Diciamo subito che questa proposta di compromesso lascia perplessi. Inflessibilità da duri e puri, che non tollerano pragmatismi? No: paradossalmente, quello che non va nella proposta di Flamigni è che rischia di non essere pragmatica abbastanza.
Nella guerra culturale tra le diverse visioni bioetiche esiste un’esigenza primaria, che è quella di non farsi imporre dall’avversario il terreno dello scontro. Gli integralisti vogliono imporre l’intangibilità dell’individuo fin dal concepimento? Sì, va bene, gli si risponde, ma quell’individuo prima del quattordicesimo giorno può dividersi ancora in due embrioni; si aspetti quindi fino ad allora! Fallita questa tattica si passa all’ootide; e non ci si avvede che la strategia è perdente. Non solo o non tanto perché l’Altra Parte rifiuta i compromessi proposti, ma perché proponendoli si legittima la sua visione delle cose: si scrivono complessi articoli e si sostengono lunghi dibattiti che accettano implicitamente un presupposto che non è e non può essere il nostro, cioè che la vita umana individuale è sempre vita personale, degna per ciò stesso di tutela. Ammettiamo pure che la legge 40 non tuteli più l’ootide, ma solo l’embrione dallo zigote in poi; quando qualcuno rimetterà in discussione la legge sull’aborto, che tratta di embrioni in una fase di sviluppo molto più avanzata, cosa gli diremo? Che tutti i ragionamenti sulla danza dei cromosomi nell’ovulo fecondato erano uno scherzo?
Qualcosa di simile, in effetti, è capitato anche ai nostri avversari. La diatriba sulla fecondazione eterologa ha avuto un effetto non voluto: che l’opinione pubblica s’è convinta che la fecondazione omologa sia del tutto lecita – e forse sono in molti a pensare che sia anche accettata dalla Chiesa.
Che fare? Carlo Flamigni ha ragione: un compromesso è tutto ciò che realisticamente possiamo ottenere adesso, e sarebbe comunque di grande beneficio per le coppie che affrontano il cammino della procreazione assistita. Ma si seguano almeno alcuni accorgimenti:
- prendiamo esempio dai cattolici: parliamo, a proposito dei necessari compromessi, sempre e chiaramente di male minore, che si ammette solo per senso di responsabilità e per realismo (lo stesso Flamigni, gliene va dato atto, precisa: «nessuna delle soluzioni che ho prospettato rappresenta quello che vorrei trovare in una buona legge sulla procreazione medicalmente assistita»);
- lasciamo che a discutere nei dettagli le proposte di compromesso siano in primo luogo i nostri alleati cattolici: diamo loro tutto il nostro appoggio, ma chiarendo che le loro idee non sono le nostre idee. Dissuadiamo inoltre con durezza chiunque si voglia presentare come «laico ragionevole» e accomodante;
- soprattutto, elaboriamo, difendiamo e diffondiamo una posizione comune laica e razionale sull’inizio della vita personale. Certo, non abbiamo papi e dogmi, e ciò in cui crediamo è soggetto sempre al dibattito critico ed eventualmente alla confutazione; ma non sembra impossibile stabilire un consenso attorno all’idea che sia il possesso di una mente la condizione necessaria per l’attribuzione di diritti anche minimi. Il feto acquisisce una dimensione soggettiva attorno alla 20ª settimana di gravidanza (molto approssimativamente); sia questo dunque il nostro discrimine. Facciamo sì che siano stavolta i nostri avversari ad avventurarsi sul nostro terreno, e a sforzarsi di dimostrare che ci sono indizi sufficienti per dire che no, in realtà il limite va posto intorno alla 18ª settimana...
come sai condivido la tua posizione: un diritto alla vita non può esserci prima della coscienza di sè.
RispondiEliminaProvo a sviluppare alcune implicazioni di questa prospettiva.
1. Un vero e proprio diritto del feto (magari condizionabile, ma comunque una posizione giuridica propria) comporta il riconoscimento di personalità giuridica prima della nascita. Io credo che con questa apparente concessione la posizione laica si rafforzerebbe in coerenza e credibilità. Prendiamo il caso recente della ragazza uccisa al nono mese di gravidanza: che un feto di 9 mesi nell'utero sia tutt'altra cosa da un neonato della stessa età gestazionale, non mi suona per nulla convincente.
2. Prima della coscienza non ha senso attribuire diritti al feto, ma si possono comunque porre obblighi in capo a terzi, ad es. a tutela della persona futura o a rispetto della persona potenziale. Quindi, anche nelle fasi che precedono la coscienza si possono accogliere soglie eticamente rilevanti. Ad es. il termine dei 14 giorni (prima non c'è ancora una cellula nervosa e non c'è un individuo perchè è possibile la divisione gemellare) per la ricerca mi sembra un criterio sensato.
1. Sai che ci stavo pensando proprio stamattina? Bisognerebbe esplorare tutte le implicazioni giuridiche (e probabilmente dovrebbe essere in effetti un diritto condizionato), ma penso proprio che tu abbia ragione: deriva logicamente dalla nostra posizione e la rafforza anche politicamente. Oltretutto l'aborto dopo la 20ª settimana è talmente raro che la concessione sarebbe, come dici tu, solo apparente.
RispondiElimina2. Qui ti seguo già un po' meno (tranne ovviamente che sulla tutela della persona futura, che è cosa pacifica). Cosa intendi esattamente per «rispetto della persona potenziale»? Mi pare che si corra il rischio di concedere troppo a una moralità sentimentale... Certo, capisco che esiste una sensibilità diffusa di cui occorre tenere conto: in questo senso il criterio dei 14 giorni per la ricerca sull'embrione ha una sua giustificazione; ma mi sembra una giustificazione politica, non logica.