Il pretesto è un articolo di Sandro Modeo (L’evoluzione spiegata dai fossili, Il Corriere della Sera, 6 settembre 2006) a proposito di un In un batter d’occhio di Andrew Parker, recensione piuttosto stringata e non particolarmente appassionante.
La prima parte dell’articolo di Bandinelli (Scimpanzè pelosi, Il Foglio, 14 settembre 2006) è una ricostruzione, o tentata tale, delle idee di Parker, sulla base dell’articolo di Modeo (“mi affido senz’altro alle due svelte e dotte colonnine”). Non sarebbe meglio andare alla fonte invece di arrancare su informazioni di seconda mano?
La seconda parte è un campo minato.
L’idea di una scienza che mescola insieme protocolli sperimentali e descrizioni atte a provocare, come ancora si esprime Modeo, “shock”, mi convince poco. Tra gli shock benefici, anzi “salutari” per la scienza (visti i tempi tristi che essa vive a causa del “revival creazionista” e di un “antiscientismo duro” oggi particolarmente aggressivi) Modeo invoca un po’ rabbiosamente “il dissolvimento della nostra vanità antropocentrica e di tanti nostri deliri metafisici”.
Ma veniamo alle ragioni di Bandinelli:
A questo punto, mi permetto di osservare che la “magnificenza organica” verso la quale Parker richiama la nostra attenzione è espressione concepibile solo in una visione antropocentrica e metafisica dell’universo. Credo sia corretto sostenere che l’universo di per sé non ha nulla di “magnificente”, essendo esso semplicemente quel che è nei suoi dati chimico-fisici rilevabili sperimentalmente.
È un po’ rischioso strizzare l’occhio a Tolomeo, e dimenticare che la rivoluzione copernicana non ci ha privato di magnificenza, ma ci ha soltanto tolto una delle bende che ci accecavano.
E prosegue Bandinelli: “L’espressione entusiasta dello scienziato fa il paio con quella, cara ai fautori della creazione intelligente, che assume la “bellezza” dell’universo a ulteriore testimonianza dell’intervento attivo del creatore e del suo cervellone”. Si grida e si piange per gioia e per dolore: il fatto che sia lo scienziato che i creazionisti manifestino entusiasmo non li avvicina più di quanto il grido di un condannato a morte e il grido di uno che ha appena vinto alla lotteria riesca a rendere simili le esperienze e i protagonisti.
E per concludere:
Mi sento di condividere pienamente l’entusiasmo sia dello scienziato che dei creazionisti. Le loro sono poetiche espressioni dello stupore infinito che coglie il dotto e l’ignorante, l’ateo e il creazionista di fronte allo spettacolo dell’universo. Questo stupore infinito, questo entusiasmo che sempre fecondamente si rinnova, e rinnova i parametri della cultura, è faccenda propria ed esclusiva dell’uomo, come mise definitivamente a fuoco, se non erro, Kant. Se l’uomo non provasse stupore ed entusiasmo, se non accendesse miti e affabulazioni attorno al mondo e alla sua misteriosa bellezza, beh, non sarebbe uomo ma solamente uno scimpanzé sfornito di peli. Invece, con questa sua capacità di “nominare” le cose dando loro le qualità culturali che la natura ignora, egli esercita una facoltà creativa straordinaria, forse il vero complemento e fine dell’evoluzione dell’occhio iniziata con le alghe rosse della Columbia Britannica.
Che lo stupore (e l’autocoscienza e tutto il resto) sia esclusiva proprietà dell’uomo, beh, mi permetto di dubitare. E così annientiamo un’altra consolatoria illusione: lo specismo.
Mi piace citare, invece che il povero Kant cui fischieranno le orecchie (e le cui affermazioni potrebbero essere verificate invece che riportate approssimativamente), Douglas N. Adams (lui ci teneva a sottolineare che le sue iniziali fossero DNA), brillante scrittore ma anche fine uomo di scienza, che nella sua geniale Guida galattica per gli autostoppisti così descrive il signor L. Prosser: “era, come si suol dire, soltanto umano. In altre parole era una forma di vita bipede a base carbonio, discendente da una scimmia”. Senza nulla togliere alla sua capacità di stupirsi, di entusiasmarsi e di denotare le cose.
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