ups. The man in charge of enforcing it for 20 years was Cardinal Joseph Ratzinger, the man made Pope last year. […]
So Joseph Ratzinger was at the middle of this for most of the years the Crimen was enforced.
Come si vede, non si afferma nemmeno una volta che Ratzinger sia l’autore dell’istruzione, ma soltanto che per un ventennio (più precisamente, 23 anni) sia stato il responsabile supremo della sua applicazione, in quanto Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede.
Da dove nasce l’equivoco in cui sono caduti uno dopo l’altro gli illustri personaggi citati sopra? Probabilmente questi signori hanno visionato il documentario sottotitolato in italiano, che ne rende in questo modo i punti chiave:
Responsabile di quella imposizione fu il Cardinale Joseph Ratzinger […]
Fu Ratzinger a imporlo per 20 anni […]
Joseph Ratzinger si occupò di questo per parecchi anni, dopo l’emanazione del Crimen sollicitationis.
Una versione, dunque, leggermente equivoca. A venire condannata, però, non è la traduzione ma l’originale, senza che nessuno di quelli che sparano sentenze si sia dato la pena di ascoltare l’audio in inglese.
Le fonti originali! Le fonti originali! Forse dovremmo introdurre lo studio della filologia nella scuola dell’obbligo – e anche nei seminari, naturalmente.

domenica 27 maggio 2007

L’assenza della scelta come cardine di moralità

Isabella Mazzitelli intervista Eugenia Roccella per Vanity Fair. Le risposte di Roccella sono irritanti e spesso fuori tema. Una risposta verso la fine è particolarmente agghiacciante, forse la più rappresentativa del pensiero roccelliano.

C’è una cosa che le avrei chiesto, l’avessi incontrata ai tempi del referendum sulla legge 40. Pensa che cercare la maternità con l’aiuto della scienza sia solo individualismo esagerato?

«No, ma penso che apra la strada a una progressiva distruzione della maternità, a una scissione tra il corpo che procrea e il figlio, visto come un oggetto di consumo. Nella maternità naturale, invece, non c’è scelta».

Famiglie relativiste

Oggi è il secondo pezzo che leggo da l’Occidentale. O sono sfigata oppure è popolato di strani figuri (e ho saltato il ricordo di Sergio Cotta compilato da Francesco D’Agostino, sarebbe stato davvero troppo!).
Ora è la volta di Stefano Fontana (Famiglia reale e famiglia legale. Dopo Firenze il divario aumenta) che scrive come se stesse enunciando Verità incontestabili, mentre propone il suo punto di vista – legittimo, ovviamente, ma sarebbe più onesto dichiararlo e sarebbe doveroso sostenerlo.
La chiusura del suo pezzo ne è un esempio cristallino.
La “dittatura del relativismo” la intenderebbe [la promozione della cultura della famiglia con l’inserimento nei POF, ndr] come una discriminazione a chi non condivide la famiglia naturale. Se ci si sposa di meno non è per motivi economici o strutturali ma culturali; tanto è vero che gli indici di nuzialità sono maggiori nelle aree del paese meno sviluppate e ove i servizi sociali sono inferiori o meno efficienti.
Poche righe per molte obiezioni. A cominciare dalla dittatura del relativismo, ossimoro che susciterebbe un sorrisetto se non fosse così maledettamente preso sul serio e ripetuto ossessivamente. È come dire che ti obbligo a pensarla come vuoi: il che significa che se non vuoi pensarla come vuoi, puoi farlo. Dunque? Quali rimproveri si possono muovere alla “dittatura del relativismo”?
Sarebbe stato interessante, poi, se Fontana si fosse sforzato di dirci quale sarebbe questa tanto invocata famiglia naturale. Perché non è evidente. Naturale come al tempo degli scimmioni (ah, forse lui non ci crede agli scimmioni; allora ai tempi di Adamo ed Eva?)? O naturale come nelle caverne? Oppure?
Sulla considerazione conclusiva bisognerebbe commentare tanto a lungo che mi passa la voglia. Così come mi passa la voglia di commentare quanto segue: Fontana lamenta l’esclusione del Movimento per la Vita e l’indifferenza nei confronti dell’aborto. Non ce la faccio. La prossima volta.
Se quello della famiglia è soprattutto un problema culturale, come nascondere l’importanza fondamentale del suo rapporto con la vita? Anche questo è un punto di notevole differenziazione tra le posizioni della Chiesa e quelle che presumibilmente emergeranno dalla Conferenza. Già l’esclusione del Movimento per la vita, come dicevamo, la dice lunga. Come negare che uno degli elementi culturali che maggiormente indeboliscono la famiglia sia la chiusura verso la vita di cui l’aborto è l’aspetto maggiormente drammatico? La Conferenza di Firenze ha deciso di non dare accesso a questo problema: non se ne parlerà nemmeno. Infine, un ultimo tema divide la Chiesa e l’impostazione che il governo ha dato alla Conferenza. Per la Chiesa la famiglia deve essere valorizzata come soggetto sussidiario, per il governo essa deve ancora essere il terminale di politiche sociali pressoché deresponsabilizzanti. E qui si innesca il grande argomento della libertà di educazione, altro grande tema escluso dalla Conferenza di Firenze.

La difesa impossibile della chiesa


Più che dall’autore del pezzo è dal titolo che si capisce cha aria tira (Sui crimini sessuali la Chiesa non ha mai taciuto, Don Alessandro Galeotti, l’Occidentale, 26 maggio 2007). Sebbene la scelta sia stata difficile, due passaggi sono significativamente rivoltanti.
Sui crimini sessuali da parte di sacerdoti la Chiesa non ha mai taciuto, evidenziando non solo il proprio sgomento, ma anche la solidarietà innanzitutto con le vittime di tali gravissimi atti. Le sanzioni disciplinari sono state rigorose ed esemplari. Non ha mai dimenticato di essere lo strumento di misericordia, ma ha anche affermato un principio di giustizia.
[…]
Perché questo tentativo di diffamazione e altri simili contro il Pontefice? Benedetto XVI è diventato, con il suo alto profilo di ragione e di interrogazione alla coscienza moderna, un punto di riferimento per un nuovo umanesimo che coinvolge credenti e laici in una profonda ripresa di vita che potrebbe rinverdire questa stanca e sfiduciata Europa. Che sia ancora una volta il papa di Roma a compiere questo servizio alla coscienza e all’azione, infastidisce le anime belle del laicismo contemporaneo.
(I corsivi sono miei. 7 in condotta e invidia laicista: reazione e controreazione di una chiesa.)

Condivisioni testamentarie

Giuliano Amato è un uomo coraggioso, ai limiti della temerarietà (Amato spinge su testamento biologico, conforme a catechismo”, Reuters, 26 maggio 2007) e intervenendo alla Conferenza Nazionale della Famiglia
ha citato un passo del catechismo della chiesa cattolica, per ribadire che si tratta di un tema condiviso da chi ha finora ha considerato troppo estremiste le posizioni sui diritti del governo di centrosinistra.
Non ho ben capito. Il sillogismo sarebbe:

X è nel catechismo della chiesa cattolica
Il catechismo della chiesa cattolica è condiviso
X è condiviso

Interessante premessa davvero per un uomo politico. Citare il catechismo. Ma sì, continuiamo così.
“L’interruzione di procedure mediche onerose, pericolose, straordinarie o sproporzionate rispetto ai risultati attesi può essere legittima. In tal caso si ha la rinuncia all’accanimento terapeutico. Non si vuole così procurare la morte: si accetta di non poterla impedire”, ha detto il ministro citando alla lettera un passo del catechismo.
Grazie per la magnanimità. Possiamo dunque stare tranquilli: se il catechismo ce lo permette possiamo morire in pace.

giovedì 24 maggio 2007

Cosa intendi con “famiglia”?

Comincia oggi la Conferenza Nazionale per la Famiglia. Fortemente voluta dal ministro delle politiche per la famiglia Rosy Bindi la Conferenza ha l’intento di “delineare il primo Piano nazionale per la Famiglia, che indichi le strategie di una politica seria e credibile, finalmente a favore delle famiglie italiane”. Scopo nobile e che nessuno si sognerebbe di criticare. Tuttavia vi è una domanda ineludibile: che cosa si intende con “famiglia”? Procedendo per negazione verso la definizione sembra che almeno gli omosessuali non possano aspirare ad essere famiglia, poi forse nemmeno i conviventi: il mancato invito a partecipare alla Conferenza di numerose associazioni a difesa dei cosiddetti “diversi” (ma diversi da cosa?) fanno sospettare che sia una idea discriminatoria, retriva e stereotipata della famiglia ad animare l’iniziativa. L’ossessione che ha animato il Family Day si ripropone in tutta la sua assurdità: stabilire un modello formale di famiglia (unico e universalmente valido) su premesse discutibili e vacillanti ed esprimere una malcelata condanna verso chi non vi si adegua. La famiglia sarebbe una entità costituita da un uomo che porta i pantaloni, la sua dolce consorte e più pargoli possibili. Una allucinazione della realtà, in continuo cambiamento e che è impossibile (e ingiusto) ridurre a tale simulacro. Le cosiddette famiglie ricomposte non sono forse a pieno titolo famiglia? Due donne o due uomini che si amano non sarebbero famiglia? Una ragazza madre o un vedovo con figli? Secondo chi vuole far crescere la Famiglia e l’Italia, come recita lo slogan della Conferenza, no.

(Oggi su E Polis, Anche la Bindi sposa i vecchi luoghi comuni.)

martedì 22 maggio 2007

Parla con lei


Rosy Bindi (Le reazioni politiche dopo la prolusione di Bagnasco, Noi Press, 22 maggio 2007):
“Ha ragione Bagnasco, basta steccati tra laici e cattolici. Ma Pezzotta dovrebbe provare a dialogare con la Bonino e io magari con la Roccella. Trovo comunque la prolusione di Bagnasco un segnale di saggezza, di rigore e di dialogo”.
In verità, ha spiegato “la politica del governo sta già lavorando alla soluzione dei problemi elencati dal presidente dei vescovi”.
“Senza forzare la volontà dei partecipanti – ha proseguito –, a me pare che il Family Day abbia chiesto soprattutto provvedimenti per la famiglia. Sui Dico, vale quanto ci siamo detti nei giorni scorsi. Il governo ha ritenuto di aver fatto un buon lavoro. Adesso il Parlamento è sovrano. Due però sono i paletti che non possono essere rimossi: il riconoscimento dei diritti dei conviventi, che a questo punto mi pare nessuno voglia negare; l’altro è la salvaguardia della famiglia così come la Costituzione la disegna”.
(Ci vorrebbe Aioros per simulare un dialogo tra Pezzotta e Bonino e tra Bindi e Roccella… si potrebbe anche organizzare uno scopone scientifico, a pensarci bene.)

Lucy in the Sky of Diamonds


Francesco D’Agostino (Una proposta ai laici. Un parlare mite. Da cuore a cuore, Avvenire, 22 maggio 2007):
L’immagine della Chiesa italiana, che emerge dalle parole dell’arcivescovo Bagnasco, è quella che ogni partecipante al Family Day ha potuto riscontrare di persona: non rivolta al passato, ma aperta al futuro; non stretta dalla paura del male, ma fiduciosa nell’avvento del bene; non mossa dalla volontà di contrapporsi ad alcuno, ma volenterosa di appellarsi a tutti, nella convinzione che non esiste un bene “confessionale”, possesso geloso delle comunità cristiane, ma solo un bene universale predicabile allo stesso modo per tutti gli uomini (e questo, credo, è il significato che bisogna dare al rapidissimo, ma fermo riferimento alla “natura” come “ciò di cui l’uomo ha strutturalmente bisogno per essere all’altezza del suo destino”).
Il corsivo è mio e ha origine dalla mia perplessità di ammettere l’esistenza di un unico bene universale valido per tutti gli uomini.
Quanto al riferimento alla natura, farebbe bene D’Agostino a dedicare qualche minuto in più alle sue riflessioni. Partendo dal fatto che la natura è assolutamente amorale (nella migliore delle ipotesi…) e che renderla un modello di moralità (forse di moralismo) è piuttosto dissennato.

lunedì 21 maggio 2007

Derek Humphry

Per molti il ricordo di Derek Humphry è legato ad un manuale contenente le indicazioni per suicidarsi (Eutanasia: uscita di sicurezza, 1992). Sebbene questa sia una visiona caricaturale, è pur vero che la battaglia a favore della libertà del morire implica anche la trattazione del “come” morire. E in uno Stato che si oppone all’idea di legalizzare l’eutanasia i cittadini sono abbandonati a loro stessi anche nella ricerca dei mezzi pratici. Humphry ha così descritto vari modi per procurarsi la morte, oltre a sostenere le ragioni della libertà del morire. Una libertà che è da intendersi principalmente come assenza di coercizione legale: uno Stato dovrebbe impedire legalmente il ricorso all’eutanasia e per quali ragioni? Nel tentativo di fornire una risposta si intrecciano inevitabilmente aspetti intimi e personali e aspetti pubblici; e non si possono eludere temi fondamentali quali il fondamento della legittimità e l’estensione dell’azione dello Stato e i confini della libertà individuale, l'eventualità di includere il diritto a morire tra i diritti fondamentali e la difficile conciliazione di valori tanto distanti come l’indisponibilità della propria esistenza e la libertà di disporne – questione tanto più rilevante quanto più spazio viene concesso alle considerazioni morali nel dibattito politico.
Cofondatore della Hemlock Society (1980) oggi ribattezzata End of Life Choices (2003), per una prudenza terminologica ai limiti dell’ipocrisia, Humphry torna a parlare di eutanasia con Liberi di morire.

Continua (Bollettino Telematico di Filosofia Politica, 21 maggio 2007).

domenica 20 maggio 2007

La Corte Suprema e il diritto di abortire

Intervento magistrale del buon George J. Annas su Abortion Rights e Partial-Birth Abortion: The Supreme Court and Abortion Rights, New England Journal of Medicine, 2 maggio 2007. Riporto la discussione; da leggere tutto.
The major change in the law this opinion brings with it is the new willingness of Congress and the Court to disregard the health of pregnant women and the medical judgment of their physicians. This departure from precedent was made possible by categorizing physicians as unprincipled “abortion doctors” and infantilizing pregnant women as incapable of making serious decisions about their lives and health. The majority opinion ignores or marginalizes long-standing principles of constitutional law, substituting the personal morality of Justice Kennedy and four of his colleagues.

The majority asserts that giving Congress constitutional authority to regulate medical practice is not new but identifies no case in which Congress had ever outlawed a medical procedure. Its reliance on the more than 100-year-old case of Jacobson v. Massachusetts is especially inapt. Jacobson was about mandatory smallpox vaccination during an epidemic. The statute had an exception for “children who present a certificate, signed by a registered physician, that they are unfit subjects for vaccination,” and the Court implied that a similar medical exception would be constitutionally required for adults. It is not just abortion regulations that have had a health exception for physicians and their patients — all health regulations have.

On the other hand, those who expect Roe to be overturned by this Court may be disappointed. Although Justice Alito has replaced Justice O’Connor and is likely to vote in the opposite direction on Roe-related issues, Justice Kennedy is the new swing vote on the Court, and he insists that he is upholding the principles of Roe v. Wade as reaffirmed in Casey. Just as the question of whether a specific abortion regulation was an “undue burden” was once a determination Justice O’Connor could effectively make for the Court, the meaning of Roe v. Wade is, at least for now, up to Justice Kennedy.

sabato 19 maggio 2007

Nessun pedofilo, solo qualche indigestione

Ognuno, evidentemente, si consola come vuole. O, meglio, come può. Così stupisce solo in parte che dinanzi alla vitalità cattolica documentata sabato scorso in Piazza San Giovanni, ci sia chi trovi benefico sfogo a rovistare nel bidone della spazzatura alla ricerca di qualche lisca di pesce o di qualche uovo in decomposizione. Confidando magari che qualche organo di informazione, più o meno clandestino, non faccia troppo lo schizzinoso, e rilanci generosamente il tutto, offrendo al proprio pubblico come sicuro il cibo ampiamente avariato.
Squisite metafore gastronomiche quelle usate da Andrea Galli (Infame calunnia via internet, Avvenire, 19 maggio 2007): lisca di pesce, uovo decomposto, cibo avariato. Squisite lobotomie della realtà: bambine e bambini abusati. Bambine e bambini abusati da preti (sconvolgente la simulazione in aula di O’Grady: “Sally… vieni bella bambina… fatti abbracciare… ”. Confesso che mi interrogo sulla opportunità di far interpretare al reo i suoi modi di adescamento piuttosto che di raccontarli semplicemente).
Secondo Andrea Galli si tratterebbe di questo: cibo avariato. E nel suo articolo servile e disgustoso non c’è nemmeno una parola, un dubbio, una domanda su tutte queste bambine e tutti questi bambini. Chissà, magari pensa davvero che siano tutte calunnie, nonostante vi siano prove ineludibili.
Ma che dico? Secondo lui invece è tutto falso. In base a quali argomentazioni?
Si tratta di un pot-pourri di affermazioni e pseudo-testimonianze che furono apertamente sconfessate a suo tempo dalla Conferenza episcopale inglese, la quale invitò l’augusta Bbc a “vergognarsi per lo standard giornalistico usato nell’attaccare senza motivo Benedetto XVI”.
Gran dimostrazione della inconsistenza delle accuse davvero! Come dubitarne?
Poi si intorta con la data dell’emanazione del Crimen Sollicitationis (16 marzo 1962) che scagionerebbe Ratzinger. Ah! Non poteva averlo scritto lui.
E infine ci spiega cosa fosse questo testo (a noi fetenti): bella retorica del Galli, cui non posso rispondere perché non ho ancora letto il documento per intero (anzi, se avesse la cortesia di farcelo avere tradotto in italiano, gli sarei eternamente grata e lui all’eternità dovrebbe crederci). Certo è che dagli stralci letti nel documentario (fazioso e ingiurioso) emerge una realtà diversa da quella proposta da Galli. Pazienza.
D’altra parte “I calunniatori dovrebbero chinare il capo e chiedere scusa”. Meglio se con un po’ di cenere.

(Per una critica più puntuale rimando ad Aioros e lo ringrazio per la sua infinita pazienza.)

Un rene in vendita

Comprare un rene nuovo (Ho comprato un rene in Nepal, di Alessandro Gilioli, l’Espresso, 17 maggio 2007) richiede qualche giorno e pochi soldi. Tra la povertà assoluta dei venditori e le cliniche di lusso in cui al ricevente viene cambiato il pezzo rotto.
Per aiutare Deepak.

3 obiezioni sul testamento biologico

Padre Giorgio Carbone, professore di bioetica alla facoltà teologica di Bologna, si esprime sulla abissale differenza che ci sarebbe (secondo lui) tra il consenso informato e il testamento biologico (Sul testamento biologico incombe il disco rosso della Chiesa, Il Riformista, 19 maggio 2007).
Con il consenso informato (prassi consueta e secondo la Chiesa legittima) qualsiasi persona che sia già ammalata può chiedere, d’accordo col suo medico, che non gli vengano in futuro riservate terapie invasive o gravose o qualsiasi tipo di accanimento terapeutico. Ma il medico che lo ha in cura ha comunque il diritto-dovere di interpretare i desideri del paziente in quanto durante la terapie egli può giudicare che per il bene del paziente è opportuno agire in altro modo». Mentre «con il testamento biologico le cose cambiano. Infatti, si prevede che qualsiasi persona oggi sana possa scegliere di rifiutare qualsiasi tipo di cura nel caso che in un futuro prossimo o remoto si trovi a dover affrontare una malattia grave che non le permetta più di esprimere la propria volontà. Cosa dire in merito? Innanzitutto la prudenza che nasce dall’esperienza della vita concreta può fare tre obiezioni.
Primo: nessuna persona sana e nel pieno possesso delle facoltà mentali può sapere cosa si prova quando si è colpiti da una malattia incurabile e si è entrati nella fase avanzata. Chi scrive le dichiarazioni è estraneo al vissuto della malattia. Perciò, invocare il principio del consenso informato per giustificare le dichiarazioni anticipate di trattamento rischia di essere fuorviante. Secondo: nessuno può prevedere con certezza quali saranno i progressi scientifici e medici nella diagnosi e nella cura di una particolare malattia. Terapie oggi penose per il malato, domani grazie ai progressi della tecnica potrebbero essere praticate con minori oneri. Perciò, le dichiarazioni rese oggi per un futuro prossimo o remoto potrebbero diventare imprecise o fuori luogo. Terzo: non è detto che le volontà che io oggi esprimo corrispondano esattamente a ciò che io desidererò quando sarò colpito da una malattia grave. Potrei aver cambiato idea e non aver avuto il tempo di manifestarlo».
Primo: l’obiezione che richiama un problema filosofico di identità personale potrebbe essere brandita contro ogni tipo di testamento ma anche contro ogni tipo di contratto che prevede una validità futura e che travalica temporalmente il momento della firma (il testamento patrimoniale o il preliminare per l’accordo di una casa: si è estranei, al momento in cui si stipula il contratto o si sigilla il testamento, al vissuto del momento che quegli accordi includono: la propria morte o il possesso di una nuova casa). In conclusione, l’estraneità alla malattia futura non è una ragione sufficiente per invalidare la possibilità di dichiarare oggi quali trattamenti desidero per domani in cui forse non sarò in grado di farlo.
Secondo: sembra azzardato immaginare progressi tanto rilevanti da trasformare significativamente lo scenario decisionali. Tuttavia, pur ammettendo la possibilità di un progresso medico tanto repentino, questo tipo di argomento varrebbe anche per le persone che non ricorrono al testamento biologico perché sono in grado di esprimere la propria volontà. Anche in questo caso si potrebbe rispondere loro che il progresso medico potrebbe avanzare a tal punto che la loro eventuale decisione (oggi per oggi) di rifiutare un trattamento o un farmaco è imprecisa e fuori luogo. Questa obiezione, tra l’altro, inficerebbe anche il consenso informato sul quale Carbone, con il conforto della Chiesa, aveva manifestato accordo.
(Buffo che ci si giochi la carta del progresso medico e scientifico per demolire il testamento biologico no?)
Terzo: è un po’ una ripetizione del primo argomento. Si dimentica però di indicare le alternative: se è vero che io posso cambiare idea. È pur vero che le mie idee future e “cambiate” saranno più vicine alle mie idee precedenti di quanto non potrebbero essere le idee di altri individui – medico, parenti, amici. Pertanto, pur nella imperfetta coincidenza, sembra preferibile dare maggiore peso alle idee del soggetto direttamente coinvolto, anche se ha espresso le proprie volontà rispetto ad una condizione di malattia quando era sano (il non avere avuto il tempo di manifestarlo mi sembra ai limiti del ridicolo e del pretestuoso).

venerdì 18 maggio 2007

Lettera aperta di Marco Cappato a proposito di Giovanni Nuvoli

Alghero, 18 maggio 2007
A:
Livia Turco, Ministro della Salute, Franco Marini, Presidente del Senato, Fausto Bertinotti, Presidente della Camera, Ignazio Marino, Presidente della Commissione Igiene e Sanità, Mimmo Lucà, Presidente della Commissione Affari Sociali, Angelo Bagnasco, Presidente della CEI, Cardinale Xavier Barragan, Renato Soru, Presidente della Regione Sardegna, Professor Umberto Veronesi, Francesco Paolo Casavola, Presidente del Comitato Nazionale di Bioetica, Paola Binetti, Senatrice e membro del comitato di Scienza e Vita, Savino Pezzotta, e Eugenia Roccella organizzatori del Family Day.
Vi chiedo e vi chiediamo, anche formalmente, di esprimere le vostre valutazioni, di confrontarci, se ritenete, anche incontrandoci. Vi chiediamo, di fronte all’urgenza della richiesta, di corrispondere con l’urgenza della coscienza e di ogni coscienza così interpellata. La vostra valutazione sarà, crediamo, utile innanzitutto a Giovanni Nuvoli. Ci pare infatti importante che chi si assume la responsabilità di esprimersi lo faccia rivolgendosi anche a lui, rispetto a ciò che innanzitutto lui dovrà a questo punto decidere.

I mali del mondo

Chiara Saraceno (Monsignore si dia una calmata, La Stampa, 17 maggio 2007):
È difficile provare rispetto ed avere attenzione per chi confonde terroristi e violenti veri e persone che, assumendosene tutta la responsabilità e talvolta la sofferenza, compiono scelte eticamente motivate, ancorché in modo difforme dalla morale cattolica. Per chi, tra l’altro, non distingue neppure, dal punto di vista della gravità rispetto al suo stesso concetto di morale, tra aborto e convivenza senza matrimonio, tra eutanasia e approvazione dei Dico e ritiene (contro le stesse più recenti acquisizioni della Chiesa) che l’omosessualità sia uno stile di vita, e non una condizione umana in cui ci si trova a nascere e vivere. Perciò teme, un po’ grottescamente, che se si riconoscessero le coppie omosessuali nessuno più farebbe coppie (e matrimoni) eterosessuali. È una visione senza sfumature e senza distinzioni, oltre che senza rispetto. Per questo è intimamente violenta oltre che intellettualmente rozza.
Da leggere tutto.

E se lo dice il poeta...


Davide Rondoni (Il popolo del passeggino e la sua forza prepolitica, Avvenire, 18 maggio 2007):
Chi ha un passeggino non ha un’idea, ha una bocca da sfamare. Ha un amore da compiere. Un dolore da temere, un futuro da tremare. Ridurre tutto questo a lotta politica è banale, è becero.
Mancate rime a parte (ma mica vorremmo ridurre la poesia alle fanciullesche rime, alle filastrocche impomatate, agli accordi adatti ad orecchie poco raffinate?) sembra che si voglia lasciar intendere che un essere umano non possa fare due cose insieme (non necessariamente contemporaneamente): sfamare un infante e possedere del raziocinio, essere un genitore ed un animale pensante. Tutto sommato c’è chi non riesce a fare nemmeno una cosa da sola. Di cosa ci lamentiamo?
Addirittura accusare di portare i bambini a una manifestazione per la famiglia (mica per la pace in Darfur o per lo spinello libero) è un capolavoro di fibrillazione cerebrale.
La fibrillazione cerebrale suddetta (condivisibile o meno) potrebbe riguardare il fatto di portare bambini ad una manifestazione non in base all’oggetto della manifestazione, ma per il fatto stesso di portarceli. Condivisibile o meno, appunto, ma non perché si manifesta “per la famiglia” automaticamente tutti i componenti familiari fanno parte a pieno titolo della manifestazione. Chissà che cosa ne penserebbero i bambini trascinati nella folla sbandierante. Qualcuno ha provato a chiederglielo?

Crimen Sollicitationis



Qui una versione più lunga (documentario della BBC, 29 settembre 2006).

Il popolo presente del Family Day


Eugenia Roccella (Pezzotta: «Il tesoretto deve andare alle famiglie», Il Giornale, 18 maggio 2007):
Qualcuno si aspettava le orde barbariche e invece erano famiglie e bambini: una maggioranza che però si continua a trattare come una minoranza […] si è detto tanto sull’astensione al referendum sulla legge 40. Ora quel popolo considerato assente si è fatto vedere, ha mostrato di esistere e non può più essere dimenticato.
I barbari sono riferimenti continui ultimamente. Giuseppe Betori, ora Eugenia Roccella. Chissà come si contagiano tra di loro. Quanto ai numeri e alle proporzioni, sorge il dubbio che Eugenia Roccella abbia una formazione esclusivamente umanistica.
A detta degli stessi organizzatori a San Giovanni vi sarebbero stati un milione e mezzo di manifestanti. Rispetto a quale numero sarebbe una maggioranza? E questo milione e mezzo sarebbe tutto il popolo che al referendum sulla legge 40 non si è fatto vedere? Ma per favore: sullo statuto dell’embrione si può provare a mischiare le carte, ma sui numeri è più difficile.

mercoledì 16 maggio 2007

Angeli custodi


Don Marcello Stanzione, promotore della Terza edizione del Meeting sugli Angeli (Con una riflessione sui mistici si riaccende l’interesse per gli Angeli custodi, Zenit, 16 maggio 2007):
La scienza teologica che si studia nelle Facoltà ovviamente fa bene a basarsi sull’intelletto che è importante, anzi indispensabile, ma attenzione a non cadere nel razionalismo teologico, quello per intenderci, che quando si parla di Angeli fa una scrollatina di spalle per affermare: “Sì, gli Angeli esistono, ne parla la Bibbia e il catechismo, ma noi non ne sappiamo troppo, in effetti essi sono poco importanti, e quindi a noi non interessano…”.

Capitano Prisco Mazzi avvisa!

Il mittente è “Polizia di Stato” o “Prisco Mazzi [Polizia]” e l’oggetto è “Avviso” seguito da un codice numerico di 11 cifre. Il testo è infarcito di errori grammaticali e intimidatorio, soprattutto per chi qualche canzone da internet l’ha scaricata. L’avviso riguarda una presunta verifica compiuta dalla Polizia di Stato, avverte il capitano Mazzi, sul computer di chi ha ricevuto la mail: il reato sarebbe la violazione dei diritti d’autore per avere scaricato file MP3. Segue un numero di registro e un allegato (che è un virus!) da scaricare e leggere. I destinatari sembrano essere già migliaia e il dirigente della Polizia Postale Marcello La Bella, quello vero, avverte che la Polizia non è responsabile dell’invio e che si stanno cercando i responsabili. Sembra che il messaggio sia transitato su un server proveniente dalla Corea del Sud. Si invita anche a non fare più segnalazioni alla Polizia, la cui posta e i cui telefoni sono intasati per le proteste di quanti sono stati accusati di un reato bufala. Un ennesimo virus, insomma, ai danni degli utilizzatori della posta elettronica, che aggira alcuni antivirus e che è dannoso soltanto per Windows. Chi fosse caduto nella trappola aprendo l’allegato è stato contagiato e deve correre ai ripari.
Ma è senza dubbio singolare la soluzione proposta nella mail stessa per sottrarsi alla punizione: impegnarsi a non visitare più siti illegali e a non trasgredire i diritti d’autore. Se hai messo le dita nella marmellata, ma prometti di non farlo mai più, sarai assolto. Sarebbe potuto bastare questo per insospettirsi circa l’autenticità dell’avviso…

lunedì 14 maggio 2007

Sacra famiglia o sacra rota: tertium non datur


Nel Codice di Diritto Canonico (Titolo VII, Il matrimonio, Can. 1056) si legge: “Le proprietà essenziali del matrimonio sono l’unità e l’indissolubilità, che nel matrimonio cristiano conseguono una peculiare stabilità in ragione del sacramento”. Tuttavia esistono impedimenti e ragioni per invalidare il matrimonio stesso. I processi di nullità matrimoniale (il cosiddetto annullamento) sono affidati ai Tribunali Ecclesiastici competenti, costituiti quasi esclusivamente da giudici sacerdoti, che hanno l’incarico di giudicare nullo un matrimonio, ovvero come mai esistito. L’eventuale pronunciamento deve poi essere confermato da un Tribunale Ecclesiastico d’Appello. Per avere validità nell’ordinamento italiano la sentenza deve essere delibata. Dal sito Sacrarota.net, “dedicato alla conoscenza ed all’approfondimento di questioni riguardanti il Diritto Matrimoniale Canonico, una materia che per diverse ragioni merita un approccio meno superficiale di quello che solitamente si ottiene”, si viene a sapere che la Chiesa è molto preoccupata per la profonda crisi del matrimonio in Italia, crisi evidente visti i numeri di separazioni e divorzi. La Chiesa, si legge poco oltre, si pone un duplice problema rispetto al matrimonio: il primo riguarda la preparazione dei fidanzati che desiderano sposarsi. Il secondo problema è quasi spassoso: “Si deve poi cercare di restituire serenità e speranza a coloro i quali sono già passati attraverso le dolorose esperienze della separazione e del divorzio”: ovvero, l’annullamento come rimedio alla crisi matrimoniale. “Non sfugge dunque come la questione della validità giuridica del matrimonio sia da considerare di primaria importanza, perché un’eventuale dichiarazione di nullità può sanare definitivamente il disagio morale, religioso e psicologico di una persona separata, divorziata o risposata civilmente”.
Le conseguenze giuridiche e pratiche sono significative: “sarà possibile sposarsi in Chiesa come fosse la prima volta, tornare a ricevere i Sacramenti; sotto il profilo giuridico, possono venire a cessare gli obblighi di contribuzione dell’assegno di mantenimento per il coniuge, come previsto invece nella separazione dichiarata dal Tribunale Civile; scompaiono eventuali diritti ereditari a favore del coniuge separato. In ciò la nullità di matrimonio si distingue dal divorzio (o meglio, dalla “cessazione degli effetti civili” del matrimonio concordatario) in quanto la sentenza ecclesiastica dichiara il matrimonio “mai esistito” (cessano gli effetti giuridici ex tunc, ossia dall’inizio), mentre la sentenza civile dichiara cessati gli effetti giuridici ex nunc (dalla sentenza in poi)”. La procedura di annullamento si avvale dell’intervento di periti psicologi: cosa chiedono coloro i quali desiderano rendere mai esistiti i loro matrimoni, magari durati decenni e magari con 2 o 3 figli? Al di là delle possibili ricadute civili o delle dispute teologiche sul valore di un sacramento e sulla possibilità di renderlo mai celebrato, come giudicare la possibilità di una simile eccezione alla sacralità e inscindibilità della famiglia e quale significato psichico attribuirle? Ne parliamo con un perito, chiamata dalla parte richiedente l’annullamento a testimoniare le ragioni della richiesta. Psicoterapeuta, esperta di separazione e divorzi, spesso impegnata in consulenze tecniche nell’ambito di procedimenti giuridici, talvolta è stata consultata anche per le procedure di annullamento.

Tre casi

Due casi sono stati portati a termine con il riconoscimento dell’annullamento per immaturità di uno dei due coniugi.
Nel primo caso si trattava di una coppia di ventenni che si erano sposati per l’attesa di un figlio. L’aspetto interessante è che i coniugi si erano separati civilmente dopo un anno dalla nascita del figlio, “esprimendo una sorta di immaturità, ma la richiesta di annullamento è stata fatta circa 10 anni dopo, se non di più, quando la signora voleva riformare una propria famiglia e quindi annullare questo errore passato e fare finta che la nuova esperienza fosse del tutto regolare”. Dopo l’annullamento, ha contratto un secondo matrimonio e sono nati altri due figli. Il figlio della prima unione si è dovuto confrontare con una esperienza difficile, e una frase pronunciata per caso prima dell’avvio della procedura può essere citata ad esempio del suo vissuto: “Ma questo vuol dire che io non sono figlio vostro?”. In altre parole, tenendo fermo il significato religioso del matrimonio, si rischia di considerare il figlio di un annullamento come un figlio di nessuno.
Il secondo caso è simile, ma ancora più discutibile perché “una coppia giovane, ma che aveva affrontato dal punto di vista psicologico tutte le fasi del ciclo vitale (il fidanzamento, il desiderio di metter su famiglia, la nascita di una figlia) si è separata quando la figlia aveva 3 anni”. Il matrimonio era fallito per alcuni comportamenti psicopatologici di lui, e c’era stata una separazione civile. A quel punto la signora, in base al fatto che lui sembrava essere “cambiato” dopo il matrimonio, ha voluto annullare questa sua esperienza dichiarando se stessa immatura. Il matrimonio sarebbe fallito perché il marito era problematico, ma lei per ottenere l’annullamento ha dichiarato di essere immatura e quindi incapace di valutare le caratteristiche della personalità del marito. “Come se il richiedente facesse una autoaccusa (“è lui matto, ma io non ho capito, dunque sono io ad essere immatura”). Dal punto di vista clinico non è verosimile, perché le condizioni precedenti alla crisi non possono essere invocate alla luce di quanto accaduto solo in seguito”. La valutazione del perito, in questo caso, non si è avvalsa di test psicologici, ma di una valutazione e di un’analisi clinica dalle quali emergeva che la signora al momento del matrimonio era maggiormente motivata dal rendersi autonoma dalla famiglia d’origine, che promuoveva una forte dipendenza, piuttosto che dal desiderio di sposarsi. Questo fu il criterio per valutare la sua immaturità: la spinta al matrimonio era stata quella di uscire di casa, ma “questo accomuna milioni di persone, quindi dovremmo annullare milioni di matrimoni?”.
Nel terzo caso, in corso, è sempre il richiedente che si autoaccusa di immaturità per annullare il matrimonio, ma dopo una convivenza durata più di 12 anni e 2 figli. La crisi coniugale avviene dopo la nascita dei figli, con una conflittualità distruttiva che ha provocato una separazione giudiziale che dura da 8 anni, in cui la signora ha progressivamente manifestato un grave disturbo di personalità (dalla crisi in poi). Durante la procedura civile la perizia psichiatrica non aveva rilevato disturbi psichici. In questo caso il richiedente vuole sostenere che al momento del matrimonio non si era reso conto di non avere i presupposti di maturità necessari a una coppia per affrontare il progetto familiare. Se ci fossero stati, lui si sarebbe certamente accorto che la moglie era potenzialmente pazza (in contrasto con la diagnosi psichiatrica). Dal punto psicologico “la stessa parola annullamento è contraria ai nostri principi per aiutare le coppie che si separano. Il principio è aiutare ad elaborare il divorzio psichico e quindi a recuperare i motivi validi per cui è stata affrontata quella scelta; e aiutare a maturare una consapevolezza dei limiti dell’unione che spiegano il suo fallimento”. Una persona che segue un percorso simile può sperare di affrontare una nuova unione su presupposti diversi, per un matrimonio migliore. “L’annullamento dal punto di vista psichico è un sintomo psicologico, paragonabile a un meccanismo di difesa patologica, al tentativo di annullare una esperienza che ti mette in crisi, senza crescere sulla crisi”. Con l’eccezione di quei casi (“anomali” rispetto alle richieste di annullamento) in cui dopo pochi giorni emergono elementi tanto rilevanti da minare l’accordo matrimoniale stesso. “Ma la richiesta dopo la nascita dei figli è quasi improponibile, perché la crisi evolutiva determinata dal progetto di fare figli è tanto impegnativa che, se le persone fossero immature, si rivelerebbe durante la gravidanza (e così accade nella quasi totalità dei casi). Mentre questi sono casi in cui dopo anni e anni…”. Insomma, chiedere l’annullamento è un sintomo dell’assenza del senso di realtà. L’annullamento contrattuale potrebbe avere un senso (a causa di un inganno, o di una frode volontaria – e lo psicologo qui non serve!), ma non la negazione dell’esperienza umana vissuta. Inoltre chi chiede l’annullamento “se ne frega della famiglia di prima con gli eventuali figli; e prova a rendere nulla la famiglia precedente per conferire validità a quella successiva. E gli ex figli diventano residui di qualcosa che è nulla, perché la vera famiglia è quella fatta dopo l’annullamento”.

(Su Agenda Coscioni, II, 5 con il titolo Sacra rota di scorta)

venerdì 11 maggio 2007

Un test per tutti


È uno di quei fenomeni che anche a volerlo riprodurre non ci si riuscirebbe. Ma nemmeno a volerlo intensamente e con caparbietà, come diceva l’Alfieri. Devi rassegnarti e aspettare che una spontanea epifania allieti le tue giornate.
Ecco qua, per oggi avevo in arretrato la dichiarazione di ieri del nostro beniamino Luca Volontè (Incidenti stradali: Volontè, per p.a. e politici test antidroga obbligatori, Noi Press, 10 maggio 2007):
Dinanzi alla tragedia di Vercelli non possiamo fermarci al solito pietismo piacevole. È ovvia la nostra triste partecipazione al lutto, come la vicinanza alle famiglie delle vittime, ma è giunta l’ora di fare un salto di qualità chiaro e drastico: è indispensabile rendere obbligatorio per tutti i lavoratori della pubblica amministrazione e per tutti i politici di ogni ordine e grado un test antidroga, con cadenza almeno trimestrale, i cui esiti positivi siano condizione per il licenziamento o per la decadenza della carica.

Non è oltremodo tollerabile […] che su questi temi proseguano i farfugliamenti confusi da parte dei politici della maggioranza, ragion per cui è ancora più opportuno accelerare con la massima urgenza i tempi di approvazione della proposta di legge Casini.

Inoltre […] invitiamo il ministro Amato a presentare, dopo mesi di annunci, il suo provvedimento nelle aule parlamentari augurandoci che nel confronto tra governo e sindacati sulla p.a. venga introdotta la clausola della obbligatorietà del test antidroga come uno degli elementi che misurino sia il merito che l’efficienza.
Caro il nostro Volontè, premuroso e rigoroso. Soltanto un suggerimento, come integrazione al controllo degli effetti delle eventuali droghe assunte sull’attenzione (perché di questo si tratta giusto? non di un controllo meramente punitivo, ma di un controllo finalizzato a misurare la capacità di affrontare i compiti e gli incarichi affidati) sarebbe necessario aggiungere un controllo sul livello di intelligenza (da una brutale e discutibile valutazione del QI a test più complessi). Già, perché anche una carenza di intelligenza è rovinosa per l’attenzione, i riflessi, insomma la possibilità di prevenire sgradite conseguenze.
E, a dirla tutta, potrebbe esserci qualcosa di peggio di un autista strafatto alla guida di un mezzo…

giovedì 10 maggio 2007

Liberi di morire

Il dibattito sull’eutanasia è difficile e troppo spesso caratterizzato da irrazionalità e confusione. Leggere può essere utile, a patto che ci si imbatta in letture chiarificatrici.
Come il nuovo libro di Derek Humphry, “Liberi di morire. Le ragioni dell’eutanasia” (Elèuthera, 2007), che si apre con una ricostruzione delle normative nel mondo e che poi affronta la maggior parte delle questioni legate all’eutanasia e alle decisioni di fine vita. Humphry è uno dei fondatori della Hemlock Society (1980) e da anni è impegnato in una battaglia che sarebbe ingeneroso definire per la morte. Piuttosto una battaglia per la libertà di scelta. Questo è forse il cuore del suo pensiero: in presenza di una grave malattia le persone dovrebbero poter scegliere se e quando morire, ovvero di interrompere una sofferenza divenuta intollerabile. L’importanza attribuita da Humphry alla libertà emerge con prepotenza nel racconto di come ha aiutato a morire la sua prima moglie, colpita da un tumore mortale a soli quarantadue anni. «Vorrei non aver dovuto aiutare Jean a morire»: poche parole per sintetizzare il doveroso rispetto per una richiesta terribile. Jean era lucida, condannata ad atroci sofferenze e aveva chiesto al marito di anticipare una morte imminente e ineluttabile.
Come ignorare la sua richiesta? Come risponderle di continuare a soffrire?
Domande che nessuno vorrebbe sentirsi fare, ma voltarsi dall’altra parte non rientra tra le soluzioni. Ignorare la morte non la elimina. Ma relega in una solitudine ancora più dolorosa chi è già tormentato dalla paura e dalla malattia.

(Oggi su E Polis con il titolo La vera libertà è decidere la propria fine)

martedì 8 maggio 2007

Tutti in treno al Family Day

Rilancio un comunicato stampa di Vincenzo Donvito, presidente dell’Aduc («Riassetto ferrovie regalando sconti a chiunque?», 8 maggio 2007):
È di alcuni giorni fa l’approvazione da parte del Governo di un piano di riassetto delle ferrovie che prevede, tra l’altro, aumenti delle tariffe fino al 35% in più. E proprio oggi il presidente del Consiglio Romano Prodi dice che il trasporto ferroviario per i pendolari è da terzo mondo.
In occasione della manifestazione Family Day organizzata per il 12 maggio, sul sito del Forum Famiglia (al seguente link) è possibile scaricare una credenziale da consegnare alle biglietterie delle stazioni ferroviarie di tutta Italia per comprare un biglietto di A/R con destinazione Roma con una tariffa standard scontata del 20%, valido per viaggiare dal 11 al 13 maggio 2007. Secondo le informazioni fornite sul sito e dall’operatore del call center (06.689.6930) la credenziale scaricabile in pdf dal sito e da consegnare in biglietteria non è nominativa e per essere valida non ha bisogno di alcun tipo di autorizzazione da parte dell’organizzazione della manifestazione. È dunque possibile per chiunque voglia recarsi a Roma dall’11 al 13 maggio usufruire di uno sconto del 20% sul biglietto ferroviario esclusivamente stampando e consegnando la credenziale alla biglietteria.
Oltre a consigliare di scaricarsi il pdf a coloro che si recheranno a Roma per l’altra e contrapposta manifestazione organizzata nella stessa data per l’“Orgoglio laico”, ci domandiamo se il metodo di Trenitalia debba essere considerato come quello della svolta per il risanamento economico di tutto il gruppo. Lo domandiamo al ministro dei Trasporti Alessandro Bianchi e lo facciamo presente a chi nel Governo ha preso sul serio il piano di risanamento delle Ferrovie.

I limiti insuperabili di Rav Di Segni

Da un articolo del rabbino capo di Roma, Riccardo Di Segni, che sarà pubblicato nel numero di maggio di Shalom a p. 19 e che è stato in parte anticipato alle agenzie di stampa:
secondo la Torà gli ebrei devono osservare 613 regole, ma questo non vuol dire che i non ebrei non debbano avere alcuna regola, perché in realtà le hanno anche loro, inquadrate in sette capitoli fondamentali (i cosiddetti precetti Noachidi), ed è nostro dovere come ebrei indurre i non ebrei a rispettare le loro regole. Come questo si possa realizzare è difficile dirlo, certo è che non possiamo rimanere indifferenti al superamento di determinati limiti, acconsentendo per esempio che la legge dello Stato ammetta l’omicidio, il furto, l’incesto. L’argomento di cui ora si dibatte rientra per certi suoi aspetti (non le convivenze in generale, quanto specificamente le coppie omosessuali maschili) in limiti ritenuti insuperabili.
Metti la «ragione», che per gli integralisti cattolici coincide nelle sue conclusioni sempre al millesimo con le ubbie della Chiesa, al posto dei più ingenui precetti Noachidi (che stanno invece nel Talmud: Rav Di Segni ancora non ha capito che almeno l’apparenza della laicità è necessaria...); togli un distinguo un po’ bizzarro (verso le coppie omosessuali femminili il Rabbino Capo è di manica più larga, a quanto pare); e otterrai l’essenza del discorso dell’arcivescovo Bagnasco, poi in parte rimangiato. Calpestare la laicità e i diritti degli omosessuali, a quanto pare, accomuna le religioni monoteistiche quasi quanto la comune discendenza da Abramo... (ma Elio Toaff, credo, non avrebbe usato le parole del suo successore).
Rimaniamo fiduciosi in attesa delle prevedibili, opposte, reazioni, che eviterò di qualificare come pure meriterebbero: «Eppure loro [cioè gli Ebrei, in toto] dovrebbero sapere cosa significa essere perseguitati!» e «Tutti addosso a monsignor Bagnasco, ma quando un rabbino dice le stesse cose, nessuno protesta!».

lunedì 7 maggio 2007

Giro di vite

Tre giorni fa Malvino ci metteva in guardia contro una tentazione censoria che comincia a profilarsi, e a minacciare la Rete. L’occasione gliela offriva Gianni Baget Bozzo, che in una lettera al Foglio dello stesso giorno così scriveva, suscitando il consenso del direttore:
Il meccanismo terrorista nasce dalla potenza della parola, è la parola che arma la mano ed è la parola che costruisce un accorporamento di uomini. E oggi la parola può rivolgersi a tutti mediante quello strumento universale di comunicazione che è Internet. Il terrorismo degli anni Settanta è stato preparato dagli anni del Sessantotto. Lei tende a sottovalutare la potenza della parola e la responsabilità di quelli che la usano.
Oggi Baget Bozzo torna alla carica, questa volta dalle pagine della StampaSulla chiesa corre veleno via internet», 7 maggio):
Forse vi è qualche ragione per cui l’Osservatore Romano ha usato un termine così inaudito come «terroristi» per descrivere gli attacchi contro il cristianesimo e contro la Chiesa compiuti in Internet e manifestati, con inattesa violenza, dal conduttore del 1º Maggio sindacale. Forse è più il messaggio che corre in Internet a preoccupare la Santa Sede che la definizione di ladroni data per obliquo alla Chiesa in Piazza San Giovanni. Internet è divenuto una sorta di coscienza diffusa, in cui ciascun utente è portatore e recettore di messaggi potenzialmente mondiali. E tutta la struttura della protesta in Italia usa Internet da molto tempo, non solo come mezzo di messaggi, ma come organizzazione di fatti e di rapporti collettivi.
La sede, stavolta, è autorevole (o meno becera, comunque), l’accusa comincia a prendere forma, ad articolarsi in teorema. Occhio, concludeva Malvino. Occhio, concludo io.

I lunedì al Ministero della Salute

In occasione della presentazione del libro curato da Paola Binetti Una storia tormentata. Il desiderio di maternità e di paternità nelle coppie sterili (Magi, 2007) Livia Turco ha dichiarato a proposito della legge 40 e della possibilità di riaprire il dialogo (Procreazione. Turco ‘presenta’ Binetti: legge 40, riparta dialogo “incontri al ministero ogni lunedì”; libro dell’esponente dl., DIRE, 3 maggio 2007):
Proviamoci. Vogliamo riprendere il dialogo, vogliamo ripartire? Allora dobbiamo individuare un luogo informale, non le commissioni parlamentari né quelle ministeriali, in cui discutere in modo libero, senza la preoccupazione dell’urgenza di un provvedimento, senza ideologie. Ma uno spazio ci deve essere. […] La legge 40? Sono terrorizzata nel parlarne, temo scoppi di nuovo la polemica, che nascano equivoci. […] Serve un luogo libero in cui ciascuno si metta in gioco per ripartire col dialogo. Serve una rottura di metodo. […] Decidiamo, mi piacerebbe un lunedì al mese, potremmo fare degli incontri, di donne, al ministero. Potremmo partire dai dati della relazione sull’attuazione della legge. Do la mia disponibilità.
Perfetto. Un bel gruppo di autocoscienza, ove l’unico spazio sarebbe quello delle lamentele perché di soluzioni nemmeno se ne parla. Se una coppia portatrice di una malattia genetica si presentasse un lunedì che cosa potrebbe ottenere? Una assoluzione per avere pensato di andare all’estero?

Sulle linee guida e sul loro fantomatico aggiornamento:
Si può scegliere la via burocratica. Ma è il modo migliore, più produttivo?
Non avrebbe potuto scegliere un aggettivo meno appropriato!

Sul libro di Paola Binetti:
Un libro importante, con una grande nettezza di pensiero, ma anche un atteggiamento forte di dialogo.
Aspettiamo di saperne di più per commentare la nettezze di pensiero e la disponibilità al dialogo.

Stufi del vecchio

Pierferdinando Casini commenta la vittoria di Sarkozy (Casini: anche gli italiani sono stufi del vecchio, ufficio stampa UdC, 7 maggio 2007):
I francesi hanno voluto cambiare. E anche in Italia non è questione di Berlusconi o meno, gli italiani non ne possono più, sono stufi del vecchio.
Nato nel 1955, inizia la sua carriera politica nel 1980 con la Democrazia Cristiana. Che cosa intenderà con vecchio?
Non basta un giubbotto di pelle per ringiovanire.

sabato 5 maggio 2007

Un Hatù per Volontè

Luca Volontè scrive a proposito della presenza di Andrea Rivera sul palco di San Giovanni («L’insulto alla Chiesa e al Papa una vergogna tutta italiana», Il Gazzettino, 4 maggio 2007, p. 15):
Ci sarebbe da chiedersi cosa ci facesse lì, uno come lui. Poco noto, per nulla originale e tutto fuorché comico. Forse che lavorare in ruoli di ultimo piano dalla Dandini sia un Hatù per far carriera?
Aiutatemi: ho un gravissimo dubbio. Quell’«Hatù» è un gioco di parole con atout? Sembrerebbe di no, in fondo che ci azzecca una marca di preservativi col far carriera? Allora è uno strafalcione dell’Onorevole capogruppo? Ci siamo abituati, è vero, però questo dimostrerebbe che il nostro Luca ha meno dimestichezza con l’ortografia francese (e con le regole della briscola, e con quelle del bridge) che con... No, non è possibile. Dev’essere una battuta che non riesco ancora a capire. È per forza così. Sono sicuro. Sì.

I video di Rignano

Sulla Repubblica di oggi Carlo Bonini riporta la trascrizione dei video girati dai genitori dei bambini di Rignano Flaminio («Rignano, video-choc dei bambini. “Fai vedere il gioco della scuola”», 5 maggio 2007, p. 21; attenzione, non adatto a chi si impressiona facilmente). E annota:
Abbiamo visto entrambi i video. La trascrizione dei loro passaggi salienti è sufficiente perché ognuno possa giudicare se, come e fino a che punto le sollecitazioni dei genitori hanno formato e indirizzato il racconto dei loro bambini. Se i loro racconti sono sufficienti a rispondere con certezza a una domanda: chi e come ha esposto questi bimbi a un’esperienza sessuale che non è e non può essere della loro età?
Sì, se le ‘prove’ sono tutte qui, è sufficiente. Tristemente sufficiente. Mi aspetto – di nuovo, se le prove sono soltanto queste – che il tribunale del riesame disponga prossimamente la liberazione di tutte le persone incarcerate.

Francesco Agnoli e il brodino primordiale

Forse non tutti sanno che Francesco Agnoli, oltre agli articoli per Il Foglio, esercita una fitta attività pubblicistica, che comprende tra l’altro diversi volumi. La sua ultima fatica, scritta in collaborazione con Alessandro Pertosa (collaboratore della rivista Controrivoluzione e del Settimanale di Padre Pio), si intitola Contro Darwin e i suoi seguaci (Nietzsche, Zapatero, Singer, Veronesi...), Verona, Fede & Cultura, 2006. Per l’edificazione dei lettori di Bioetica ne riporto alcuni passi, scelti tra i più originali dell’opera, a cui ho aggiunto titoletti esplicativi.

Attenzione, non commestibile!
«Se tutto provenisse da uno schifosissimo brodino primordiale […]» [p. 16].

Grazie per averci dato ragione
«Lo slogan sulla necessità di “non porre limiti alla scienza”, è sciocco: la scienza umana è ontologicamente limitata, senza bisogno che nessuno vi ponga, dal di fuori, limiti ulteriori» [p. 16].

Quel maledetto snob
«Nell’esporre la sua ipotesi di un evoluzionismo trasformista, infatti, Darwin non solo ignora i meccanismi dell’ereditarietà, al punto di non degnarsi neppure di leggere uno scritto inviatogli dal povero monaco Gregor Mendel […]» [pp. 22-23; prima di questa clamorosa scoperta del duo Agnoli-Pertosa, i custodi della biblioteca personale di Darwin non erano riusciti a trovare traccia tra le sue carte di alcuno scritto o comunicazione di Mendel].

Giochi di parole
«Cosa fa Darwin? Attribuisce tutto a tre fattori “vaghi e indefiniti”, e per questo poetici assai, come […] il tempo, che sembra assumere lo stesso ruolo delle fate con bacchetta magica (fa tutto, proprio tutto, basta che gli si lasci... tempo...)» [p. 25].

Citazioni
«Quos Deus perdere vult, demendat» [sic; p. 38].

Il pensatore a vapore
«Non è cioè compatibile con la nostra Fede, né con l’intelligenza, ritenere, come già facevano nell’Ottocento pensatori darwinisti, che il cervello sia solo una macchina a vapore» [pp. 50-51].

Chi tutela chi?
«“Che piaccia o no – si dice in Spagna in questi giorni – gli esseri umani sono grandi scimmie”, e come tali devono essere tutelate in modo particolare (cioè più degli umani)» [p. 55].

No alle mutazioni dominanti
«Aggiunge Daniel Raffard de Brienne: […] Perché ci sia modificazione è necessario l’incrocio tra individui della stessa specie portatori della stessa mutazione» [p. 68, n. 26].

venerdì 4 maggio 2007

Del relativismo e altri insulti

Alcune parole vengono svuotate del significato originario e umiliate da un’interpretazione forzata e ingenerosa. Una di queste è senza dubbio “relativismo”. Dire a qualcuno “sei un relativista” è, sulla bocca di molti, sinonimo di un insulto bello e buono.
Benedetto XVI ha dichiarato guerra al relativismo morale e culturale. Rappresentanti caricaturali di un pensiero aconfessionale hanno appeso al chiodo relativismo e laicità, come scarpette ormai consumate. Per non parlare dello spirito che anima quel bizzarro appuntamento che si chiama “Family day”: di famiglia ce n’è una sola, nessuno spazio al relativismo (familiare)!
È utile ricordare che in campo morale non esiste una Verità, e che ognuno, in assenza di danni a terzi, dovrebbe legittimamente scegliere come vivere, secondo le proprie preferenze. Nessuna imposizione di un punto di vista, ma la libertà di scelta affidata alle persone: questo è il relativismo.
E mai dimenticare che l’alternativa si chiama oppressione, tirannia, dogmatismo. Si chiama abuso e violazione delle libertà individuali. La tentazione di redimere le pecorelle smarrite in nome di valori assoluti è irresistibile: liberati dal presunto errore gli uomini saranno schiavi. Schiacciati da una Verità morale scelta da altri.
Chi vuole scegliere liberamente e rispettare le scelte altrui non può non dirsi relativista. Questo è il senso di una iniziativa relativista, il “Families night” (non sfugga il plurale) prevista per la notte dell’11 maggio: una candela a sostegno di tutte le famiglie, dell’amore e non di una istituzione.

(Ieri su E Polis con il titolo Quando dire “relativista” è un insulto)

giovedì 3 maggio 2007

Rignano Flaminio e i barbari

Un bellissimo post sulla vicenda di Rignano Flaminio, in forma di lettera a un «amico barbaro» («Io-non-so-nulla», Leonardo, 30 aprile 2007):
Io e te abbiamo una cosa in comune: non sappiamo niente. Non per maleducazione o negligenza. La nostra è un’ignoranza tecnica: le poche cose che abbiamo imparato, le sappiamo da servizi giornalistici confezionati non troppo professionalmente.
Siccome io non so niente, come te, non ho molto da dire su Rignano. Mi sembra tutto pazzesco. Ma non avendo ancora accennato all’idea di strozzare le maestrine a mani nude, probabilmente passerò come un innocentista. In realtà no: non sono innocentista: sono uno che non sa niente. Ma non ha importanza: per uno come te, che “sa”, quelli che non sanno sono ultra-garantisti, piagnoni intellettuali, checche, e non checche qualsiasi, ma checche passivamente complici di reati di pedofilia, per cui domattina dovrai cambiare bar e spiegare a qualcun altro cosa faresti “se mi avessi tra le mani”.
Da leggere tutto.

La strategia del pazzo

La dismisura della reazione dell’Osservatore Romano (sulla quale rimando al definitivo giudizio di Malvino, e alla reductio ad absurdum di Usbeck) alle battute di Andrea Rivera è tale, da non poter essere che consapevole e intenzionale. Ma perché? Reazioni così scomposte hanno un costo: perfino Giuliano Ferrara prende – momentaneamente – le distanze (rubrica delle lettere, Il Foglio, 3 maggio 2007, p. 4).
Vengono in mente quei tizi che alla minima contrarietà danno in escandescenze, paonazzi, con la schiuma alla bocca, urlanti invettive e minacce. E tu, e tutti quelli che ti stanno attorno, pensate che sono matti, e che non sanno vivere; ma la volta successiva parlerete dolcemente, in loro presenza, e non li contraddirete. Se solo sapeste che era quello che volevano, fin dall’inizio...

mercoledì 2 maggio 2007

La chiesa non evoluta di Andrea Rivera

Rocco Buttiglione, a commento delle affermazioni tanto scioccanti di Andrea Rivera:
Una mancanza di rispetto a tutti i lavoratori cristiani ed a tutti gli uomini che amano il dialogo e la libertà. [Chiedo] agli organizzatori della manifestazione ed ai sindacati che la hanno organizzata se questo è il modo in cui pensano di dare seguito alle parole inequivocabili del Capo dello Stato e se questo è il modo in cui pensano di dare il loro contributo ad isolare i violenti.
I violenti? Ah Buttiglio’, ma non hai proprio niente di serio da fare? Che desolazione.

Il nome del successo

Una ricerca all’Università della Florida ha rivelato che il nome è una bussola per predire il tipo di carriera del pargolo. Soprattutto per le bambine (Io ti battezzo nel nome del successo, Il Corriere della Sera, 2 maggio 2007). Qui la classifica.
Nel caso delle bimbe, uno dei segreti per scegliere un nome di successo sta tutto nella sua femminilità. Nomi considerati aggraziati e femminili (a seguito di un complesso esame di 1700 combinazioni di lettere e suoni) determinano generalmente un trattamento positivo ed incoraggiante riservato alla ragazza che li porta, mentre i nomi percepiti come androgini o troppo inusuali fanno scattare, immediatamente, comportamenti penalizzanti.
[…]
Un’altra scoperta è che chi porta nomi considerati tradizionali, come Anna, Elizabeth o Emma, gode istantaneamente di maggiore fiducia rispetto a bambine con nomi meno canonici, come Ashley, Abigail o Grace. Per evitare un passo falso con ripercussioni generazionali, è poi sconsigliatissimo scegliere nomi scritti in modo strano o nomi inventati. Denotano, secondo gli snob inglesi, un «basso livello culturale» della famiglia. Di conseguenza, bambine chiamate Chantelle, Sherilee o robe del genere verranno discriminate fin dall’asilo.
Capito? Lasciate perdere pure Naomi o le “h” finali (Deborah, Sarah, … mi sono accorta, lo giuro, solo dopo averlo scritto che la giornalista che ha scritto il pezzo si chiama Deborah, con tanto di “h”), più per una ragione estetica che per proteggere il loro futuro. Per non inguaiare il loro presente, si potrebbe dire.
Inoltre, secondo la ricerca capitanata dal prof. David Figlio, dell’università della Florida, i bambini crescono accettando queste differenze e realizzando i pregiudizi attaccati al loro nome. Per ogni Isabella che prenderà ottimi voti a scuola, ci saranno quindi una serie di Jo, Rowan o Abi che verranno bocciate.
Meglio della profezia autoavverantesi. Ma il prof., con quel nome, pretende di avere una qualche credibilità? O il cognome non vale?

Buttiglione, cura te stesso

Da un’intervista a Rocco Buttiglione (Adolfo Pappalardo, «“Odio contro i cristiani, come i nazisti con gli ebrei”», Il Mattino, 1 maggio 2007, p. 3):
C’è una sinistra in crisi che ha perso la sua identità anti-capitalista e scarica la sua insoddisfazione contro la chiesa cattolica. Come i nazisti con gli ebrei.
Senatore, perdoni, è un paragone un po’ pesante.
Assolutamente no. Il meccanismo è lo stesso: si cerca un capo [sic] espiatorio per le proprie frustrazioni e parte l’attacco.
E poco più su:
a volte, i politici dimenticano che gli altri, alcune parole, non le prendono per quello che sono veramente, cioè buffonate, ma vengono prese sul serio.
Appunto.

martedì 1 maggio 2007

Families Night

Riprendiamo questo appello da Families Night:

Sabato 12 maggio parte del mondo cattolico si riunirà a Roma per il “Family Day”. Una manifestazione, nata chiaramente come risposta alla proposta governativa dei Dico, che vuole promuovere un unico modello di famiglia: quello descritto nel manifesto della CEI.
Il “Family Day” è figlio dei “Non possumus”, di una concezione atavica di famiglia che non comprende le famiglie di fatto, e cioè le coppie non coniugate che convivono stabilmente, con o senza prole, od anche i nuclei familiari composti da coppie omosessuali o costituiti dal singolo genitore e dai figli riconosciuti.
Noi crediamo che anche a queste altre famiglie vadano riconosciuti i diritti già acquisiti nella stragrande maggioranza dei paesi europei, nel rispetto soprattutto del sentimento che caratterizza più di tutti queste unioni: e cioè l’amore.
Per questo lanciamo, con la forza del dialogo e del “Possumus", il “Families Night”.

La notte che precede il 12 maggio, l’11 maggio alle ore 21,30, accendiamo una candela nelle finestre delle nostre case, accendiamo la speranza dei diritti per tutte le famiglie, illuminiamo la notte dall’oscurantismo di chi si ostina a non volere considerare uguali tutte le forme di amore.