sabato 16 settembre 2006

Francesco Agnoli, ovvero: dell’ignoranza

Due giorni fa sono usciti contemporaneamente sul Foglio e su Avvenire due articoli di uno stesso autore, Francesco Agnoli, dedicati allo stesso argomento, la teoria dell’evoluzione. Cominciamo dal primo («Scimpanzé pelosi/2», Il Foglio, 14 settembre, 2006, p. 2):
La lezioncina, apparecchiata dai giornali da un po’ di tempo, è assai facile da imparare: siamo scimpanzé, senza peli (piccola consolazione), col novantotto per cento del Dna in comune con questi simpatici e saltellanti bestioni. Ok. Nel due per cento di Dna dobbiamo dunque metterci l’amore, la libertà, la creatività, il pensiero, la moralità, il linguaggio... Questo due per cento spiegherebbe perché noi, a differenza degli altri, ci siamo evoluti biologicamente, milioni di anni fa, smettendo di arrampicarci sugli alberi e di giocare con le liane, e poi, per non si sa cosa, abbiamo iniziato a evolverci solo culturalmente: non ci sono spuntate le ali, come a certi pesci, ma abbiamo inventato gli aerei; non ci sono cresciute le zanne, ma abbiamo costruito coltelli; non si è allungato il collo, ma abbiamo ideato le scale... Tutto per quel benedetto, mitico, due per cento di Dna! Intanto, però, l’altro novantotto per cento di Dna, come dicevo, non evolve più: nessun uomo che diventi superman, nessuna scimmia che diventi uomo... C’è uno stallo inspiegabile... saranno i tempi cattivi, la chiesa, gli embrioni su cui non si riesce a lavorare in tranquillità...
Se c’è una cosa molesta, è l’ironia degli ignoranti sulle cose che non hanno capito; e Francesco Agnoli della teoria dell’evoluzione non ha capito praticamente nulla. Naturalmente, siamo tutti ignoranti riguardo a qualcosa, ma in genere non ne diamo pubblico spettacolo – oltretutto facendoci pagare per l’esibizione da un giornale con fondi che sono in non piccola parte pubblici.
Sorvoliamo sulle cose che Agnoli vorrebbe «mettere» nel «mitico» due per cento di DNA, che sono quasi tutte già presenti in forma più o meno embrionale negli scimpanzè e in altri primati; questo stesso due per cento non «spiega», come crede Agnoli, l’evoluzione biologica dell’uomo, ma ne è casomai il risultato. Inoltre non è affatto vero che gli scimpanzè – o meglio, i loro antenati – abbiano smesso di evolversi dopo essersi separati dal ramo che avrebbe dato origine agli esseri umani, tant’è vero che successivamente si sono divisi a loro volta in due specie distinte (lo scimpanzè comune e il bonobo). Quando poi Agnoli afferma che a un certo punto «per non si sa cosa, abbiamo iniziato a evolverci solo culturalmente», compie un doppio errore: primo, perché sembra ignorare la spiegazione più ovvia della preponderanza dell’evoluzione culturale su quella biologica negli esseri umani (che posseggono un cervello più grande, rispetto alla massa corporea, di quello degli altri animali – non è chiaro che funzione attribuisca Agnoli all’organo che anche lui si ritrova tra le orecchie); secondo, perché l’evoluzione culturale dura da 2.500.000 anni, da quando cioè è apparso il genere Homo, ma quest’ultimo non ha certo cessato da allora la propria evoluzione biologica, assumendo l’attuale forma anatomica solo 200.000 anni fa, mentre la sua evoluzione genetica – è notizia di pochi mesi fa, data con risalto dalla stampa mondiale – è proseguita fino in epoca storica, e verosimilmente dura tuttora.
Agnoli ha per il resto un’idea ingenua e pre-darwiniana dell’evoluzione, che sembra considerare come una forza misteriosa che dall’interno innalzerebbe gli organismi sui gradini superiori della scala dell’essere: solo così si spiega la sua sorpresa per il fatto che non ci sia «nessun uomo che diventi superman, nessuna scimmia che diventi uomo». Abbiamo già visto come gli scimpanzè in realtà si siano evoluti, ma non ci sono in effetti molti dubbi che siano più simili all’antenato comune nostro e loro di quanto lo siamo noi; questo però non desta particolare meraviglia, visto che quel progenitore viveva nello stesso ambiente, la foresta pluviale, in cui vivono gli scimpanzè. L’uomo, invece, ha dovuto adattarsi all’ambiente per lui nuovo delle savane dell’Africa orientale, ed è stato questo a determinarne in primo luogo la differenziazione.

L’articolo prosegue ancora con una serie di sproloqui sull’origine del linguaggio; ma per non annoiare eccessivamente i lettori di Bioetica, passo al secondo pezzo («Venezia, la “pazza idea” di screditare l’uomo», Avvenire, 14 settembre), che prende spunto dal convegno internazionale sull’evoluzione in programma a Venezia dal 20 al 23 settembre prossimi, organizzato tra gli altri dalla Fondazione Umberto Veronesi. Ed è proprio a proposito di Veronesi che Francesco Agnoli si chiede angosciato: «Perché tanto amore per Darwin, in uno scienziato che non si occupa specificamente di studi biologici?». Ora, uno potrebbe chiedersi a maggior ragione riguardo ad Agnoli: «Perché tanto odio per Darwin, in un professore di italiano e storia all’Istituto Tecnico Grafico parificato “Sacro Cuore” di Trento?», ma lasciamo stare. La risposta che Francesco Agnoli si dà è questa:
Non è difficile da capire. Il darwinismo, infatti, pur non potendo assolutamente negare un Dio Creatore, né empiricamente né filosoficamente, contribuisce in buona parte a “screditarlo”. E scredita, nello stesso tempo, l’uomo: non più a immagine di Dio, ma delle grandi scimmie. In questo senso il darwinismo è a fondamento di tanti errori e orrori della modernità: del concetto di lotta per la vita (che diviene nazionalismo e superomismo), dell’eugenetica, del liberismo selvaggio, dell’animalismo... Tutta la questione dei diritti umani, a ben vedere, decade, di fronte all’equiparazione tra uomini e animali. Infatti, se veramente fossimo solo scimmie evolute, non solo la sperimentazione sugli uomini (embrioni) diverrebbe lecita, allo stesso modo di quella sugli animali, ma, ad essere coerenti, si dovrebbe finire per giustificare anche il cannibalismo (un altro modo, semplicemente, di mangiare carne...).
La risposta, più che gettare una luce sinistra sugli intendimenti di Veronesi, la getta su quelli dello stesso Agnoli, il quale a quanto pare non riesce a trovare ragioni sufficienti negli esseri umani, così come appaiono ai suoi occhi, per esentarli dalla vivisezione e fin’anche dal cannibalismo, ma ha bisogno per questo di rappresentarseli creati ad immagine di Dio. Da notare come lo stesso Agnoli deplorasse poco tempo fa, sempre su AvvenireSiamo uomini o scimmie? In Spagna un’idea c’è», 26 maggio 2006), non che la «questione dei diritti umani» fosse «decaduta», ma che al contrario – secondo lui – fosse stata estesa in blocco dal governo spagnolo alle grandi scimmie.
A conclusione di un breve excursus storico sulla storia dell’idea della discendenza umana dalle scimmie e delle nefandezze che ne sarebbero derivate, Agnoli afferma che lo schiavismo sarebbe stato «avversato, invece, dalla visione biblica, secondo cui gli uomini, creati direttamente da Dio, sono tutti fratelli», ed esclama: «Sono gli orrori che nascono nel momento in cui si nega a Dio il suo ruolo di Creatore, o, quantomeno, all’uomo la sua dignità di creatura spirituale e razionale». Peccato che la schiavitù dei neri fosse in passato quasi uniformemente giustificata sulla base di Genesi 9,20-27, che racconta l’episodio della maledizione lanciata da Noè al figlio Ham (ma applicata un po’ bizzarramente al figlio di questi, Canaan), «Sia maledetto Canaan! Schiavo degli schiavi sarà per i suoi fratelli!»: l’idea della fratellanza universale aveva, come si vede, alcune complicazioni... (cfr. Stephen R. Haynes, Noah’s Curse: The Biblical Justification of American Slavery, New York, Oxford University Press, 2002).
Agnoli conclude l’articolo commentando un’affermazione di Veronesi:
«La vita nasce dal caso e dalla necessità. Mi rendo conto che questo non lascia molto spazio a interpretazioni metafisiche dell’esistenza umana...». Cosa è il caso, e cosa è la necessità? Antiche divinità greche di ritorno? E perché il darwinismo negherebbe, di per sé, la metafisica? Ma soprattutto: come si fa a divinizzare il caso, trasformandolo in forza intelligente, creatrice e ordinatrice, e a scrivere, qualche riga più avanti, che «una forma di intelligenza esiste anche in una singola cellula», al punto che «se la isoliamo e tentiamo di toglierle la vita, la vediamo reagire, difendersi, attivare l’istinto di conservazione del suo Dna, un codice della vita che ha due compiti...». L’“intelligenza”, il “Dna”, e cioè un programma completo e meraviglioso, ordinato e finalizzato, i “compiti” da svolgere, con uno scopo... cosa c’entra tutto questo col caso, cioè col disordine, l’assenza di significato, di intelligenza, di compito?
È l’eterno equivoco in cui indulgono tutti i creazionisti, che di fronte alla coppia caso e necessità vedono solo il primo, e ignorano la seconda, anche se se ne sta lì, come in questo caso, davanti ai loro occhi. I motori principali dell’evoluzione sono due: la mutazione propone, la selezione dispone. La prima è casuale, la seconda è deterministica. Assieme foggiano gli organismi viventi, fino a dare l’impressione che la natura sia ordinata e finalizzata, il prodotto di una mente e di uno scopo, mentre invece non lo è affatto. Ma molti, che vogliono preservare la propria idea di un cosmo gerarchico e immutabile (per fini che il lettore appena avvertito sarà in grado di decifrare senza bisogno di aiuto), costituito non da fenomeni storici ma da essenze fuori della storia, fanno finta di non capirlo. Alcuni di loro, tuttavia, non lo capiscono davvero; e non voglio far torto all’onestà intellettuale di Francesco Agnoli escludendolo da quest’ultima categoria.

19 commenti:

  1. Agnoli sara "ignorante", ma si fa capire, cioè fa capire quello che dice (l'ho capito anch'io che sono veramente ignorante).
    Quello che dice lei, invece, è solo un insieme di parole, create apposta dagli "esperti" per non far capire alla gente comune che essi non sono in grado di spiegare fino in fondo quello che loro chiamano "teoria", mentre si tratta solo di un'ipotesi, la quale, proprio perché tale, non può escludere "a priori" tutte le altre.
    Senza rancore. Herasmus

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  2. Lei sembra preferire ciò che è immediatamente comprensibile a ciò che richiede uno sforzo di comprensione (sia pure minimo, mi creda). È un peccato, perché non è detto che tutte le verità siano banali ed esprimibili in due parole.

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  3. Caro sig. Giuseppe, il suo pur lodevole sforzo di comprensione l'ha condotto fuori strada, o, forse, la mia ironia era mal posta. Questo è un vero peccato (mi creda...).
    Per raggiungere una verità è raro che bastino due parole, ma per scoprire una menzogna, ne basta, talvolta, anche una sola.
    Herasmus

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  4. Già; ma bisogna stare attenti a non scambiare per falsa la parola che, semplicemente, non vogliamo ascoltare...

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  5. ma esiste veramente Francesco Agnoli?

    a

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  6. vede Herasmus, la differenza sta nel fatto che chi non crede in dio dice: "L'origine dell'Universo si è avuta con il Big Bang, ma non sono in grado di dire cosa ci fosse prima o cosa l'abbia determinato."; gli altri invece non possono dare una spiegazione logica e/o scientifica, tuttavia affermano "per fede" che dio ha creato l'Universo.
    Io sono orgogliosamente fra i primi. E' questione di coerenza con la logica.
    Fausto Previtera

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  7. ho letto ciò che ha scritto il professor Francesco Agnoli e condivido pienamente. Agnoli ha dimostrato di essere molto competente, intelligente e preparato, al contrario di Lei, che non si fa capire e scrive molte falsità

    Libero T.

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  8. "L’uomo, invece, ha dovuto adattarsi all’ambiente per lui nuovo delle savane dell’Africa orientale, ed è stato questo a determinarne in primo luogo la differenziazione."

    Cosacosa?
    Questa affermazione è una bestialità genetica.
    Ben sappiamo che le mutazioni genetiche NON sono indotte dall'ambiente (a meno che non siano presenti radiazioni ionizzanti), ma dal caso, cioè da ricombinazioni errate (infatti una ricombinazione ben riuscita non causa mutazioni).
    Teniamo presente che la teoria darwiniana è stata elaborata PRIMA della scoperta del DNA, quindi non era ancora ben chiara la differenza tra ricombinazione e mutazione.
    Non è pensabile discutere di queste tematiche se non si hanno ben chiari i concetti di genoma, ricombinazione e mutazione.
    Mi stupisco che non si arrivi a comprendere che la teoria darwiniana è assolutamente attuale e merita enorme considerazione.
    Essa non esclude affatto a priori altre teorie, semmai le comprende.
    E' estremamente affascinante intuire che l'uomo è il prodotto di una serie di mutazioni (eventi piuttosto rari) che hanno prodotto organismi fertili (eventualità rarissima) selezionati dall'ambiente fino ad arrivare a oggi.
    Non vedo incompatibilità con altre teorie, nè con la possibilità che le mutazioni possano essere state indotte da una forza superiore (considerata l'improbabilità delle stesse dal punto di vista statistico).
    Resto solo affascinato dalla teoria di Darwin, ma , per favore, discutiamone con competenza.

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  9. Non mi metta in bocca, per favore, cose che non ho mai detto. La differenziazione in specie diverse non avviene solo grazie alle mutazioni (che comunque non sono affatte rare come dice lei): è necessaria anche la selezione o la deriva genetica, altrimenti le mutazioni vengono quasi sempre riassorbite. Quindi l'uomo si è differenziato dall'antenato comune con gli scimpanzè perché si è dovuto adattare al nuovo ambiente della savana orientale - che è appunto quello che avevo scritto.

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  10. "La differenziazione in specie diverse non avviene solo grazie alle mutazioni (che comunque non sono affatte rare come dice lei): è necessaria anche la selezione o la deriva genetica, altrimenti le mutazioni vengono quasi sempre riassorbite. Quindi l'uomo si è differenziato dall'antenato comune con gli scimpanzè perché si è dovuto adattare al nuovo ambiente della savana orientale - che è appunto quello che avevo scritto".

    Una mutazione somatica (cellula non germinale) è un evento piuttosto diffuso, in un organismo differenziato ne avvengono in continuazione. A volte sono riparate, a volte degenerano in neoplasie (tumori).
    Le mutazioni germinali, che sono le uniche ad essere ereditate, sono un evento molto più raro.
    Ma ammesso che si verifichi una mutazione germinale si pone il problema della sopravvivenza dell'organismo generato.
    Quasi sempre le mutazioni germinali producono organismi malformati che in rarissimi casi riescono a sopravvivere.
    Quello che è incredibile è che alcuni prodotti di mutazioni non solo siano riusciti a sopravvivere, ma fossero a loro volta fertili e capaci di riprodursi (questo sì che è davvero straordinario).
    Quindi la teoria evoluzionistica non è così lineare e scontata come poteva apparire inizialmente, ma estremamente complessa e frutto dell'improbabilità.
    Vediamo di discutere con competenza, non è pensabile utilizzare una terminologia che non si comprende a fondo.
    Non è serio quindo affrontare una discussione evoluzionistica se non si hanno solide basi di genetica.

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  11. A quanto pare, lei considera solo la possibilità di macromutazioni. Ma le mutazioni che stanno alla base dell'evoluzione sono mutazioni molto più limitate, e anche più frequenti. Un grandissimo genetista, Ronald A. Fisher, ha dimostrato che piccole mutazioni hanno in quasi il 50% dei casi effetti benefici. Non posso quindi che convenire quando lei dice che "Non è serio affrontare una discussione evoluzionistica se non si hanno solide basi di genetica"...

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  12. Mi spieghi cortesemente in che cosa consistono le piccole mutazioni, visto che le ha citate, e in che modo esse siano trasmissibili.

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  13. Su, coraggio, non Le dò mica il voto!

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  14. Davvero crede che io stia tutto il giorno davanti al computer in trepida attesa dei suoi commenti? Mi dispiace di doverla deludere...

    Le piccole mutazioni sono quelle che determinano piccole variazioni a livello fenotipico (un arto leggermente più lungo, un mantello dal colore appena più chiaro, etc.). A livello genotipico consisteranno di differenze di singole basi (se ne verificano non so più quante, in media, ad ogni duplicazione di gameti), ma talvolta anche di trasposizioni o duplicazioni di sequenze geniche (questo, per inciso, è il modo con cui si generano nuovi geni: una copia di un gene si rende disponibile per accumulare mutazioni, mentre l'originale rimane deputato alla funzione di partenza).

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  15. Come si determina in uno studio se una caratteristica fenotipica dipende da una mutazione o da una diversa espressività genetica in assenza di mutazioni?
    Ricordo che molti dei nostri geni sono inattivi e possono attivarsi per vari motivi in diverse fasi dello sviluppo.
    Non è indispensabile quindi una mutazione per esprimere caratteri fenotipici diversi.
    Uno studio che dimostri la presenza di "effetti benefici" delle "micromutazioni" può essere accettabile se parte da un campione rappresentativo della intera popolazione che ha subito una "micromutazione".
    Non soltanto il campione che ha mostrato "micromutazioni"compatibili con la vita, ma anche quelli che presentano "micromutazioni" non compatibili con la vita.
    Come attribuire poi ad una micromutazione (e non ad una diversa espressività di geni non mutati)una caratteristica fenotipica anomala presentata dal campione studiato?
    Ma è semplicissimo, mappando l'intero genoma di ogni soggetto studiato, una operazione economica e alla portata di qualunque laboratorio.
    "trasposizioni o duplicazioni di sequenze geniche" è proprio sicuro che le due cose siano definibili mutazioni o non facciano invece parte del normale processo replicativo cellulare?
    E' poi sicuro che la mutazione di una singola base sia una "micromutazione" e produca solo caratteristiche fenotipiche appena apprezzabili?
    Apprezzo molto il suo impegno nel cercare di portare avanti il dialogo in modo scientifico e mi fa molto piacere confrontarmi con Lei, spero che la discussione serva da stimolo ai lettori (se ce ne sono) per andare oltre la superficie e scoprire quanto sia ricca (e complessa) la realtà che ci circonda.

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  16. La dimostrazione di Fisher era teorica (se non sbaglio si dovrebbe trovare nella Genetical Theory of Natural Selection), e si riferiva a variazioni fenotipiche ereditabili, senza entrare nei dettagli dei meccanismi che le determinano (che ai tempi della prima edizione del libro non erano neanche noti). Oggi sappiamo comunque che molte mutazioni geniche sono neutrali, o danno appunto luogo a minime variazioni a livello di fenotipo. Per questo non c'è bisogno di nessuna mappatura completa del genoma: conosciamo da tempo la localizzazione di molti geni, e possiamo studiare nel dettaglio gli effetti delle mutazioni. Se a mutazioni uguali corrispondono stabilmente effetti uguali, e viceversa, ecco dimostrata la relazione causale voluta.

    Non vedo come definire trasposizioni o duplicazioni di sequenze geniche se non come mutazioni (il che non esclude che facciano parte del normale processo replicativo cellulare): sono alterazioni ereditabili della sequenza delle basi, e possono avere effetti a livello di fenotipo. Ed è così infatti che vengono definite nella letteratura scientifica.

    Ovvio, infine, che la mutazione di una singola base non sempre produca caratteristiche fenotipiche appena apprezzabili: ci sono malattie orribili che dipendono proprio da una singola base mutata. Ma ciò non toglie che gran parte di queste mutazioni abbia effetti limitati o addirittura nulli.

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  17. boh, qual è la sua tesi?
    che il creazionismo non ha prove scientifiche? credo non le abbia mai cercate
    che l'evoluzionismo è antiscientifico quando è anticreazionista? mi sembra indiscutibile e indiscusso

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  18. Un'altra piccola considerazione: i geni conosciuti sono per ora una minuscola parte dei circa 30.000 che compongono il nostro genoma.
    Non solo, se anche si arrivasse alla identificazione della funzione di ogni gene attivo o attivabile si porrebbe un altro interrogativo.
    Non è infatti pensabile che la funzione di un gene non interferisca su quella di un altro o che il prodotto di un gene ne attivi o sopprima altri.
    Oltre al fatto che più geni possano collaborare per una funzione comune.
    E' possibile elaborare un sistema teorico che dimostri qualche relazione tra espressione genetica, fenotipo, fisiologia e comportamento degli individui, la mitica "equazione della vita"?
    Per le nostre limitate capacità intellettive, le nostre limitate possibilità di osservazione e di comprensione delle infinite variabili presenti, credo proprio di no.
    Proprio l'evoluzione, potrebbe sembrare, cambia le carte in tavola, non ci permette di avere un sistema stabile da analizzare, è paradossale per alcuni aspetti.
    Pensate che anche la ricerca di una formula frattale che descrivesse il linguaggio umano (funzione che può apparire elementare) si è rivelata vana e ora l'elaboratore deputato al calcolo frattale del linguaggio accoglie i visitatori all'Istituto per la Ricerca Scientifica e Tecnologica di Trento e porta un vassoio con il caffè (!).
    Queste mie considerazioni sono tutt'altro che antiscientifiche (come forse qualcuno avrà capito lavoro nel settore), servono solo da stimolo per non farci turlupinare dai falsi profeti di turno, i papi laici che incantano con promesse vane (e probabilmente non lo fanno solo per la gloria).
    (Brecht)

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  19. Scopro per caso questo topic e... sono sostanzialmente daccordo con l'autore. Non so chi sia "Agnoli". Ma se appartiene alla schiera dei pennivendoli alla Giuliano Ferrara, non credo valga nemmeno la pena approfondire.

    La cosa che veramente mi fa cadere le braccia è leggere ancora che la credibilità di un chicchessìa debba dipendere dalla banalità intuitiva di ciò che dice: Agnoli (ma dico lui, per nominarne 100 come lui... e tra essi, i cosiddetti atei devoti), quand'anche ignorante, sarebbe nel giusto perchè dice cose che si capiscono. Immagino che se nel suo articolo sul Foglio (foglietto) avesse inserito anche qualche "bonga bonga" suscitando l'ilarità dei bravi e timorati catto-creazionisti avrebbe riscosso ancor più successo.

    Fa specie, veramente specie, leggere interventi di fantomatici biologi... così polemicamente avidi di "prove", così scettici sul ruolo e sugli effetti di questo o quel fattore causale (e casuale), così rigorosi e bla bla bla... e poi alla fine aggrappati con le unghie e con i denti all'idea che esista un essere soprannaturale (intendiamoci, non uno qualunque, eh? Proprio il dio cristiano, gli altri sono finti, ovviamente...) che dall'alto "guidi" l'evoluzione, consegni all'uomo il privilegio della spiritualità e tante altre sciocchezze.

    E mi chiedo? E l'argomento delle "prove", così ben utilizzato (a sproposito) come grimaldello antiscientifico e ridicolmente dogmatico, dove è andato - improvvisamente - a finire? L'idea della creazione soprannaturale (o del più "suggestivo" e altrettanto patetico intelligent design) si seppellisce da sola per insufficienza di prove.

    No prove, no argomentazioni, no dati, no osservazioni... solo latrati dogmatici. E ancora certa gente di bassa cultura e intelletto continua a pretendere di dire la sua su ciò che l'evoluzione è, dovrebbe essere o millanterebbe di essere... con quale faccia poi.

    "What can be asserted without proof can be dismissed without proof" come direbbe Hitchens.

    La verità è che il sonno della ragione genera mostri, e poichè in Italia l'alfabetizzazione scientifica (non dico molto, l'ora di religione andrebbe semplicemente sostituita con un'ora di semplice LOGICA, di cui - a quanto leggo qui - molti sono a corto) è peggio della ruota di scorta, non ci stupiamo - Egr.Regalzi, Egr.Lalli - se di tanto in tanto qualche creazionista dell'ultima ora insiste per starnazzare di cose che non capisce.

    Con stima,
    Distinti Saluti.

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