sabato 16 settembre 2006

Evoluzionismo: Angiolo Bandinelli, Andrew Parker e l’entusiasmo

Non basta ammettere con candore la propria ignoranza (“Perfetto ignorante in materia di biologia e di teorie evoluzioniste”, per usare le parole di Bandinelli) riguardo a x per poi sbandierare il proprio parere gonfiato da asserzione che aspira alla credibilità. Proprio come non basta chiedere scusa mentre si sta picchiando qualcuno. Se sei ignorante, perché non rinunciare ad esprimere il proprio (ignorante) punto di vista? Si badi, ogni parere può legittimamente essere esposto, ma la questione è un’altra: l’investitura di verità che gli si attribuisce.

Il pretesto è un articolo di Sandro Modeo (L’evoluzione spiegata dai fossili, Il Corriere della Sera, 6 settembre 2006) a proposito di un In un batter d’occhio di Andrew Parker, recensione piuttosto stringata e non particolarmente appassionante.

La prima parte dell’articolo di Bandinelli (Scimpanzè pelosi, Il Foglio, 14 settembre 2006) è una ricostruzione, o tentata tale, delle idee di Parker, sulla base dell’articolo di Modeo (“mi affido senz’altro alle due svelte e dotte colonnine”). Non sarebbe meglio andare alla fonte invece di arrancare su informazioni di seconda mano?
La seconda parte è un campo minato.
L’idea di una scienza che mescola insieme protocolli sperimentali e descrizioni atte a provocare, come ancora si esprime Modeo, “shock”, mi convince poco. Tra gli shock benefici, anzi “salutari” per la scienza (visti i tempi tristi che essa vive a causa del “revival creazionista” e di un “antiscientismo duro” oggi particolarmente aggressivi) Modeo invoca un po’ rabbiosamente “il dissolvimento della nostra vanità antropocentrica e di tanti nostri deliri metafisici”.
Bandinelli non ci spiega perché lo shock provocato dalle descrizioni di Parker lo convinca poco. E non sembra che sia l’effetto a giustificare il suo giudizio, perché in molte occasioni la scienza (e a ragione) provoca shock: anche di fronte ad un esperimento la reazione più consona può essere lo shock, o di fronte alle numerose inebrianti scoperte scientifiche. E allora? Che sia il linguaggio tropo colorito a lasciare perplesso Bandinelli? Eppure la scienza si esprime per metafore, e questo è al contempo scioccante e semplice. Ebbene? Che lo shock che scardina antropocentrismo e metafisica sia benefico è fuori discussione (o sì?) – e Modeo sembra ironico e non rabbioso nel ricordare il provvidenziale dissolvimento.
Ma veniamo alle ragioni di Bandinelli:
A questo punto, mi permetto di osservare che la “magnificenza organica” verso la quale Parker richiama la nostra attenzione è espressione concepibile solo in una visione antropocentrica e metafisica dell’universo. Credo sia corretto sostenere che l’universo di per sé non ha nulla di “magnificente”, essendo esso semplicemente quel che è nei suoi dati chimico-fisici rilevabili sperimentalmente.
È decisamente troppo richiamare la polemica tra costruttivisti e realisti; se può andare che la magnificenza sia legata alla percezione e al giudizio umani, questo non significa che la necessità della presenza di un uomo (o della specie Homo etc.) per attribuire qualità o per percepire soggettivamente la magnificenza implichi una visione antropocentrica e metafisica. C’è bisogno di una mente che percepisce la bellezza (va bene), ma questa mente può essere detronizzata dal centro dell’universo senza insinuare contraddizione alcuna.
È un po’ rischioso strizzare l’occhio a Tolomeo, e dimenticare che la rivoluzione copernicana non ci ha privato di magnificenza, ma ci ha soltanto tolto una delle bende che ci accecavano.
E prosegue Bandinelli: “L’espressione entusiasta dello scienziato fa il paio con quella, cara ai fautori della creazione intelligente, che assume la “bellezza” dell’universo a ulteriore testimonianza dell’intervento attivo del creatore e del suo cervellone”. Si grida e si piange per gioia e per dolore: il fatto che sia lo scienziato che i creazionisti manifestino entusiasmo non li avvicina più di quanto il grido di un condannato a morte e il grido di uno che ha appena vinto alla lotteria riesca a rendere simili le esperienze e i protagonisti.
E per concludere:
Mi sento di condividere pienamente l’entusiasmo sia dello scienziato che dei creazionisti. Le loro sono poetiche espressioni dello stupore infinito che coglie il dotto e l’ignorante, l’ateo e il creazionista di fronte allo spettacolo dell’universo. Questo stupore infinito, questo entusiasmo che sempre fecondamente si rinnova, e rinnova i parametri della cultura, è faccenda propria ed esclusiva dell’uomo, come mise definitivamente a fuoco, se non erro, Kant. Se l’uomo non provasse stupore ed entusiasmo, se non accendesse miti e affabulazioni attorno al mondo e alla sua misteriosa bellezza, beh, non sarebbe uomo ma solamente uno scimpanzé sfornito di peli. Invece, con questa sua capacità di “nominare” le cose dando loro le qualità culturali che la natura ignora, egli esercita una facoltà creativa straordinaria, forse il vero complemento e fine dell’evoluzione dell’occhio iniziata con le alghe rosse della Columbia Britannica.
Certo, è legittimo essere entusiasti per le cose più bizzarre. Sarei più cauta nel trattare scienziati e creazionisti come fossero sullo stesso piano, tenuti a braccetto dall’entusiasmo. I creazionisti sono bugiardi, ingannatori – per quanto non necessariamente in cattiva fede, forse per stupidità, forse per ignoranza. Ma il giudizio non cambia e non deve cambiare: mentono.
Che lo stupore (e l’autocoscienza e tutto il resto) sia esclusiva proprietà dell’uomo, beh, mi permetto di dubitare. E così annientiamo un’altra consolatoria illusione: lo specismo.
Mi piace citare, invece che il povero Kant cui fischieranno le orecchie (e le cui affermazioni potrebbero essere verificate invece che riportate approssimativamente), Douglas N. Adams (lui ci teneva a sottolineare che le sue iniziali fossero DNA), brillante scrittore ma anche fine uomo di scienza, che nella sua geniale Guida galattica per gli autostoppisti così descrive il signor L. Prosser: “era, come si suol dire, soltanto umano. In altre parole era una forma di vita bipede a base carbonio, discendente da una scimmia”. Senza nulla togliere alla sua capacità di stupirsi, di entusiasmarsi e di denotare le cose.

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